Esternalità, PIL, energia e CO2
di Domenico Coiante - 11/12/2006
In un precedente lavoro (D. Coiante,
Sulle difficoltà incontrate dalle NFER per la penetrazione nelmercato dell’energia,
27/11/2006, www.aspoitalia.net) si è tentato di mettere in evidenza ledistorsioni esistenti nel mercato energetico in favore dei combustibili fossili. L’offerta di questo tipo
di energia si presenta sempre accompagnata da notevoli misure di
dumping, dovute al fatto che tuttele esternalità inerenti alle fasi del ciclo a monte della produzione industriale e a valle dell’uso non
vengono contabilizzate nel costo vivo, ma vengono semplicemente poste a carico della società.
Stante questa situazione di privilegio, diviene molto arduo competere da parte dell’energia
rinnovabile, il cui costo di produzione è in genere più alto, anche se esso è accompagnato da una
quantità di esternalità notevolmente minore.
Finora si è provato a porre la questione perequativa attraverso il recupero di valore per i benefici
ambientali dell’energia rinnovabile. Ma ciò ha richiesto un faticoso processo
bottom up divalutazione dei danni socioambientali che si producono durante l’intero ciclo di vita delle diverse
tecnologie energetiche. Sono stati effettuati numerosi studi (per tutti si veda quello della UE detto
EXTERNE’), che dichiarano candidamente di essere incompleti e inadeguati, semplicemente perché
il grado di conoscenza dei singoli danni è insufficiente e soprattutto la catena delle loro
interconnessioni con l’ambiente è quasi del tutto sconosciuta. Il grande lavoro fatto nei decenni
trascorsi ha portato al risultato che la stima economica di un certo danno è spesso molto diversa a
seconda dello studio che l’ha prodotta. Su una cosa, tuttavia, tutti gli studi concordano: che i valori
ottenuti sono tutti approssimati per difetto e che occorre procedere a ulteriori approfondimenti mano
a mano che la conoscenza della catena dei danni diviene migliore. Quanti decenni ancora serviranno
per arrivare alla conclusione?
Intanto i valori oggi tabulati si dimostrano del tutto insufficienti a colmare il differenziale di costo
dell’energia rinnovabile rispetto a quella convenzionale, per cui è necessario procedere a surrettizie
incentivazioni pubbliche (certificati verdi, conto energia, conto capitale, ecc) per sostenere lo
sviluppo delle NFER. La giustificazione tecnica ed economica è sostituita dalla decisione politica in
nome di un sentimento ambientale, che si pensa condiviso da tutti. Forse oggi è così. Ma quanto
durerà questa idilliaca situazione prima che i consumatori si rendano conto delle dimensioni della
spesa da sostenere a fronte del lungo periodo necessario per raggiungere la competitività? Prima che
ciò avvenga sarebbe opportuno che la questione delle esternalità fosse definita in modo che le
NFER possano camminare sulle loro gambe.
PIL
Una svolta decisiva nell’affrontare la crisi ambientale potrebbe venire cambiando radicalmente
l’approccio di contabilizzazione dei danni ambientali con l’adozione di un processo
top down dianalisi e quantificazione delle spese sociali a livello macroeconomico. In altri termini, si dovrebbe
iniziare un procedimento di acquisizione dei risultati circa la stima dei danni ambientali causati da
tutte le fonti energetiche nel computo del Prodotto Interno Lordo, cioè, per dirla con un brutto
neologismo, occorrerebbe
internalizzare le esternalità nel PIL.2
Si ricorda che l’attuale modello economico concettuale della società, sul quale operano gli
economisti, può essere rappresentato nel seguente schema semplificato di fig.1, a cui si farà
riferimento. In una prima grossolana ipotesi, si suppone che lo Stato sia organizzato come un
sistema isolato, all’interno del quale, per i soli fini economici, gli abitanti siano classificabili in due
categorie, quella dei consumatori e quella dei produttori. I consumatori vendono il loro lavoro e
prestano i loro capitali ai produttori, che a loro volta forniscono beni e servizi ai consumatori dietro
pagamento. In una situazione di equilibrio su base annuale la spesa complessiva per l’acquisto di
beni e servizi da parte dei consumatori (simbolo $ in figura) uguaglia la spesa effettuata dai
produttori in termini di remunerazione del lavoro e dei capitali prestati dai consumatori, interessi
compresi. La somma del valore monetario di tutti i beni e servizi presenti nel ciclo è quindi una
misura della ricchezza del paese ed è espressa, detratte le spese per le materie prime, dal Prodotto
Interno Lordo. A causa degli interessi guadagnati sul capitale prestato ai produttori, i consumatori
hanno nel corso tempo una maggiore disponibilità di denaro da spendere e/o da investire. Ciò fa sì
che il punto di equilibrio dinamico tra la domanda e l’offerta di beni e servizi del sistema si sposti
su un livello più alto e di conseguenza il valore del PIL aumenti. La crescita annuale del PIL è
quindi da considerare come un indice di benessere e di salute dell’economia perché la ricchezza
totale contenuta nel sistema aumenta nel tempo. Come tale ricchezza si distribuisce rispetto ai
consumatori dipende dal modello di organizzazione sociale. Tuttavia, in generale si può dire che la
ricchezza media aumenta con il crescere del PIL. E’ evidente che per ragioni fisiche di
conservazione della massa e dell’energia questo aumento annuale non potrebbe avvenire se il
sistema fosse veramente isolato, come quello che è rappresentato in figura.
Fig. 1 – Rappresentazione schematica del modello economico di società su cui è definito il PIL
(Peet J.,
Energy and the Ecological Economics of Sustainability, Island Press, Washington D. C.,1992, p.59)
In effetti, è stato trascurato nel modello un aspetto fondamentale: l’ambiente. La realtà è che il
sistema economico interagisce con l’esterno, da un lato, attraverso l’assorbimento delle risorse
naturali e, dall’altro, con la restituzione alla natura dei rifiuti. Entrambi questi aspetti vengono
ampiamente sottovalutati dal modello finora adottato, in quanto si è implicitamente accettato il
concetto della loro inesauribilità. Il valore di questi beni viene fissato dal mercato sulla base del
fatto che le risorse naturali sono considerate di proprietà privata o date in concessione ai privati e, di
conseguenza, il loro prezzo viene stabilito dalla domanda, entrando in tal modo a far parte delle
spese pagate dai produttori con i capitali disponibili. Pertanto, essendo il valore fissato dal mercato
e quindi con criteri privatistici puramente commerciali, viene ignorata completamente, sia la
valenza strategica per la società presente, sia qualunque interesse per le future generazioni. Il
modello economico attuale respinge quindi all’esterno della sua capacità di stima questi aspetti,
collocandoli tutti in un concetto generico di “esternalità” che non entrano nel conto economico
generale. Come conseguenza, aspettarsi che il mercato possa riuscire da solo ad interiorizzare le
LAVORO E CAPITALE
BENI E SERVIZI
$
CONSUMO PRODUZIONE
$
3
esternalità è una contraddizione in termini. Esse possono soltanto essere imposte dall'esterno, con
meccanismi fiscali di compensazione, che in teoria potrebbero correggere le distorsioni ambientali
prodotte dal mercato. Tuttavia tale discorso è difficile e faticoso, come dimostrano i tentativi fin qui
effettuati negli ultimi 20 anni e gli scarsi risultati conseguiti. In conclusione, pertanto, il PIL si
dimostra oggi come uno strumento inadeguato a conoscere il vero stato dell’economia (quello per
intenderci che tiene conto anche del valore ambientale e strategico delle risorse) e a rispondere alle
nuove esigenze della società a fronte sia dei limiti delle risorse, sia della cresciuta sensibilità media
per gli aspetti ambientali. E’ chiaro che fintanto che all’opinione pubblica si mostra ogni anno un
bollettino ufficiale che vede il PIL in crescita, si accredita implicitamente il concetto che la
ricchezza stia crescendo. Tutti sono contenti, mentre in realtà le risorse naturali vanno diminuendo
in un processo avviato verso la loro rarefazione ed esaurimento a danno delle future generazioni.
Verso una maggiore trasparenza
Fare emergere in chiaro gli aspetti strategici delle risorse naturali a livello di macroeconomia,
potrebbe aiutare moltissimo a sensibilizzare maggiormente l’opinione pubblica sulla necessità di
assumere misure pubbliche di contenimento dei danni ambientali.
Ad esempio, parte delle spese per la Sanità pubblica per i danni causati alla salute dalle emissioni
inquinanti, parte delle spese per interventi di risanamento del territorio dopo i disastri climatici o
dopo gli interventi di alterazione per grandi opere pubbliche, le spese extra sostenute dalle
assicurazioni per l’accresciuta frequenza delle calamità naturali, nonché degli incidenti durante il
trasporto dei combustibili fossili, le spese (in parte) della manutenzione del patrimonio artistico per
la corrosione causata dallo smog, le spese per la riforestazione per riparare i danni causati dalle
piogge acide ai boschi e quelle per recuperare la vita nei laghi, le spese militari per partecipare alle
operazioni inerenti alla sicurezza degli approvvigionamenti di petrolio, ecc., tutte queste voci di
spesa oggi vengono considerate nel modello sopra esaminato come servizi offerti dalla produzione
ai consumatori e quindi assurdamente contabilizzate nella parte attiva del PIL. Esse, cioè,
contribuiscono ufficialmente alla crescita della ricchezza nazionale. Per comprendere meglio
l’assurdità di questo aspetto, basta considerare il caso emblematico che, se il Paese fosse colpito
oggi, (con i dovuti scongiuri), da una grave epidemia cosicché le spese per la sanità aumentassero
moltissimo, il prodotto interno lordo registrerebbe uno sviluppo in crescita, segnalando all’opinione
pubblica un aumento del benessere. E’ pertanto evidente che tali voci dovrebbero essere
contabilizzate nel passivo della stima del tasso di sviluppo, in modo da avere un indice più veritiero
dello stato reale dell’economia del paese. In tal modo l’opinione pubblica verrebbe messa in
condizioni di giudicare con maggiore responsabilità circa la necessità delle misure economiche
d’intervento pubblico sulle questioni ambientali.
Poiché sarebbe utopistico pensare che l’intero sistema economico globale potesse riconoscere di
colpo queste nuove regole nel calcolo del PIL, cosa che d’altra parte sarebbe indispensabile per
ragioni di equità concorrenziale tra i vari paesi, l’approccio più conveniente sembra essere quello di
cominciare a sperimentare in modo ufficiale anche in Italia, come si è cominciato a fare in alcuni
paesi della UE, una contabilità nazionale parallela, che potrebbe portare in seguito ad una nuova
formulazione del PIL (spesso chiamato PIL-Verde). Per capire in che cosa consiste il PIL-Verde,
facciamo riferimento al nuovo modello economico raffigurato nella Fig.2, ottenuto dal precedente
mediante l’inserimento della fase di sfruttamento delle risorse naturali a monte della produzione e di
quella del trattamento, riciclo e messa in discarica dei rifiuti prodotti a valle della produzione e del
consumo. Il nuovo modo di calcolare il PIL prevede che per la fornitura di ogni bene e/o servizio il
consumatore paghi non solo (come fa ora) i costi della sola fase di produzione, ma anche i costi
“esterni” a questa, cioè i costi di chiusura del ciclo, che finora sono messi a carico della società. Si
tratta della spesa, oggi sostenuta dalla società, dovuta allo sfruttamento delle risorse naturali
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prelevate dall’ambiente e quella del trattamento dei rifiuti e della loro collocazione a fine ciclo
nell’ambiente stesso. Occorre dire subito che, essendo tali costi, appunto, esterni al processo
economico regolato dal mercato, è impossibile stabilire la loro entità sulla base della domanda e
dell’offerta. Infatti, essi vengono a dipendere dal valore discrezionale assegnato dal sentimento
comune nei confronti dei beni ambientali. In altre parole, il loro valore non è stabilito dal mercato,
ma è assegnato su base sociopolitica. In ogni caso, una volta che si riesca a contabilizzare il valore
di tale spesa, esso dovrà essere portato in detrazione nel calcolo del PIL tradizionale, ottenendo così
una stima più veritiera della ricchezza del paese perché ora il PIL tiene conto anche del consumo
dei beni ambientali (PIL Verde). Come si potrà comprendere facilmente, la debolezza del PIL
Verde risiede nella discrezionalità circa il valore da assegnare alle esternalità. Ciò fa sì che occorra
assumere criteri di giudizio comuni a livello internazionale, prima di poter sostituire il PIL
tradizionale. L’estrema difficoltà di questo processo è testimoniata dal fatto che nemmeno a livello
della UE, in cui il sentimento di protezione e salvaguardia dell’ambiente è abbastanza omogeneo, si
sia ancora riusciti a convenire sui criteri da scegliere.
Fig.2 – Schema di principio di un sistema economico allargato fino a contenere le risorse primarie a
cui attinge la produzione ed il sistema di trattamente, recupero e messa in discarica dei rifiuti
emessi, sia dalla produzione, sia dal consumo.
PIL ed energia
Per quanto attiene agli aspetti collegati alla produzione ed al consumo di energia, come prima cosa,
occorre modificare il modello schematico di riferimento economico di fig.1, facendo emergere gli
aspetti vitali e strategici dell’energia come motore dell’economia. Nel modello sopra discusso, il
settore dell’energia è considerato come parte all’interno del blocco della produzione. Un nuovo
schema più aderente alla realtà è raffigurato nella fig. 3.
LAVORO E CAPITALE
BENI E SERVIZI
$
CONSUMO PRODUZIONE
$
SISTEMA TRATTAMENTO
RIFIUTI
RISORSE
PRIMARIE
NATURALI
5
Fig.3 – Modello economico di principio con dettaglio del contributo alla produzione del sistema
energetico, completo degli
inputs delle risorse primarie e degli outputs dei rifiuti inquinanti (PeetJ.,
Energy and the Ecological Economics of Sustainability, Island Press, Washington D. C., 1992,p.88)
Il settore energetico appare enucleato dalla produzione e dal consumo, ai quali però è strettamente
collegato sia attraverso la fornitura di energia E per i processi produttivi di beni e servizi, sia per
l’acquisizione di capitale e lavoro necessaria per il suo funzionamento. Se F rappresenta il
contenuto energetico del capitale e del lavoro fornito dal ciclo economico al sistema energetico,
allora E è l’energia al netto di F.
Nel nuovo modello sono evidenziati nello stadio della produzione dei beni e servizi gli
inputs sia dimaterie prime, sia della quantità E di energia necessaria ad alimentare il ciclo. Se uno di questi due
inputs
viene a mancare, la produzione di beni e servizi si blocca. Il flusso di E verso la produzione èpertanto una condizione “sine qua non” per mantenere attivo il ciclo economico e determinare il
valore del PIL. L’energia E, a sua volta, proviene dal sistema di trasformazione energetica, che ha il
compito di convertire l’
input G dell’energia primaria nelle varie forme di energia secondaria, che,oltre ad alimentare la produzione, vanno a sostenere il sistema stesso di trasformazione con una
quota di autoconsumo H. I rifiuti inquinanti provenienti dai diversi stadi sono rappresentati come
outputs
verso l’ambiente, ma tutti facenti parte integrante dell’intero sistema economico.Uno studio dettagliato di questo modello dovrebbe permettere di mettere in evidenza le esternalità
dovute al settore energetico rispetto al mix attuale di combustibili usati nell’
input G. La valutazionedi tali esternalità potrebbe dare una misura adeguata della loro incidenza negativa sul PIL,
permettendo per converso la definizione del valore ambientale da assegnare all’energia rinnovabile,
in modo da convincere l’opinione pubblica (soprattutto le associazioni dei consumatori che si
mostrano particolarmente sensibili su questo punto) ad accettare i provvedimenti di sostegno
necessari per incentivare il processo di penetrazione nell’uso delle fonti rinnovabili, non già come
misure assistenziali, ma piuttosto come misure che si giustificano sul piano economico nel bilancio
generale del Paese.
PIL e CO
2Come si è visto, tra il valore del PIL e la quantità di energia E che alimenta il processo produttivo
esiste una dipendenza diretta. Pertanto, a parte le situazioni di discontinuità causate dalle crisi
H
E
F G
LAVORO E CAPITALE
BENI E SERVIZI
$
CONSUMO PRODUZIONE
$
SISTEMA DI
TRASFORMAZIONE
DELL’ENERGIA
MATERIE
PRIME
RISORSE
ENERGETICHE
RIFIUTI INQUINANTI
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economiche improvvise, un sistema economico stabile è caratterizzato da una situazione di
proporzionalità tra i due parametri macroeconomici (proporzionalità sicuramente valida per un
periodo di qualche anno a cavallo dell’anno presente). Pertanto si potrà scrivere che:
E = I
E (PIL)Dove la costante di proporzionalità I
E, detta intensità energetica, rappresenta la quantità di energianecessaria per produrre 1$ di PIL. Essa è espressa in genere in tep/$, o suoi multipli, con il (PIL)
dato in dollari ed E in tep.
Con riferimento allo schema di Fg.3 si può seguire il flusso dell’energia dalle risorse primarie al
sistema della produzione di beni e servizi. Si trova che:
E +H =
h(G – F)Dove
h è l’efficienza del sistema di trasformazione dell’energia.Pertanto, l’energia netta E assorbita dal sistema di produzione risulta:
E =
h(G –F) – HNelle condizioni attuali dei sistemi economici dei paesi industriali, l’energia di ritorno F è molto più
piccola della quantità di energia primaria G ed anche l’autoconsumo H è reso piccolo in confronto
all’energia utile E. Quindi, in prima approssimazione questi due termini possono essere trascurati,
per cui si può dire che:
E
@ hGSostituendo nella precedente , otteniamo pertanto:
G = I
E (PIL)/hL’energia primaria G proviene per una parte G
f dai combustibili fossili e per una parte Gr dalle fontirinnovabili e dal nucleare. Allora la quantità annuale delle emissioni di anidride carbonica sarà
dovuta soltanto alla parte G
f e varrà:(CO
2) = IC GfDove I
C è il fattore specifico di emissione mediato sul mix di combustibili usato ed espresso intonnellate di CO
2 per tep o suoi multipli (anche detto intensità di carbonio quando viene espresso intonnellate di carbonio per tep). In definitiva si avrà l’espressione finale:
(CO
2) = IC IE (PIL)/h - IC GrQuesta relazione ci fa capire subito molte cose importanti ai fini della discussione “filosofica” che
si sta svolgendo circa il PIL e la cosiddetta decrescita:
1 - La quantità di emissioni è proporzionale al PIL. A parità delle altre condizioni, se cresce il PIL
crescono le emissioni e, viceversa, se esso decresce, diminuiscono le emissioni.
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2 - Per un certo valore del PIL, si possono avere meno emissioni, sia riducendo il fattore di
emissione mediante l’uso di combustibili contenenti meno carbonio, sia abbassando il valore
dell’intensità energetica mediante il risparmio energetico e l’uso più razionale dell’energia.
3 - A parità delle altre condizioni, si producono meno emissioni se l’efficienza
h del sistema ditrasformazione dell’energia primaria aumenta.
4 - Mantenendo il PIL costante, le emissioni possono essere ridotte aumentando il contributo G
rdell’energia rinnovabile e del nucleare.
Da quanto abbiamo visto in precedenza circa la relazione che lega il PIL alla ricchezza del Paese ed
al benessere medio dei suoi cittadini, c’è da augurarsi che nessuno voglia pensare alla riduzione del
PIL come mezzo per abbassare le emissioni di anidride carbonica di cui al punto 1 dell’elenco
precedente.
Per combattere efficacemente la crisi climatica esistono infatti tutti i provvedimenti meno drastici
che sono elencati nei punti successivi, sui quali bisognerebbe operare a partire da subito.
In particolare, esprimendo qualche riserva circa il nucleare per i noti motivi inerenti alla sicurezza
degli impianti e ai problemi delle scorie radioattive e soprattutto guardando le cose in una
prospettiva di sviluppo nel lungo termine, sembra particolarmente vantaggiosa l’azione prospettata
nel punto 4 relativa all’aumento significativo della quota di energia primaria proveniente dalle fonti
rinnovabili in sostituzione dei combustibili fossili.