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Fusioni bancarie: il caso Intesa-Sanpaolo

di Renato Strumia - 22/12/2006

Fonte: attac italia

 


Il sistema bancario italiano ha subito una violenta accelerazione a
partire da un anno a questa parte. Il 2005 era stato piuttosto
movimentato: due banche straniere avevano provato a comprare, con
offerte pubbliche in borsa, due grosse banche in difficoltà; l’olandese
ABN-AMRO puntava alla Banca Antonveneta, lo spagnolo Banco Bilbao
Vizcaja ambiva a conquistare la BNL. Le operazioni erano state
fronteggiate dall’allora Governatore della Banca d’Italia, il
discutibile e discusso Antonio Fazio, con manovre d’ostruzionismo dal
carattere amministrativo, in pratica non concedendo l’autorizzazione
alla scalata.

Nel contempo la Banca d’Italia aveva favorito, con strumenti considerati
in alcuni casi irregolari, una soluzione “interna” per le due banche,
facendo comprare l’Antonveneta alla Banca Popolare di Lodi del troppo
disinvolto Giampiero Fiorani e la BNL all’assicurazione delle
Cooperative rosse, la Unipol dell’altrettanto disinvolto Giovanni
Consorte. La condotta irregolare del vertice Bankitalia veniva resa
pubblica dopo lo scandalo delle intercettazioni e la loro pubblicazione
sui giornali espressione dei “poteri forti”: Sole 24 Ore, La Stampa, La
Repubblica, Il Corsera.

Evidentemente il rimescolamento di poteri collegato ad una così
imponente manovra di risiko bancario non lasciava indifferenti le altre
sfere, che preferivano seguire sentieri più tradizionali, trincerandosi
dietro il rispetto delle regole europee in campo di fusioni e
acquisizioni. La linea Fazio veniva definitivamente battuta dopo
l’arresto di Fiorani e l’apertura di un indagine su Consorte e lo stesso
governatore veniva costretto alle dimissioni e sostituito con Mario
Draghi. La Bnl andava, dopo un ennesimo colpo di scena, alla francese
BNP-Paribas, mentre l’Antonveneta finiva nelle mani degli olandesi di
ABN-AMRO, che testardamente non avevano mai mollato la presa.

La svolta

Con l’arrivo di Draghi in Banca d’Italia, nel gennaio 2006, si capisce
subito la musica che la nuova orchestra suonerà: la difesa
dell’italianità delle banche non verrà più garantita per via
amministrativa, ma attraverso fusioni volontarie che devono fare salire
“la taglia” delle nostre banche e renderle meno facilmente aggredibili.

Aumentare la capitalizzazione di borsa oltre la soglia di sicurezza è
possibile soltanto attraverso un rapido processo di fusione, a
cominciare dalla realtà più grandi. L’unica banca italiana che può dirsi
al sicuro è Unicredit: avendo comprato la tedesca HVB, ha raggiunto un
peso in borsa di circa 70 miliardi di euro, quindi un boccone
difficilmente digeribile. Occorre pensare alle altre, in modo da creare
almeno un altro paio di “campioni” nazionali, in grado di entrare nella
rosa delle prime 10 banche europee. In un primo tempo si pensa alla
fusione Intesa-Capitalia, da una parte, ed alla fusione Sanpaolo-Monte
Paschi, dall’altra. Le discussioni però vanno a rilento, sono in gioco
rocciose posizione di potere, è difficile rinunciare alle poltrone e
alle prerogative politiche connesse all’esercizio del credito, agli
utili che questa attività può garantire ed al peso che si può esercitare
attraverso la leva bancaria. Il Presidente di Capitalia, Cesare Geronzi,
rifiuta di farsi assorbire da Intesa prima di avere garantiti nel cambio
vantaggi equivalenti (es. la presidenza di Mediobanca). I senesi del
Monte Paschi non vogliono rinunciare alla propria autonomia, entrando da
subalterni nella sfera d’influenza del Sanpaolo. D’altra parte il tempo
stringe: nell’azionariato del Sanpaolo c’è il Banco Santander che
scalpita e si dice abbia nel cassetto, bella pronta, un’o.p.a.
aggressiva; nell’azionariato di Intesa c’è, in posizione ancora più
forte, il Credit Agricole, che potrebbe pensare ad un passo analogo.

La fusione

L’esigenza di arrivare in fretta ad una soluzione porta all’inizio di un
negoziato accelerato tra Sanpaolo e Banca Intesa, che si conclude con la
decisione di fondersi, appena ai primi giorni di agosto. Prima della
fine del mese la decisione viene resa pubblica e raccoglie un plauso
generale, fatto salvo il disappunto di chi è stato bruciato sul tempo,
come il Santander. La nuova banca nasce sotto il cappello politico
dell’Ulivo ed in particolare del premier Prodi, che rafforza il sistema
di alleanze con settori fondamentali dell’economia, attraverso banchieri
di provata fede centrista: Bazoli e Salza incarnano rispettivamente
l’anima cattolica e l’anima laica della componente più moderata dello
schieramento governativo.

Dal punto di vista finanziario, la fusione rappresenta indubbiamente un
evento rilevante: la nuova banca raggiunge una capitalizzazione di borsa
sui 65/70 miliardi, si colloca tra le prime 4 dell’area euro, controlla
tra il 20 ed il 30% del mercato italiano (a seconda dei segmenti di
mercato), soprattutto nel settore banco-assicurativo e nel credito alle
imprese. Non a caso l’Antitrust ha subito aperto un’istruttoria, cui la
banca ha cercato di adeguarsi vendendo sinora almeno 600 sportelli dei
6000 detenuti (tutta Cariparma, tutta Friuladria, più 193 sportelli
Intesa). Oltre 7.000 lavoratori si apprestano a cambiare banca
d’appartenenza, venduti insieme ai computer ed ai complementi d’arredo
dei loro sportelli. E non è finita lì, perché in alcune province le
sovrapposizioni e le posizioni dominanti non sono ancora state
minimamente intaccate.

Per quanto riguarda le cifre e le prime stime del piano industriale,
naturalmente ci sono elementi che fanno eccitare gli analisti e gli
azionisti. La nuova banca si prefigge di ottenere un aumento dei
profitti del 50% da qui al 2009, arrivando a toccare la cifra di 7
miliardi di euro. Gran parte di questo incremento verrà cercata,
naturalmente, attraverso il risparmio dei costi. Nel nostro settore,
come è noto, il 60% dei costi sono rappresentati dal personale. Ergo,
l’obiettivo della nuova banca è tagliare molti posti di lavoro,
sopprimendo le duplicazioni nelle lavorazioni e nelle direzioni
centrali. Infatti le prime cifre che sono state avanzate dall’azienda,
negli incontri ufficiali con i sindacati, parlano di 8.000 esuberi, da
gestire con almeno due tornate di “esodi incentivati”, per usare una
terminologia morbida e socialmente non irritante.

Il gruppo manageriale che gestirà la nuova banca sarà quello legato
all’attuale A.D. di Banca Intesa, quel Corrado Passera già distintosi
nel disastro Olivetti, nella ristrutturazione di Poste Italiane e poi
nella ristrutturazione di Banca Intesa, attraverso la vampirizzazione
della Banca Commerciale Italiana. Il pericolo è che venga ulteriormente
esasperata la logica del giorno per giorno e del risultato di breve
periodo, per poter presentare relazioni trimestrali sempre più
sorprendenti, fintanto che emerge l’insostenibilità di lungo periodo
della redditività promessa. A quel punto, in genere, il management
cambia azienda e va a rovinare qualche altra realtà produttiva, ancora
da spolpare.

Questo criterio di cercare una crescita senza fine, unico modo per
gettare sempre nuova benzina in un motore avido di profitti immediati, è
da sempre la chiave di volta per spiegare le bolle speculative e i
crolli che spesso ne segnano il punto di svolta. Sembra sparita dal
d.n.a. delle leve manageriali del nuovo capitalismo la consapevolezza di
dover cercare un punto di mediazione con le esigenze del “mercato”, la
necessità cioè di rivolgersi al pubblico degli utenti e dei
risparmiatori con dei prodotti di qualità durevole e sostenibile, in
grado di riprodurre una fiducia largamente compromessa dalle pratiche
commerciali invalse negli ultimi tempi. Non è neanche una questione di
“eticità” delle soluzioni d’investimento o di credito proposte, che
certo non sfiora neanche come dubbio recondito le mente pensanti della
“fabbrica prodotti”. Quello che si ripresenta ciclicamente è una
questione di tenuta nel tempo di una prassi commerciale rivolta davvero
soltanto allo “sfruttamento della piantagione”, nel minor tempo
possibile e con la maggiore intensità consentita.

Questo processo attraversa la globalità del sistema finanziario, in
tutte le sue articolazioni. Quello che accade nel settore bancario non
fa che avvalorare la tesi di un gigantesco processo di concentrazione,
su scala europea e mondiale, che arriva a lambire anche le realtà locali
più protette. A tre mesi dall’annuncio della fusione Sanpaolo-Intesa,
sono state fuse la Banca Popolare di Verona e Novara e la Banca Popolare
Italiana (1200 esuberi); le Banche Popolari Unite e la Banca Lombarda
(1300 esuberi) e presto andranno a nozze tra loro anche Veneto Banca e
Banca Popolare di Intra (esuberi da definire). La logica delle economie
di scala finisce per ridurre la concorrenza e la varietà dell’offerta
complessiva, proprio mentre si dice a parole di voler tutelare il
consumatore, favorire la competizione e premere per servizi meno cari.

La realtà va in direzione contraria, rispetto agli enunciati, creando
colossi senz’anima e senza radici, con lavoratori più deboli e
ricattabili, risparmiatori ed utenti ridotti a “bersaglio” di offerte
sempre più standardizzate e impersonali. Una dura lezione per chi parla
di mercati sempre più efficienti e competitivi, un motivo in più per chi
si batte a favore di sistemi di scambio più equi e solidali.


Renato Strumia (SALLCA-CUB)
Torino, 19/11/2006


Fonte: GRANELLO DI SABBIA (n°162)
Bollettino elettronico quindicinale di ATTAC
Venerdì 22 Dicembre 2006