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Prefazione a "Del Principio Federativo" di P.J. Proudhon

di Paolo Bonacchi - 15/12/2006

Fonte: profed

Presentazione 

 

Ci siamo impegnati nella traduzione di questo libro per diffondere l'idea del federalismo nella purezza dei suoi principi, come avrebbe detto Pierre-Joseph Proudhon (1809-1865). Forse nessuno come lui ha saputo descriverlo in modo tanto efficace e comprensibile anche per i non addetti ai lavori. Non esiste cosa altrettanto importante per l'uomo moderno, quanto la diffusione delle informazioni. E' perfettamente inutile declamare i sacri principi dell'uguaglianza, della giustizia, della libertà, della democrazia e lasciare che la coscienza dei cittadini si formi in un modo arbitrario, incompleto oppure attraverso informazioni false.

Forze oscure agiscono contro gli uomini come contro la società. Queste forze si riassumono nell'ignoranza e nel potere che per dominare impediscono con la loro azione la crescita delle coscienze.

Non è facile al tempo d'oggi per un cittadino comune, avere la pazienza e la buona volontà necessarie per leggere un libro di politica scritto più di un secolo fa. Lo scempio che in Italia viene quotidianamente perpetrato contro lo spirito della società, ha alla fine allontanato gli italiani dalla passione della politica e dalla partecipazione alla vita collettiva. Tuttavia quelli che si vorranno cimentare nell' impresa di leggere "Del principio federativo" e si sforzeranno di capire quanto in esso contenuto, conosceranno quali siano le ragioni ed i principi del federalismo, di cui moltissimi oggi parlano senza conoscerlo. Il libro costituisce senza dubbio il testamento politico di uno dei più grandi pensatori del diciannovesimo secolo.

Se dovessimo affidarci ai giornali oppure alle televisioni di casa nostra per avere una idea chiara su ciò che è il federalismo, probabilmente non riusciremmo mai a capirlo. Quasi tutti oggi si dichiarano più o meno federalisti; la gente in genere crede che il federalismo consista approssimativamente nel portare le istituzioni un pò più vicine ai cittadini. Questo è vero solo nel senso che la prima condizione del federalismo è che i cittadini sono lo Stato, e che è loro interesse avere le istituzioni vicine per meglio controllarle ed indirizzarle.

La grande difficoltà nell'essere dei veri federalisti consiste nel fatto di conoscere le sue origini, i suoi principi e le ragioni sulle quali si appoggia. Chi si dichiara contrario al federalismo, poi, dovrebbe almeno avere il pudore di giustificare l'avversione con la sua conoscenza.

Del resto non si può neppure continuare ad avere la pretesa di cambiare lo Stato in senso federale, presentando ai cittadini un'immagine assurda, falsa, incompleta o di comodo di ciò che esso è, come ad esempio hanno fatto gli estensori del testo per la riforma della Costituzione riuniti in Commissione bilaterale. Questo documento, che è stato presentato dagli organi di informazione come riforma dello Stato italiano in senso federale, non è che una gigantesca truffa, un inganno, una miserabile menzogna. In esso di federalismo, non c'è assolutamente niente; è solo l'ennesimo trucco con cui i partiti vogliono continuare ad avere, attraverso il Parlamento, un potere superiore a quello del popolo che è Stato.

Sebbene sia sconosciuto al grande pubblico, le opere di Proudhon sono state studiate da sociologi, filosofi ed economisti ed il suo pensiero é stato condiviso sia da conservatori che da progressisti, da sindacalisti riformisti o rivoluzionari, da circoli di estrema destra e da circoli di estrema sinistra, da liberali e da comunisti ed anche da reazionari.

Molti hanno utilizzato le sue idee di volta in volta per affermare le loro tesi o per perseguire i propri scopi. I più attribuiscono ciò alle contraddizioni del suo pensiero in cui ognuno può vedere quello che gli torna comodo. La verità non ha definizioni, non ha partiti né correnti, né indirizzi particolari. Ma per trovarla, è necessario cercare con attenzione, guardare in profondità, e non limitarsi a leggere superficialmente o isolatamente solo le parti che corrispondono al nostro punto di vista. Forse é per questo che in molte parti delle opere di Proudhon, ognuno può ritrovare le proprie ragioni ed avere un'idea errata della frammentarietà e del disordine delle sue analisi. Leggendo le sue opere e riflettendo sul loro contenuto, è facile trovare la radice unitaria del suo pensiero.

Alla traduzione del testo non abbiamo aggiunto alcun commento personale o di scienziati della politica, o di filosofi, sociologi ed economisti su quanto egli ha scritto.

Ci è capitato di conoscerlo per caso, da semplici cittadini che ad un certo punto della vita, alcuni anni orsono, hanno voluto occuparsi della politica. Abbiamo avuto notevoli difficoltà a trovare le sue opere, ma alla fine siamo stati ricompensati.

Abbiamo cercato di capire al di fuori degli schemi, dei partiti, delle fazioni, degli indirizzi, e ci siamo convinti che ognuno deve farsi una sua idea personale dell'opera che qui presentiamo tradotta in italiano. I commenti, le note, le spiegazioni, le classificazioni, gli accostamenti, le divergenze, le esaltazioni e le condanne oppure i tagli suggeriti dalla convenienza ideologica di chi ha voluto interpretare questo autore con spirito di parte, influirebbero negativamente sulla libertà di giudizio del lettore. Che ognuno giudichi da sé, secondo la propria capacità ed esperienza: pensiamo che questo sia il modo migliore per apprezzare la sua opera ed entrare in sintonia col federalismo.

Il lavoro, a parte il rigore della traduzione, non ha alcuna pretesa scientifica. E' bene lasciare agli scienziati il compito di analizzare ed approfondire le singole parti dell'opera. In Del principio federativo Proudhon si rivolgeva direttamente ai suoi lettori, che erano più che altro semplici operai, artigiani, piccoli commercianti: gente comune che aveva poca o nessuna dimestichezza con la politica e le scienze sociali. Era per migliorare la loro condizione culturale e sociale che scriveva e studiava. Il nostro compito é solo quello di riproporre il suo pensiero e cercare di contraddire brevemente, con le sue stesse parole e con ciò che l'esperienza di questo secolo ci ha dimostrato, i giudizi negativi di coloro che per convenienza personale o politica, lo hanno condannato o dimenticato.

Via via che il libro scorrerà davanti ai vostri occhi vi renderete conto delle enormi forze che in ogni tempo agiscono nella società; della natura e dell'origine del potere; delle sue degenerazioni attraverso i partiti; di come la debolezza e l'eterna variabilità degli uomini influiscano sulla politica; ed ancora del perché si formi uno Stato unitario accentrato che con le sue infinite leggi permette lo sviluppo e la crescita della corruzione e dello spreco della ricchezza e come esso generi naturalmente l'elefantiasi della burocrazia. Conoscerete le ragioni per cui il grande capitale si allea volentieri con i partiti e come il popolo, in una democrazia, possa finire col non contare quasi niente essendo le elezioni solo una finzione, una maschera del potere. E' per questo che le leggi dello Stato non riflettono tanto la volontà del popolo, quanto quella dei gruppi economici che attraverso i partiti ed i sindacati lo dominano. Vi sembrerà che il libro sia stato scritto ieri e non centotrentacinque anni fa, perché sotto diversi aspetti, molte parti sono in perfetta sintonia con la situazione attuale della politica italiana.

Anche se i tempi sono diversi ed è perciò comprensibile che alcuni punti non corrispondano al modo di pensare di oggi, se leggerete il libro con attenzione, alla fine avrete un'idea chiara di come il federalismo sia una grande, profonda e progressiva rivoluzione sociale che senza violenza determinerà un radicale cambiamento della struttura dello Stato. Questa rivoluzione appare oggi sempre più necessaria per sostituire all'instabilità della politica ed all'insicurezza della società, un ordine politico basato sulla Legge intesa come contenuto del patto, del contratto fra cittadini e fra cittadini ed eletti. Ciò realizzerà nel tempo una Costituzione Progressiva, aderente allo spirito, agli interessi ed alle aspettative dei cittadini, e lo Stato non sarà che un effetto della loro volontà.

In poche parole: chi avrà la pazienza di leggere tutto il libro e di meditarlo, con ogni probabilità diventerà un vero federalista.

Capirà come col federalismo, che Proudhon presenta nella sua vera natura, ogni società di uomini possa progredire tranquillamente nella sicurezza e nel maggiore benessere, perché ognuno sa che lo Stato costruito dal popolo per il popolo, gli è amico e gli rende più libera, facile, serena e sicura la vita di ogni giorno.

Nel libro Proudhon chiede spesso ai suoi lettori " di aver pazienza ", " di leggere con pazienza ", " di avere la bontà di continuare a seguirlo" e che alla fine tutto sarà chiaro. Questa è la nostra stessa avvertenza, perché solo la comprensione e la conoscenza possono aiutarci ad uscire dal pantano politico, dal disordine morale, dall'egoismo individuale, dal degrado civile e sociale in cui in l'Italia sta sempre più sprofondando.

E' di questa conoscenza che l'Italia di oggi ha bisogno per cambiare, e quanto più ognuno saprà essere semplice e rigoroso nell'affermazione dei principi del federalismo, tanto più sarà possibile un' autentica trasformazione dello Stato: una rivoluzione graduale e pacifica che strappandolo dalle mani dei partiti, dei sindacati e del potere economico e rimettendolo nelle mani dei cittadini, porrà di nuovo il nostro paese in cammino verso la civiltà.

Ancora una cosa chiediamo ai lettori: non abbiate pregiudizi su Proudhon senza aver letto le sue opere. Egli ha sempre avuto contro il potere economico, il potere politico ed il potere delle Chiese; ma il modo arbitrario in cui attraverso la manipolazioni delle informazioni nel suo e nel nostro secolo essi abbiano rappresentato una economia, un potere, ed uno Spirito al servizio del progresso umano, è storia di menzogna e di violenza che tutti conoscono.

 


 

Il profeta del federalismo

Pierre-Joseph Proudhon non è stato l'unico sociologo federalista della storia, ma certamente è stato il suo più grande profeta. Per la maggior parte di noi non è facile credere ai profeti, specialmente a quelli politici. Ma quando l'esperienza ed il tempo hanno confermato le loro intuizioni nella pratica della vita sociale, il nostro spirito entra con facilità in sintonia con le loro osservazioni. Il verificarsi delle contraddizioni da essi indicate molto tempo prima che i fenomeni sociali le manifestassero, fanno sorgere spontaneamente la fiducia

La storia non ha reso ragione a questo grande pensatore. Egli stesso descrivendosi socialista, anarchico e ateo, si è autoescluso dalla considerazione di gran parte della pubblica opinione, e questa può essere una delle ragioni dei pregiudizi che molti si sono fatti di lui. Ma il significato di queste collocazioni era allora del tutto diverso da quello che noi gli attribuiamo oggi. Come il termine comunità, che egli usava per comunismo, non ha più oggi alcuna relazione con esso, così è probabile che per lui la parola socialista avesse più il significato di studioso dell'uomo e dei fenomeni che si verificano nella società, allo scopo di migliorare la condizione della vita umana che del politico, mentre per ateo probabilmente allora si intendeva solo un non cattolico.

Proudhon non era senza difetti. E' vero che ai nostri occhi essi appaiono tanto più grandi, quanto maggiore è la considerazione che abbiamo dell'uomo. La sua dura polemica contro gli ebrei, suscita meraviglia ai nostri giorni: una vasta coscienza, unita ad una potente intelligenza, si dileguano davanti ai giudizi che espresse sull'ebraismo. Dove dobbiamo ricercare la ragione di ciò? Per esprimere un giudizio obiettivo sulle questa sua posizione, bisognerebbe conoscere i suoi tempi e la situazione dell'ebraismo di allora. Niente nasce dal nulla. Verrebbe voglia di dire: "Chi non ha colpa, scagli la prima pietra."

Molte sono le ragioni del suo immeritato destino; sicuramente la sinistra intera che con estrema superficialità lo ha bollato di contraddittorio e borghese, e perciò di inattendibile, ne è la prima responsabile. Neppure in questo è stato smentito il vangelo del suo massimo messia. Marx infatti, dopo averlo definito "il Rousseau Voltaire di Luigi Bonaparte", ed aver espresso giudizi altamente positivi sul suo pensiero, in Miseria della filosofia, scritto in risposta al libro di Proudhon Sistema delle contraddizioni economiche o Filosofia della miseria, lo definisce un piccolo borghese e lo attacca con intolleranza e cruda violenza.

Alla fine il fallimento del comunismo, rendendo ragione a Proudhon, ha espresso il suo inappellabile giudizio proprio sulle dottrine di Marx. Proudhon, il profeta, alcuni decenni prima dell'avvento del comunismo, aveva intuito che la realizzazione pratica del pensiero marxista avrebbe condotto esattamente ai risultati conseguiti nei paesi dove esso è stato applicato. In ogni sua opera egli si dimostra un accanito oppositore della concezione comunista e sempre sostenitore della libertà.

In Che cosa è la proprietà, definiva il comunismo oppressione e schiavitù; sei anni più tardi nel suo libro Sistema delle contraddizioni economiche, riprende con vigore la sua condanna affermando che il comunismo sarebbe stato:"...Dittatura dell'industria, dittatura del commercio, dittatura del pensiero, dittatura della vita sociale e nella vita privata, dittatura in ogni luogo: tale è il dogma. ....... Dopo aver soppresso tutte le volontà individuali, il comunismo le concentra tutte in un'autorità suprema che esprime il pensiero collettivo e, come il motore immobile di Aristotele, dà il via a tutte le attività subalterne. Così, per il semplice sviluppo dell'idea, si è inevitabilmente portati a concludere che l'ideale del comunismo è l'assolutismo. Ed invano si potrebbe prendere come scusa che questo assolutismo sarà transitorio; se una cosa è necessaria un solo istante, essa lo diventa per sempre, la transizione è eterna."

Ma la sua più grande profezia fu quella sul federalismo che riassume in modo mirabile in una nota del cap. VII di Del principio federativo. In essa egli definisce una finzione di legista il contratto sociale di Rousseau, "...immaginata per rendere conto senza ricorrere al diritto divino, all'autorità paterna o alla necessità sociale, della formazione dello Stato e dei rapporti fra il governo e gli individui. Questa teoria, mutuata dai Calvinisti, costituiva nel 1746 un appannaggio della legge di natura e della religione. Nel sistema federativo, il contratto sociale è più di una finzione, è un patto positivo, effettivo, che è stato realmente proposto, discusso, votato e adottato e che si modifica regolarmente secondo la volontà dei contraenti. Fra il contratto federativo e quello di Rousseau e del 93, c'è tutta la distanza che passa fra la realtà e l'ipotesi." Tutti sembrano aver oggi dimenticato queste parole: per primi quelli che per dovere istituzionale dovrebbero conoscerle più di ogni altro e che invece le ignorano o per malafede o per tornaconto o semplicemente perché non le hanno meditate o addirittura mai lette.

 


 

Il socialista, l'ateo e l'anarchico.

 

Ma torniamo al Proudhon che si presentava come socialista, anarchico ed ateo. Togliamoci il paraocchi dei pregiudizi e giudichiamolo, se ciò è opportuno, dalle sue stesse opere. Per lui essere socialista, significava probabilmente, l'abbiamo già detto, definire, isolare e conoscere le forze che agiscono nella società per effetto della natura e del comportamento variabile degli uomini e porre i risultati delle sue ricerche al servizio del miglioramento dell'uomo e della sua società. Proudhon vide come il socialismo presto trasmigrasse dall'esaltazione dell'individualità e della società, all'esaltazione della funzione e del ruolo dello Stato. Comprese allora che questo processo avrebbe portato, ovunque fosse stato realizzato, al comunismo, cioè alla miseria, alla povertà ed alla tirannia statalista, che è la peggiore di qualsiasi tirannia.

Le sue origini modestissime, gli fecero presto comprendere quanto ingiusta fosse la miseria soprattutto per i fanciulli innocenti che come lui, senza colpa, dovevano subirla. Ancora ragazzo si chiese dove dovesse ricercarsi la causa che genera la povertà. Già in una delle sue prime opere, De la célébration du Dimanche, si propose di: "...trovare uno stato di eguaglianza che non sia né comunismo, né dispotismo, né dispersione, né anarchia ma libertà nell'ordine, ed indipendenza nell'unità."

Pur dichiarandosi socialista, non nascose mai a se stesso l'impotenza nella pratica di questa concezione politica, a causa soprattutto dell'altalenante velleitarismo riformista e della sua incoerenza pratica; ossia delle debolezze eterne del socialismo. Egli forse si definiva socialista perché aveva una concezione spirituale della società in cui, in contrasto col suo ateismo, cercava " un' ipotesi d' un Dio" senza la quale gli era "impossibile andare innanzi ed essere capito." " Se io seguo, attraverso le sue trasformazioni successive l'idea di Dio, trovo che questa idea è innanzitutto sociale; intendo dire che essa è piuttosto un atto di fede nel pensiero collettivo che un concetto individuale."

E' probabile che nel suo pensiero, dalla società emergesse un principio superiore dotato di forza e di una ragione segreta, quasi un Essere che lui non riusciva ad identificare nel Dio delle religioni e della storia. Gli uomini, sosteneva, non possono ingabbiare il destino di quell'Essere in un dogma, poiché si riassume nell'imprevedibilità del divenire, nell'imperscrutabilità dei disegni della natura, che si realizzano nella società umana con la continua ricerca di equilibrio fra le forze che in essa devono operare e che scontrandosi continuamente, generano conflitti, contrasti, lotte, ribellioni e rivoluzioni di ogni genere.

Egli considerò fondamentali due princìpi connessi opposti ed irriducibili su cui riposa ogni ordine politico: Autorità e Libertà. Considerò la Legge come "statuto arbitrale della volontà umana" (Della giustizia nella Rivoluzione e nella Chiesa vol.8), ed in essa indicò la forza in grado di mantenere in equilibrio i due princìpi. Si rese conto come da questa concezione derivasse la teoria del contratto, del patto, ossia della federazione, e come solo esso potesse eliminare la finzione della ragion di Stato e rendere docile il potere. Egli vide la Legge come espressione di quattro diverse concezioni. Secondo la Chiesa la Legge ed il potere discendono da Dio; per il comunismo nascono dalla proprietà; gli Stati sovrani postulano a loro giustificazione il bisogno di un qualsiasi ordine sociale, mentre per il federalismo, finalmente, il potere dello Stato non può derivare dalle finzioni, ma dalla somma delle volontà concrete e reali degli individui.

Egli comprese allora come il comunismo, eliminando semplicemente la proprietà e sostituendola col piano, disegnava una società in cui tutto è semplice e prevedibile. Il Dio del comunismo è il dogma, guai ad allontanarsene, guai a tradirlo, guai a contraddirlo. In esso tutto é facile da capire e da condividere, le soluzioni ai problemi che emergono nella vita della società risultano incredibilmente semplici e comprensibili: soddisfano l'innato bisogno di uguaglianza e di giustizia ed aboliscono tutti mali dell'uomo attraverso la dittatura del piano e la dittatura di una classe. La semplicità del comunismo, fu certamente la causa dei suoi successi e dei grandi entusiasmi che seppe suscitare nelle masse; ma i suoi princìpi rispondevano piuttosto al bisogno violento dell'anima collettiva di emergere dalla barbarie della grande disuguaglianza e della povertà, piuttosto che da una osservazione esauriente degli infiniti e complessi fenomeni che nella società continuamente si generano. Il tentativo di instaurare una società comunista, come tutti sappiamo, portò nel tempo al fallimento, ma produsse anche un insperato indebolimento sostanziale della fede nelle ideologie che, come il comunismo, presuppongono uno Stato ordinato secondo un dogma in grado di garantire un qualsiasi ordine sociale. Capì come gli Stati ideologici per affermare l'ordine sociale ipotizzato, abbiano sempre bisogno dell'accentramento del potere, e come sempre questo genera una smisurata burocrazia tirannica e violentatrice della libertà dei cittadini. Da ciò deriva per il popolo schiavitù e regresso, corruzione e degrado dell'ordine sociale, oppure violenza e guerra.

I socialisti italiani, che per primi avrebbero dovuto seguire il pensiero di Proudhon, non sono mai stati capaci di valutare con chiarezza il suo pensiero politico e si sono sempre vestiti con abiti comunisteggianti, che egli non avrebbe mai accettato né condiviso. " Per lui ( per il socialismo, scriveva Proudhon ) l'economia politica, considerata da molti come la fisiologia della ricchezza, non è altro che la pratica organizzata del furto e della miseria; come la giurisprudenza, decorata dai legisti del nome di ragione scritta, non è altro ai suoi occhi, che la compilazione delle rubriche del brigantinaggio legale e ufficiale,- e per dirlo in una sola parola , della proprietà.- Considerate nei loro rapporti queste due pretese scienze, l'economia politica ed il diritto formano, a detta del socialismo, la teoria completa della iniquità e della discordia. Passando poi dalla negazione all'affermazione, il socialismo oppone al principio di proprietà quello di associazione e si vanta di restaurare da cima a fondo l'economia sociale, ossia di costruire un nuovo diritto, una novella politica, istituzioni e costituzioni diametralmente opposte alle forme antiche. Come si vede, la linea di separazione fra il socialismo e l'economia politica è netta e l'ostilità flagrante. L'economia politica inclina alla consacrazione dell'egoismo, il socialismo pencola verso l'apoteosi e la comunanza."

Per lungo tempo i socialisti italiani hanno quasi completamente dimenticato la lezione di Proudhon. Forse questa è la ragione non meno importante dell'incoerenza che li ha portati all'insuccesso politico. Se solo lo avessero preferito a Marx ed alle sue teorie, se avessero diffuso le sue opere ed il suo pensiero, il socialismo sarebbe sempre apparso in tutta la sua profonda diversità dal comunismo, non si sarebbe mai trasformato in statalista e non avrebbe determinato tutti i compromessi e gli accordi con cui attraverso la loro mediazione i catto-comunisti sono stati in grado di isolare e screditare questo grande pensatore.

Provate a chiedere nelle librerie qualche opera di Proudhon, la risposta sarà quasi sempre negativa; andate per le biblioteche a chiedere i suoi libri, forse troverete qualche sua opera in francese, in edizioni vecchie di decine e decine di anni, quelle che sono state tradotte in italiano spesso sono introvabili. Non parliamo poi dell'Università dove fino a poco tempo fa le sue opere erano all'indice e nessuno poteva permettersi di presentare una tesi sul federalismo, mentre infinite erano quelle che trattavano anche gli aspetti più marginali del pensiero di Marx o del comunismo.

Per cambiare bisogna essere disposti ad osare, a rischiare, a volere con tutte le forze il cambiamento. Non esiste né Repubblica né Democrazia senza una corretta informazione. Non è possibile escludere Proudhon dal dibattito sul federalismo. Di fatto il socialismo italiano oltre ad aver emarginato il suo pensiero, non si è curato affatto del suo federalismo che oggi avrebbe potuto consentirgli un autentico rinnovamento politico e culturale.

Pochi socialisti zelanti hanno cercato di salvare Proudhon presentandolo talvolta soprattutto come avversario della libertà di mercato e della proprietà. Proudhon, seppure non privo di ripensamenti anche profondi, era un uomo libero: un pensatore che poneva la libertà personale e collettiva, anche quella di mercato, alla base del progresso e della civiltà. I tentativi di assoldare Proudhon nel campo dei collettivisti liberticidi non sono altro che ciarlataneria politico culturale, opportunismo ideologico e convenienza del momento.

Se la risposta che egli stesso diede al suo libro Che cosa è la proprietà scritto nel 1840, é : "La proprietà é un furto", bisogna precisare che la sua idea della proprietà si riferiva "alla somma degli abusi odiosi" che dalla proprietà possono derivare ed alla violenza che essa è in grado di esercitare sui ceti più deboli, ignoranti ed indifesi. Egli cercava la via per un sistema sociale di uguaglianza assoluta. Capì che una simile opera "...richiederebbe gli sforzi riuniti di venti Montesquieu" e che ".. se non é concesso ad un sol uomo di portarla a termine, uno solo può cominciare l'impresa."

Prima di lui, mille anni prima di Cristo, un popolo credette di trovare la via dell'uguaglianza nella libertà, attraverso un sistema di organizzazione dello Stato passato alla storia come DEMOCRAZIA. Probabilmente per secoli ancora l'uomo cercherà la soluzione che saprà conciliare il bisogno di uguaglianza col bisogno della libertà. Le società moderne, ripongono oggi la fede assoluta nel primato dell'economico sull'umano e restano in genere indifferenti dinanzi alle sofferenze di milioni di creature. Tuttavia costrette dalle loro stesse contraddizioni derivanti dall'indefinito confine della libertà con l'arbitrio, l'abuso, il capriccio, esse saranno costrette a ricercare ordinamenti diversi, in cui il furto derivante dagli eccessi della proprietà, dalla soddisfazione dei capricci, dall'arbitraria interpretazione delle leggi della vita, sia sempre più limitato dall'avvento di una nuova e più vasta coscienza individuale e collettiva. A questo mirava Proudhon con tutte le sue forze. Tale tempo è forse lontano da noi, ma le enormi disuguaglianze fra i popoli, la violenza, la povertà, le guerre, l'ignoranza, la sottile e sempre più evidente asservimento degli Stati al grande capitale, costringeranno gli uomini a questa ricerca, oppure per gran parte del genere umano perdurerà lo stato di miseria e di sofferenza per continuare a permettere quello che Proudhon definiva come l'ingiusto furto di pochi a danno di molti.

A questo egli cercava una soluzione ancora giovane. La trovò molti anni più tardi, ormai ammalato, nei principi del Federalismo che egli intendeva come patto fra uomini basato su un rapporto di cooperazione e di comprensione reciproca per perseguire la giustizia ed il bene comune attraverso la Legge intesa come stato arbitrale della volontà umana: principio di equilibrio fra l'Autorità e la Libertà.

Proprio a causa del suo grande senso dell'uguaglianza e della libertà Proudhon non poteva appartenere ad una Religione che, come l'ideologia, ha la pretesa di affermare l'eterna verità con il suo dogma. Ma il tormento del dubbio, un Dio, un Essere, uno Spirito rimane incessante in lui. I suoi scritti affermano il rifiuto, ma traspare sempre evidente in lui che il cuore ha ragioni che la ragione non conosce (Pascal). Nelle Contraddizioni afferma ad un certo punto: " Si ricorda anche, qualche volta, che se il sentimento della Divinità affievolisce fra gli uomini; se l'ispirazione dall'alto si ritira progressivamente per far posto alle deduzioni dell'esperienza, se vi è scissione sempre più flagrante fra l'uomo e Dio; se questo progresso, forma e condizione della nostra vita, sfugge alle percezioni di una intelligenza infinita, e per conseguenza antistorica; se, per dir tutto, il richiamo alla Provvidenza per parte di un governo è nello stesso una codarda ipocrisia ed una minaccia alla libertà; nulladimeno il consenso universale dei popoli, manifestato con lo stabilimento di tanti diversi culti, e la contraddizione per sempre insolubile che tocca l'umanità nelle sue idee, le sue manifestazioni e le sue tendenze, indicano un rapporto segreto della nostra anima, e per essa dell'intera natura, con l'infinito, rapporto la cui determinazione esprimerebbe nello stesso tempo il senso dell'universo e la ragione della nostra esistenza."

Nel segreto della sua coscienza egli covava una profonda fede nello Spirito di Dio che vedeva emergere dalla società degli uomini come " un Essere fantastico, denso di motivi di stupore e di misteri ". Forse per nessuno come per lui, la spiritualità non era sinonimo di appartenenza ad una religione. Egli fu quindi un credente dello Spirito, mai un uomo religioso. Sempre alla ricerca delle ragioni e delle vie del progresso per favorire l'evoluzione dello Spirito, che vedeva come proiezione della società, dedicò la sua vita e la sua opera geniale alla ricerca delle contraddizioni umane, sociali, politiche ed economiche, la cui ordinata composizione considerava "come condizioni essenziali dell'equilibrio universale". Nel silenzio del suo cuore, egli cercava di capire "....se l'umanità tende a Dio secondo l'antico dogma, oppure se essa stessa diventa Dio".

Come molti, Proudhon aveva cercato il Dio della storia ma non lo aveva trovato, tuttavia il suo cercare lo libera dall'ateismo, che forse la maschera di un potente razionalismo gli imponeva.

Il suo spirito libero e la profondità della sua coscienza, lo condussero a definirsi anarchico. Ma cosa intendeva egli per anarchia? Vale la pena, per chiarezza, ripetere la sua concezione della società formulata ad appena trenta anni in Célébration du Dimanche: " Trovare uno stato di eguaglianza sociale che non sia né comunismo, né dispotismo, né frazionamento, né anarchia, ma libertà nell'ordine ed indipendenza nell'unità." Dice ancora molti anni più tardi nel suo Del principio federativo: " Come variante del regime liberale, ho indicato l'ANARCHIA o governo di ognuno da parte di sè stesso, in inglese self-government. L'espressione di governo anarchico implica una sorta di contraddizione, la cosa sembra impossibile e l'idea assurda. Non c'è qui che da rivedere il termine; la nozione di anarchia, in politica è razionale e positiva come nessun'altra. Essa consiste nel fatto che, una volta ricondotte le funzioni politiche alle funzioni della produzione, l'ordine sociale risulterebbe solo dal fatto delle transazioni e degli scambi. Ognuno allora potrebbe dirsi autocrate di se stesso. Il che è l'estremo opposto dell'assolutismo monarchico. .......... Malgrado il richiamo potente della libertà, né la democrazia né l'anarchia nella pienezza ed integrità della loro idea, si sono realizzate in nessun luogo."

Volendo combattere un principio oppure un'idea, non esiste metodo migliore che denigrare il suo sostenitore, di condannarlo ieri al rogo della carne, oggi a quello delle opere. Così le grandi Chiese dell'umanità degli ultimi due secoli, quella cattolica e quella marxista, applicando alle sue opere una collaudata esperienza di mistificazione e di condanna, hanno confinato Proudhon nell'oscurità. Ma il loro giudizio non è altro che la condanna di sé stesse all'intolleranza, alla discriminazione; alla falsità, all'incomprensione. Accusato di ateismo dalla Chiesa, di liberalismo e di essere un borghese dai comunisti, di comunista dai liberali, Proudhon è passato alla storia come uno dei pensatori più contraddittori della sua epoca. Ma proprio la storia ha poi mostrato che la contraddizione non era nel suo pensiero, ma nella natura stessa delle cose e degli uomini e niente più del comunismo, del socialismo, dello stesso liberalismo oggi tanto di moda, lo hanno dimostrato e lo dimostreranno.

La contraddizione vera è nelle ideologie, nelle religioni, e nelle costruzioni logiche della mente umana, che partendo da un'analisi sempre incompleta e personale della realtà, pur contenendo una parte di verità, hanno la pretesa di possedere la ricetta della felicità universale e della verità eterna; le prime per ciò che è materiale, le seconde per ciò che è spirituale. Le contraddizioni sociali derivano, ancora, dalla concezione indefinita della Libertà, che per certi ha confine nelle leggi della natura, per altri è senza confine e comprende l'arbitrio e l'abuso, per altri ancora è solo capriccio e cieca soddisfazione del proprio egoismo.

Per Proudhon non esiste una ricetta per la felicità universale; come non esisterà per lungo tempo la mente che in un lampo di genio concepirà la struttura di una società in perfetta armonia con le leggi materiali della vita e con le attese dello Spirito. Egli era un osservatore, un profondo analizzatore della società e degli uomini e per di più dotato di una eccezionale intuizione. Comprese che i rapporti sociali ed individuali sono soggetti a continue contraddizioni e possono essere composti nel modo migliore lasciando i cittadini liberi di darsi gli ordinamenti che gli sembrano i più adatti in relazione al variare dei tempi e degli interessi, per perseguire gli scopi materiali e morali in cui credono, e che questo comporta per necessità una forte restrizione dell'azione dello Stato nella società.

Dalla storia prese il termine federazione e lo sviluppò secondo la sua intelligenza, per rendere più comprensibili i princìpi su cui riposa l'ordine politico ed aprire così la strada per una concezione innovativa delle forze che agiscono nella società. Egli vide come infinite contraddizioni continuamente emergono per effetto dell'azione di queste forze, e come queste contraddizioni possano essere composte in un equilibrio duraturo e pacificamente in un regime di libertà e di cooperazione fra gli uomini attraverso il federalismo.

Io sono sicuro che più che il tempo passerà, più renderà giustizia a questo grande dell'umanità.

L'avvenire del mondo, sarà un avvenire di federazioni, di libertà e di cooperazione oppure, parafrasando lui, gli uomini assaporeranno il purgatorio dei prossimi secoli.