Il sistema bancario italiano ha subito una violenta accelerazione a partire da un anno a questa parte. Il 2005 era stato piuttosto movimentato: due banche straniere avevano provato a comprare, con offerte pubbliche in borsa, due grosse banche in difficoltà; l’olandese ABN-AMRO puntava alla Banca Antonveneta, lo spagnolo Banco Bilbao Vizcaja ambiva a conquistare la BNL. Le operazioni erano state fronteggiate dall’allora Governatore della Banca d’Italia, il discutibile e discusso Antonio Fazio, con manovre d’ostruzionismo dal carattere amministrativo, in pratica non concedendo l’autorizzazione alla scalata.
Nel contempo la Banca d’Italia aveva favorito, con strumenti considerati in alcuni casi irregolari, una soluzione “interna” per le due banche, facendo comprare l’Antonveneta alla Banca Popolare di Lodi del troppo disinvolto Giampiero Fiorani e la BNL all’assicurazione delle Cooperative rosse, la Unipol dell’altrettanto disinvolto Giovanni Consorte. La condotta irregolare del vertice Bankitalia veniva resa pubblica dopo lo scandalo delle intercettazioni e la loro pubblicazione sui giornali espressione dei “poteri forti”: Sole 24 Ore, La Stampa, La Repubblica, Il Corsera.
Evidentemente il rimescolamento di poteri collegato ad una così imponente manovra di risiko bancario non lasciava indifferenti le altre sfere, che preferivano seguire sentieri più tradizionali, trincerandosi dietro il rispetto delle regole europee in campo di fusioni e acquisizioni. La linea Fazio veniva definitivamente battuta dopo l’arresto di Fiorani e l’apertura di un indagine su Consorte e lo stesso governatore veniva costretto alle dimissioni e sostituito con Mario Draghi. La Bnl andava, dopo un ennesimo colpo di scena, alla francese BNP-Paribas, mentre l’Antonveneta finiva nelle mani degli olandesi di ABN-AMRO, che testardamente non avevano mai mollato la presa.
La svolta
Con l’arrivo di Draghi in Banca d’Italia, nel gennaio 2006, si capisce subito la musica che la nuova orchestra suonerà: la difesa dell’italianità delle banche non verrà più garantita per via amministrativa, ma attraverso fusioni volontarie che devono fare salire “la taglia” delle nostre banche e renderle meno facilmente aggredibili.
Aumentare la capitalizzazione di borsa oltre la soglia di sicurezza è possibile soltanto attraverso un rapido processo di fusione, a cominciare dalla realtà più grandi. L’unica banca italiana che può dirsi al sicuro è Unicredit: avendo comprato la tedesca HVB, ha raggiunto un peso in borsa di circa 70 miliardi di euro, quindi un boccone difficilmente digeribile. Occorre pensare alle altre, in modo da creare almeno un altro paio di “campioni” nazionali, in grado di entrare nella rosa delle prime 10 banche europee. In un primo tempo si pensa alla fusione Intesa-Capitalia, da una parte, ed alla fusione Sanpaolo-Monte Paschi, dall’altra. Le discussioni però vanno a rilento, sono in gioco rocciose posizione di potere, è difficile rinunciare alle poltrone e alle prerogative politiche connesse all’esercizio del credito, agli utili che questa attività può garantire ed al peso che si può esercitare attraverso la leva bancaria. Il Presidente di Capitalia, Cesare Geronzi, rifiuta di farsi assorbire da Intesa prima di avere garantiti nel cambio vantaggi equivalenti (es. la presidenza di Mediobanca). I senesi del Monte Paschi non vogliono rinunciare alla propria autonomia, entrando da subalterni nella sfera d’influenza del Sanpaolo. D’altra parte il tempo stringe: nell’azionariato del Sanpaolo c’è il Banco Santander che scalpita e si dice abbia nel cassetto, bella pronta, un’o.p.a. aggressiva; nell’azionariato di Intesa c’è, in posizione ancora più forte, il Credit Agricole, che potrebbe pensare ad un passo analogo.
La fusione
L’esigenza di arrivare in fretta ad una soluzione porta all’inizio di un negoziato accelerato tra Sanpaolo e Banca Intesa, che si conclude con la decisione di fondersi, appena ai primi giorni di agosto. Prima della fine del mese la decisione viene resa pubblica e raccoglie un plauso generale, fatto salvo il disappunto di chi è stato bruciato sul tempo, come il Santander. La nuova banca nasce sotto il cappello politico dell’Ulivo ed in particolare del premier Prodi, che rafforza il sistema di alleanze con settori fondamentali dell’economia, attraverso banchieri di provata fede centrista: Bazoli e Salza incarnano rispettivamente l’anima cattolica e l’anima laica della componente più moderata dello schieramento governativo.
Dal punto di vista finanziario, la fusione rappresenta indubbiamente un evento rilevante: la nuova banca raggiunge una capitalizzazione di borsa sui 65/70 miliardi, si colloca tra le prime 4 dell’area euro, controlla tra il 20 ed il 30% del mercato italiano (a seconda dei segmenti di mercato), soprattutto nel settore banco-assicurativo e nel credito alle imprese. Non a caso l’Antitrust ha subito aperto un’istruttoria, cui la banca ha cercato di adeguarsi vendendo sinora almeno 600 sportelli dei 6000 detenuti (tutta Cariparma, tutta Friuladria, più 193 sportelli Intesa). Oltre 7.000 lavoratori si apprestano a cambiare banca d’appartenenza, venduti insieme ai computer ed ai complementi d’arredo dei loro sportelli. E non è finita lì, perché in alcune province le sovrapposizioni e le posizioni dominanti non sono ancora state minimamente intaccate.
Per quanto riguarda le cifre e le prime stime del piano industriale, naturalmente ci sono elementi che fanno eccitare gli analisti e gli azionisti. La nuova banca si prefigge di ottenere un aumento dei profitti del 50% da qui al 2009, arrivando a toccare la cifra di 7 miliardi di euro. Gran parte di questo incremento verrà cercata, naturalmente, attraverso il risparmio dei costi. Nel nostro settore, come è noto, il 60% dei costi sono rappresentati dal personale. Ergo, l’obiettivo della nuova banca è tagliare molti posti di lavoro, sopprimendo le duplicazioni nelle lavorazioni e nelle direzioni centrali. Infatti le prime cifre che sono state avanzate dall’azienda, negli incontri ufficiali con i sindacati, parlano di 8.000 esuberi, da gestire con almeno due tornate di “esodi incentivati”, per usare una terminologia morbida e socialmente non irritante.
Il gruppo manageriale che gestirà la nuova banca sarà quello legato all’attuale A.D. di Banca Intesa, quel Corrado Passera già distintosi nel disastro Olivetti, nella ristrutturazione di Poste Italiane e poi nella ristrutturazione di Banca Intesa, attraverso la vampirizzazione della Banca Commerciale Italiana. Il pericolo è che venga ulteriormente esasperata la logica del giorno per giorno e del risultato di breve periodo, per poter presentare relazioni trimestrali sempre più sorprendenti, fintanto che emerge l’insostenibilità di lungo periodo della redditività promessa. A quel punto, in genere, il management cambia azienda e va a rovinare qualche altra realtà produttiva, ancora da spolpare.
Questo criterio di cercare una crescita senza fine, unico modo per gettare sempre nuova benzina in un motore avido di profitti immediati, è da sempre la chiave di volta per spiegare le bolle speculative e i crolli che spesso ne segnano il punto di svolta. Sembra sparita dal d.n.a. delle leve manageriali del nuovo capitalismo la consapevolezza di dover cercare un punto di mediazione con le esigenze del “mercato”, la necessità cioè di rivolgersi al pubblico degli utenti e dei risparmiatori con dei prodotti di qualità durevole e sostenibile, in grado di riprodurre una fiducia largamente compromessa dalle pratiche commerciali invalse negli ultimi tempi. Non è neanche una questione di “eticità” delle soluzioni d’investimento o di credito proposte, che certo non sfiora neanche come dubbio recondito le mente pensanti della “fabbrica prodotti”. Quello che si ripresenta ciclicamente è una questione di tenuta nel tempo di una prassi commerciale rivolta davvero soltanto allo “sfruttamento della piantagione”, nel minor tempo possibile e con la maggiore intensità consentita.
Questo processo attraversa la globalità del sistema finanziario, in tutte le sue articolazioni. Quello che accade nel settore bancario non fa che avvalorare la tesi di un gigantesco processo di concentrazione, su scala europea e mondiale, che arriva a lambire anche le realtà locali più protette. A tre mesi dall’annuncio della fusione Sanpaolo-Intesa, sono state fuse la Banca Popolare di Verona e Novara e la Banca Popolare Italiana (1200 esuberi); le Banche Popolari Unite e la Banca Lombarda (1300 esuberi) e presto andranno a nozze tra loro anche Veneto Banca e Banca Popolare di Intra (esuberi da definire). La logica delle economie di scala finisce per ridurre la concorrenza e la varietà dell’offerta complessiva, proprio mentre si dice a parole di voler tutelare il consumatore, favorire la competizione e premere per servizi meno cari.
La realtà va in direzione contraria, rispetto agli enunciati, creando colossi senz’anima e senza radici, con lavoratori più deboli e ricattabili, risparmiatori ed utenti ridotti a “bersaglio” di offerte sempre più standardizzate e impersonali. Una dura lezione per chi parla di mercati sempre più efficienti e competitivi, un motivo in più per chi si batte a favore di sistemi di scambio più equi e solidali.
Renato Strumia (SALLCA-CUB) Torino, 19/11/2006
Fonte: GRANELLO DI SABBIA (n°162) Bollettino elettronico quindicinale di ATTAC Venerdì 22 Dicembre 2006
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