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Damasco e Bagdad riprendono a parlarsi

di Mariana Belenkaia* - 13/12/2006




Il riavvicinamento tra l’Iraq e la Siria dopo decenni di disaccordo, modifica profondamente il dato politico nel Vicino Oriente. Tanto più che l’Iran influenza sotto banco buona parte del governo iracheno. Come sottolinea Marianna Belenkaja, gli Stati Uniti non controllano più granché in un paese che pure occupano militarmente.


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4 dicembre 2006


Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna tentano di correggere la loro politica verso l’Iraq e verso il «Grande Vicino Oriente» nel suo complesso. Tuttavia, essi non sono i soli ad apportare correzioni : lo fanno anche i paesi della regione. Dopo un quarto di secolo di malintesi, Damasco e Bagdad hanno ristabilito le loro relazioni diplomatiche.



Che cosa succede e in quale misura questi processi sono correlati ?



Ricordiamo che nel mese di novembre il Primo ministro britannico Tony Blair ha dichiarato a più riprese che sarebbe bene che la Siria e l’Iran fossero coinvolti nella regolazione dei problemi regionali (iracheno e palestinese). Un’idea simile è stata espressa dall’ex segretario di Stato statunitense Henry Kissinger, per il quale la normalizzazione della situazione in Iraq potrebbe essere acquisita attraverso sforzi diplomatici della comunità internazionale, specialmente dell’Iran e della Siria, immediati vicini dell’Iraq. In particolare, egli ha suggerito la convocazione di una conferenza internazionale con la partecipazione dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’ONU, dei vicini dell’Iraq e di potenza regionali come l’India ed il Pakistan, per fare dei passi avanti nella regione vicino-orientale.



Diciamolo francamente : quest’idea non ha niente di nuovo. Praticamente dall’indomani del rovesciamento del regime di Saddam Hussein, la Russia aveva proposto di far partecipare i vicini dell’Iraq al dialogo sulla situazione in questo paese. Tuttavia, quest’idea non doveva essere parzialmente realizzata che nel novembre 2004, con un primo incontro dei paesi limitrofi, nel quadro della Conferenza internazionale sull’Iraq, tenuta Sharm el-Sheikh.



Come oggi possiamo constatare, i tentativi intrapresi collettivamente per stabilizzare la situazione in Iraq non hanno dato l’effetto scontato. Perché ? Essenzialmente perché i politici iracheni sono più o meno dipendenti da Washington e anche da forze ufficiali ed ufficiose che operano nei paesi vicini all’Iraq.



L’Iran e l’Arabia Saudita sono concorrenti in Iraq e in tutto il Vicino Oriente. Da un altro lato, la tensione nei rapporti di Damasco e Teheran con l’Occidente non è un segreto per nessuno. Generalmente, nella regione ognuno conduce il suo gioco. D’altra parte, il fatto che nessuno abbia intenzione di facilitare la vita a Washington nel Vicino Oriente si riflette pure, in modo del tutto naturale, sulla situazione in Iraq.



Da parte loro, non erano certo gli Stati Uniti i più pressati per iniziare una cooperazione costruttiva sull’Iraq con la Siria e l’Iran, sebbene quest’idea fosse costantemente nell’aria e tentativi per impegnarsi nel dialogo fossero stati qua e là annunciati. Ma ora le più alte istituzioni di Washington e Londra ha in vista l’eventuale coordinamento della loro politica con quelle di Damasco e di Teheran, in ogni caso per quel che concerne l’Iraq.



È su questo sfondo, come per un colpo di bacchetta magica, che l’Iraq e la Siria ristabiliscono le loro relazioni diplomatiche, interrotte da un quarto di secolo. Questo alla vigilia di una nuova visita del presidente iracheno a Teheran.



Anche qui molte cose dipendono dal contesto sulla scacchiera internazionale.



E’ evidente che il ripristino delle relazioni diplomatiche tra Damasco e Bagdad non è stato fatto senza l’intervento di Washington. In effetti, la rottura si era prodotta all’epoca di Saddam Hussein. Di conseguenza, la deposizione del suo regime aveva aperto la via al dialogo.



Ma questo ristabilirsi delle relazioni diplomatiche avrà richiesto più di tre anni. Nel corso di questo periodo sono avvenuti dei contatti tra i politici siriani ed iracheni, ma più spesso si è data lettura dei comunicati di Bagdad che accusavano Damasco di destabilizzare la situazione in Iraq. In fondo, si trattava semplicemente di una versione irachena dei comunicati statunitensi. Ma la situazione è cambiata del tutto ed è il momento che Washington e Londra hanno scelto per puntare ad un dialogo con gli influenti vicini dell’Iraq. Coïncidenza fortuita ?



In attesa, la retorica occidentale verso Damasco e Teheran non evoca per nulla il linguaggio del dialogo, rimane il linguaggio dell’ultimatum. Così, nell’esprimere le sue condoglianze ai Libanesi in occasione dell’assassinio del ministro dell’Industria Pierre Gemayel, il presidente George W. Bush ha rilevato che gli Stati Uniti appoggiano gli sforzi applicati dal governo libanese « in vista di proteggere la democrazia contro i tentativi fatti dalla Siria, l’Iran e dai loro alleati per seminare la destabilizzazione e la violenza in quel paese ». Queste considerazioni sono state fatte alcune ore dopo che numerosi analisti specializzati sul Vicino Oriente avevano espresso la speranza di un riavvicinamento delle relazioni siriano-statunitensi alla luce del ripristino delle relazioni diplomatiche tra Damasco e Bagdad.



La posizione di Londra nei confronti della Siria è più morbida che verso Iran, ma questo in fondo non cambia nulla. Washington costringe Teheran e Damasco a restare insieme. Quale forma prenderà allora la triplice alleanza per l’Occidente ? Alleggerirà la situazione degli Stati Uniti e dei Britannici in Iraq o, al contrario, la complicherà ?



Nel corso di una recente visita effettuata a Bagdad, il ministro degli Esteri siriano Walid Muallem, ha dichiarato che « la definizione del calendario del ritiro delle truppe straniere d’occupazione dall’Iraq, in primo luogo di quelle statunitensi, contribuirebbe a ridurre il livello di violenza in questo paese ». E’ quello che numerosi diplomatici arabi e russi non cessano di ripetere in questi ultimi anni. In queste affermazioni, c’è una gran parte di verità, ma il calendario in questione non è una panacea. Perché se gli Stati Uniti continuano a fare pressione su Damasco e Teheran indipendentemente dal contesto iracheno, questo si ripercuoterà anche sull’Iraq. Il che significa che la regolazione del problema nucleare iraniano e l’evoluzione degli avvenimenti nella zona del conflitto israelo-palestinese e nel Libano si ripercuoteranno sulla regolazione irachena. Ora, su queste direttrici, la situazione è oscura quanto in Iraq.



Si ignora del tutto ciò che alla fine vogliono fare gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, gli altri membri del Consiglio di sicurezza dell’ONU e gli altri influenti attori nel Vicino Oriente. Cooperare in una direzione e opporsi in altre non è fattibile. Già è difficile collaborare senza opposizione, allora…



* Commentatrice di questioni politiche




Fonte: Voltaire, édition internationale