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Bomba a termostato

di La Voce d'Italia - 12/12/2006

I cambiamenti climatici distruggono la Terra e chi ci sta sopra.

A Nairobi c’è stato spazio anche per loro; uno spazio drammaticamente conquistato con l’inesorabilità dei numeri. Potrebbero essere 50 milioni entro 5 anni, secondo le previsioni dell’Istituto per l’ambiente e la sicurezza umana dell’Università delle Nazioni Unite. Si tratta dei rifugiati ambientali, una categoria che ancora fatica a trovare spazio nei trattati internazionali, ma che ha ormai superato il numero degli sfollati generati dai conflitti bellici. Per rifugiato ambientale s’intende colui che è costretto a emigrare perché il luogo dove vive non è più abitabile a causa di fenomeni ambientali; così come avvenimenti naturali catastrofici quali i terremoti, le inondazioni e gli tsunami, i cambiamenti climatici costringono le persone ad abbandonare la propria terra perché non più in grado di provvedere alla sussistenza locale o perché diventate troppo inospitali, se non addirittura inabitabili.

Desertificazione, erosione del suolo o mancanza d’acqua rendono la terra improduttiva, sia per l’agricoltura sia per l’economia pastorale, costringendo una parte della popolazione a spostarsi all’interno del proprio territorio o all’estero, o sempre più spesso verso le città. Il flusso in direzione dei grandi centri abitati ha già raggiunto dimensioni impressionanti soprattutto in Kenya, Messico e Cina, dove si sono sviluppate delle megalopoli; questa urbanizzazione di massa crea degli squilibri sociali che si materializzano nelle baraccopoli situate nelle cinture esterne delle città, come nella stessa Nairobi o a Città del Messico, creando notevoli squilibri sociali e aumentando esponenzialmente la povertà, la violenza, la produzione di rifiuti e le epidemie.

I cambiamenti climatici sono la causa principale dell’incremento del fenomeno; è un problema che si sta manifestando un po’ ovunque, ma se i Paesi più sviluppati sono in grado di far fronte ai cambiamenti riadattando il proprio sistema agricolo e produttivo, i Paesi in via di sviluppo sono colpiti violentemente dalle modificazioni del clima per quanto riguarda la disponibilità di cibo e acqua.

Ad aumentare queste difficoltà di adattamento interviene, in certe zone, uno sviluppo industriale senza regole che letteralmente divora le materie prime, alla base dei sistemi socio-economici locali; un esempio è l’esaurimento delle falde acquifere indiane prosciugate dal massiccio prelievo industriale delle grandi multinazionali, che ha portato al superamento delle capacità idriche locali e alla disgregazione di intere comunità i cui componenti sono stati costretti a emigrare.

Esiste una stretta correlazione tra cambiamenti climatici, modificazione delle condizioni ambientali e necessità di emigrazione; si tratta di un fenomeno relativamente nuovo non tanto nelle cause, ma nelle dimensioni e nella velocità con il quale si sta compiendo. Esiste, perciò, l’urgenza di riconoscere a livello internazionale lo status di rifugiato ambientale e creare una disciplina di tutela, soprattutto nelle politiche di regolazione dei flussi migratori che tendono a sottovalutare o non considerare affatto le pressioni ambientali come origine dell’emigrazione. Tale riconoscimento sarebbe indispensabile per pianificare degli interventi volti a sradicare le cause delle migrazioni di massa, che non possono ridursi ai soli aiuti economici: dovranno essere necessariamente considerati gli aspetti politici, tecnologici e scientifici per elaborare soluzioni d’adattamento e limitare gli effetti dei cambiamenti climatici.

È una questione globale che non può più essere considerata marginale.