La testa di Darwin
di Francesco Agnoli - 10/11/2005
Fonte: ilfoglio.it
Il padre dell’evoluzionismo era convinto che i suoi studi gli avessero modificato il cranio
In un passo della sua curiosa “Autobiografia”
Charles Darwin ci offre uno
spaccato sulle incredibili convinzioni della
sua epoca. Racconta infatti di aver inviato
una propria fotografia a una società
di psicologi seguaci della frenologia, che
gli avrebbero consigliato di intraprendere
la vita ecclesiastica: “La forma del mio
cranio era stata argomento di pubblico dibattito,
e uno degli oratori aveva dichiarato
che avevo il bernoccolo sacerdotale tanto
sviluppato da bastare per dieci preti”.
Darwin non dice nulla riguardo al modo
con cui accolse l’indicazione, ma sembra,
da quanto aggiunge subito dopo, che
cercò, almeno inizialmente, di tenerne
conto. Infatti solo poche pagine più avanti
aggiunge: “E’ probabile che il mio cervello
si sia sviluppato proprio nel corso delle
ricerche compiute durante il viaggio: lo dimostra
una osservazione di mio padre… la
prima volta che mi vide dopo il viaggio, si
volse alle mie sorelle ed esclamò: ‘Guardate,
gli è cambiata la forma della testa’”.
Darwin dimostra così di credere che l’aver
passato cinque anni a riflettere sull’evoluzione
avrebbe in qualche modo determinato
una evoluzione della sua intelligenza,
tradottasi, molto concretamente, in una
mutazione della forma cranica. La cosa
potrebbe stupire solo chi conosca il suo
pensiero attraverso i nostri ridicoli manuali
della scuola dell’obbligo. Non invece
chi, leggendo le sue opere originali, le
ha trovate disseminate sia di affermazioni
sconcertanti dal punto di vista scientifico,
che di dichiarazioni apertamente classiste
e razziste: ad esempio sull’inferiorità degli
irlandesi, sulla necessità di limitare, come
con le bestie, la riproduzione degli umani
“inferiori”, o sulla superiorità mentale e
fisica dell’uomo sulla donna.
Ma non ci si deve in realtà meravigliare:
la frenologia, a cui Darwin fa riferimento
nei suoi apprezzamenti sul proprio cranio,
riprende le concezioni della fisiognomica,
e le ripropone nelle teorizzazioni di Joseph
Gall, all’inizio dell’Ottocento. Secondo
Gall esiste “una corrispondenza tra l’intelligenza
dell’uomo e la sua conformazione
cranica”: si arriva a sostenere che la
“conformazione cranica dei neri, rivelandosi
eccessivamente stretta, è sinonimo di
una intelligenza inferiore, paragonabile a
quella delle scimmie” (Cristian Fuschetto,
“Fabbricare l’uomo”, Armando). Di qui,
da questo sfrenato e antiscientifico materialismo,
sgorga, a metà Ottocento, la craniometria
di Paul Broca, che facendo coincidere
la superiorità intellettuale col volume
cerebrale, identifica l’uomo bianco
maschio come superiore, i vecchi, le donne
e le altre razze come inferiori! L’antropometria
diverrà poi uno sport dei divulgatori
darwinisti, da Ernst Haeckel a Cesare
Lombroso, sino ai nazisti, che misuravano
teste ed arti degli indigeni durante
le spedizioni in Tibet, alla ricerca delle
origini ariane!
Il mio cervello è più grande del tuo
A ben vedere l’ottica materialista non
offre alternative: se l’anima non esiste, se
la libertà, l’intelligenza, la parola, evidentemente
immateriali, non sono altro che
materia casualmente evolutasi, come afferma
Darwin, allora ciò che ci distingue
dalle scimmie, e tra noi, non è altro che il
volume cranico. Non è altro che un cervello
voluminosamente più o meno ampio.
Così purtroppo viene tutt’oggi insegnato ai
nostri ragazzi, dal momento che i manuali
di scienze ad uso scolastico mostrano, nella
ridicola serie di disegnetti dalla scimmia
all’uomo, solo teste sempre più grosse
(e meno pelose), salvo poi affermare che
“la documentazione fossile è alquanto lacunosa”,
e che “non si sa con sicurezza
quali spinte evolutive hanno favorito l’ingrandimento
dell’encefalo” (Audesirk-
Byers, “Biologia”, vol. I, Einaudi, 2003). La
stazione eretta e la locomozione bipede, la
pelle glabra e il cervello più grande, propri
dell’uomo, e non della scimmia, donde
derivano, si chiede lo stesso testo? “La risposta
è che nessuno lo sa”: però, forse, ha
ragione Wheeler, quando “suggerisce che
i nostri antenati avrebbero sviluppato la
stazione eretta perché questa consente di
ridurre al minimo la superficie di esposizione
al sole cocente della savana”. Wheeler,
capace di tanta fantascienza, ipotizza
poi che “fu solo in seguito allo sviluppo
della stazione eretta e della pelle glabra
che la capacità di disperdere calore raggiunse
livelli tali da consentire l’aumento
della massa cerebrale”.
Molto più logico, e scientifico, il premio
Nobel per la medicina (neurofisiologia)
Sir John Eccles: “Mi vedo obbligato ad attribuire
l’unicità della psiche, o anima, a
una creazione spirituale soprannaturale.
In termini teologici: ogni anima è una nuova
creazione divina”.