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Scienza e metafisica

di Aldo Sacchetti - 29/12/2006

 

    

Mentre la scienza esplora i confini dello spazio/tempo fino a disegnare scenari con infiniti gradi di libertà – come nelle teorie del "metaverso", o dei molti universi – la biologia quantistica impone un radicale cambiamento della concezione del mondo. Il nostro corpo non è più soltanto materia, fatta di cellule, molecole, atomi: si va rivelando come intreccio infinito di legami, la cui essenza vibratoria rende la coerenza interna ed esterna un processo "cooperativo", risonante con la dimensione cosmica.

Erwin Schrödinger (autore della celebre equazione, che regge la meccanica ondulatoria, da lui poi dimostrata coincidente con la meccanica quantistica di Heisemberg) già nel 1943 dovette riconoscere che l'ordine biologico – che si riproduce sempre da uno stato ordinato precedente, mai dal disordine – è «il più bel capolavoro compiuto da Dio secondo le linee della meccanica quantistica». Nel 1965 Richard Feynmann otteneva il premio Nobel per una versione quantistica dell'elettromagnetismo e poco dopo, nel 1968, Herbert Froelich proponeva un approccio nuovo alle dinamiche submicroscopiche della vita, aprendo l'era dell'elettrodinamica quantistica in biologia.

Per la scienza, i limiti dell'universo sono quelli entro cui possiamo ottenere informazioni scientificamente fondate, ma oggi questi limiti li incontriamo anche nel microcosmo che è in noi, in ognuna delle nostre cellule.

Il mio interesse per i fenomeni subcellulari intelligenti nacque una quindicina di anni fa da banali esperienze di microbiologia. Il batterio Escherichia coli, ospite necessario del nostro intestino crasso, se esposto in laboratorio a dosi minime di cadmio – metallo tossico, ma di configurazione elettronica simile a quella dello zinco, elemento essenziale alla vita – può ovviamente assorbire ioni cadmio. Quando non ne conseguano lesioni irreversibili – per la dose introdotta e l'entità dei danni provocati – il batterio in breve avverte l'errore e pone in atto processi difensivi e riparativi. Mentre enzimi provvedono a restaurare l'integrità del DNA, gli ioni cadmio vengono trasferiti in zone cellulari meno vulnerabili, sequestrati da particolari macromolecole proteiche espressamente prodotte e infine espulsi. «Non si ha certo costituzione di soggetto cosciente nel batterio – osservò Morin nel 1980 – ma certamente di soggetto: le sue attività autoreferenti sono indisgiungibili dalla capacità di discriminare il sé e il non-sé in funzione di sé».

Oggi sappiamo che le cellule del nostro corpo sono nell'ordine di centomila miliardi (quasi mille volte più delle stelle della galassia), che in una cellula umana le molecole proteiche sono miliardi (di circa diecimila tipi diversi) e che ogni cellula è formata dall’associazione cooperativa di antichi batteri. Nessun chimico penserebbe di sintetizzare in sincronia composti eterogenei – per esempio, un amminoacido, uno zucchero, un lipide – partendo dagli stessi precursori nella medesima provetta; eppure nella fisiologia della cellula avvengono contemporaneamente tutte – dico tutte – le trasformazione metaboliche necessarie, senza generare disordine. «Come può la molecola A trovare la molecola B - osserva Emilio Del Giudice - vagando tra l'immensa folla delle altre molecole?». Le trova attraverso onde elettromagnetiche coerenti, ossia accordabili tra loro non solo in frequenza e fase, ma nella intera "forma" della vibrazione. Del resto, l'analisi chimica spettroscopica di una sostanza fonda proprio sul dualismo fra struttura chimica (o forma) e spettri di frequenza osservabili, sebbene il paragone sia inadeguato alla realtà cellulare dove il   raccordo dinamico del divenire è di una complessità irriducibile, superiore a quella del cosmo intero.

Siamo indissolubilmente legati al nostro mondo da un continuo scambio di energia, materia, informazione; l'unidualità di autonomia e dipendenza non potrebbe però darsi, se ogni vivente, mono o pluricellulare, non manifestasse quella essenziale proprietà che è l’omeostasi, ossia l'attitudine ad autocorreggere e regolare entro coerenti limiti di compatibilità vitale tutti i propri parametri fisico-chimici e morfologici, malgrado le imprevedibili variazioni del contesto in cui si trova. L'omeostasi riguarda tutto il Pianeta vivo, perfino nei suoi rapporti con lo spazio extraplanetario; essa si presta quindi come singolare chiave euristica per intendere le fisiologiche esigenze della vita a ogni livello – anche mentale, culturale, sociale – e capire l'imprescindibile necessità di regolare gli antagonismi, i conflitti, all'interno di una superiore armonia. Armonia resa possibile proprio dalla dimensione cognitiva “cooperativa” alla base dell'intero ordine vivente.

Non si tratta più del fortuito intreccio tra caso e necessità, sotteso al postulato secentesco dell’oggettività della natura, il cui corollario è la disperata solitudine dell'umanità sulla Terra. Il nostro numero non «è uscito alla roulette», come pretendeva Monod nel 1970. L’intelligenza intrinseca in tutto ciò che vive rivela invece nella biosfera la dignità di un progetto espressamente voluto e finalisticamente orientato. Una dimensione mentale, che va ben oltre le leggi della fisica abiotica e conferisce una luce nuova alla dialettica evolutiva, illuminando in pieno la responsabilità dell'uomo nella conservazione dell'ordine naturale.

II tempo a disposizione mi suggerisce di corredare l'esposizione teorica con riferimenti concreti, perché più delle parole sono le immagini ad accendere il contesto di un mondo vivente raccordato perfino con lo spazio esterno al Pianeta. Una stupenda documentazione fu offerta da David Attenborough nel 1990. All'alba del terzo giorno dopo il terzo quarto di luna di ottobre e di novembre, le acque del Pacifico che coprono le scogliere coralline tropicali presso le isole Pigi e Samoa divengono lattescenti per circa mezz'ora, a causa delle uova e dello sperma contemporaneamente rilasciati da milioni di vermi Palolo.

Sono, questi, invertebrati metamerici lunghi circa 40 centimetri, con sessi separati, che vivono incastrati ciascuno in un tunnel strettissimo, scavato con le mandibole nella barriera corallina dove il verme si protegge e si ciba. Data l'impossibilità di accoppiamento, la sincronizzazione dei rilasci in mare del  metamero posteriore – dove maturano le cellule sessuali, liberate poi nell'acqua dal sollecito disfacimento dell'involucro, che le conteneva – è indispensabile per assicurare la fecondazione incrociata più efficiente per il successo riproduttivo della specie. Le isole Figi e Samoa, però, distano tra loro più di mille chilometri e i cicli lunari sono sfasati rispetto a quelli terrestri, per cui ogni anno la stessa fase di luna cade con una decina di giorni di anticipo  rispetto all'anno precedente. Quale segnale consente il perfetto sincronismo di un fenomeno biologico così palesemente finalizzato?

La riproduzione dei Paioli conferma quella non località delle connessioni fisiche, già definitivamente acquisita dalla scienza nel secolo scorso. Sono tuttavia opportune altre considerazioni, per approfondire il carattere immateriale, mentale, storico e coerente della vita.

Certamente un sasso è un sistema inerte, che lascia passivamente modellare la sua forma da interazioni elettrostatiche: un sistema, in cui le forze e gli urti costituiscono una base esplicativa sufficiente; ma ogni cellula viva ha una "memoria", traccia distinzioni, organizza attivamente i flussi di materia ed energia di cui si alimenta: la sua informazione è anche incarnazione, attività morfogenetica e morfostatica in un turbine ininterrotto di processi cooperativi, che in ogni istante legano, slegano, trasformano i suoi costituenti infinitesimi secondo un impalpabile progetto fisicamente mediato – in base alle attuali cognizioni scientifiche – da campi e onde elettromagnetiche. Le planarie, vermi platelminti ben noti, mostrano una capacità rigenerativa morfostatica eccezionale: se tagliate a pezzi, rigenerano da ogni segmento l'intero organismo, testa compresa, mentre in corrispondenza dei tessuti traumatizzati si rileva un'intensa attività di tipo elettrico.

La biochimica non è idonea a descrivere la complessità e lo stupefacente sincronismo dei processi biologici, perché rende conto delle reazioni che avvengono tra molecole già sufficientemente vicine, nel raggio di alcuni diametri molecolari; né la genetica può far luce sul coordinamento degli innumerevoli eventi quantistici simultanei, da cui emerge la vita. Il singolo vivente e la biosfera nel suo complesso appaiono sempre più come un tessuto dinamicamente coordinato, a un livello assai più profondo della molecola e perfino dell'atomo, nel dominio dei campi immateriali e dell'elettrodinamica quantistica. La sensibilità al singolo fotone è stata ampiamente documentata, tra l'altro, nei bastoncelli della retina e nella formazione del segnale luminoso delle lucciole, mentre scambi di singoli elettroni o protoni sono consueti nella trasduzione di segnali dall'esterno all'interno della cellula e viceversa. La vita è una rete ininterrotta di segnali fisiologici, che consentono a molecole in ogni cellula – e a tutte le cellule, particolarmente nel mistero dell'embriogenesi – di trovarsi al posto giusto nel momento giusto. Una convergenza fattuale di amori molecolari, che nell'embriogenesi umana assume un particolare fascino religioso.

Il paradigma della scienza moderna, fondato sul presupposto di una natura priva di intelligenza e di finalità, plasmabile senza limiti dall'aggressione manipolatrice, non trova più alcun fondamento teorico. Nel 1968, Alexandre Koyré espresse con molta efficacia la responsabilità di una scienza, che unifica l'universo «sostituendo al mondo della qualità e delle percezioni sensibili, mondo in cui viviamo, amiamo e moriamo, il mondo della quantità, della geometria deificata, dove vi è posto per ogni cosa, ma non per l'uomo».

Il problema, tuttavia, non è solo epistemologico. Un metodo scientifico che si pone, per il suo legame con la tecnica, in conflitto con la coerenza quadrimensionale e quantistica della natura viva, interpella direttamente la coscienza e solleva problemi etici senza precedenti. Le matematiche e la "reductio ad partes" sono inevitabili fonti di errore nei confronti delle  attività integratrici della vita. «Ciò di cui abbiamo preso consapevolezza – scriveva Morin nel 1977 – non è l'ignoranza umana in generale, è l'ignoranza che si annida al centro della nostra conoscenza considerata più certa, la conoscenza scientifica». Nei sistemi viventi «l'emergenza di qualità nuove è irriducibile sul piano fenomenico e indeducibile sul piano logico» e il semplice fatto di analizzare un organismo partendo dai suoi costituenti rilevabili comporta una perdita di informazione su di esso, «perché le regole di composizione delle parti non sono additivo, ma trasformatrici».

Queste osservazioni, già sufficienti a disegnare una divaricazione crescente tra sapere e potere, trovano nell'applicazione dell'elettrodinamica quantistica alla biologia una straordinaria forza esplicativa, sia delineando il baratro verso cui lo sviluppo tecnologico conduce l'omeostasi planetaria, sia nell'indicare chiaramente l'unica via di salvezza. Ora sappiamo che il teatro fenomenico del bios emerge da una realtà sottesa e impercettibile di processi, da un mare sconfinato di particelle, di vibrazioni elettromagnetiche e di effetti di campo, che convergono selettivamente in una precisa dinamica organizzatrice, trapassando di continuo gli apparenti confini tra il non vivente e il vivente; confini tracciati solo dalla capacità vitale di trasformare la generica instabilità del mondo fisico in metastabilità coerente, morfogenetica omeostatica. E, se la teoria della Gestalt implicava già la nozione di campo, che regola la formazione di totalità non additive, l'elettrodinamica quantistica conferisce oggi a questa teoria una nuova dignità fisica e metafisica.

L'impossibilità di percepire tempestivamente le trasformazioni quantistiche riguarda ogni aspetto della natura. La diminuita densità della fascia stratosferica di ozono, formata e sostenuta dalla vita, si è potuta rilevare solo dopo anni di scompenso nei processi ciclici di generazione, trasporto, rimozione dell'ossigeno triatomico. Analogamente, ma attraverso inter-retroazioni ben più complesse, le patologie degli organismi e le crisi ecosistemiche si manifestano in genere dopo periodi più o meno lunghi di processi infinitesimi, segnati dal prevalere degli effetti destrutturanti sulla capacità omeostatica organizzativa della vita.

Nell'ultimo mezzo secolo, la produzione accelerata di materia e di energia estranee alla vita ha fatto affiorare a livello fenomenico aspetti inquietanti. La sofferenza degli ecosistemi locali si è manifestata dapprima nei corsi d'acqua divenuti più torbidi, poi in un crescendo di sintomi correlati: inquinamento dell'atmosfera, dei terreni, delle colture agricole, erosione dell'humus e amplificata estinzione di specie animali e vegetali, fino a disegnare ultimamente scenari catastrofici dettati da una crisi, che investe l'intero ecosistema planetario. E poiché l'uomo stesso, nella sua finitezza materiale e temporale, è strettamente vincolato alla biosfera, sono legittimi i timori per l'immediato futuro, che – disse Bobbio – dopo Hiroshima e Nagasaki sembra venire incontro non come compimento, ma come annichilimento. Il nichilismo diviene l'orizzonte culturale della società dominata dalla tecnica.

Recentemente il cosmologo Martin Rees, già presidente della "Associazione Britannica per il Progresso della Scienza", con il suo saggio "II nostro secolo finale" ha calcolato al 50% la probabilità che l'uomo, travolto dall'errore e dal terrore, possa sopravvivere oltre il 2100. Non credo all'efficacia previsionale della statistica in eventi storici come quelli biologici e culturali. Concordo, invece, con Ilya Prigogine sulla fine delle certezze  scientifiche, anche perché – come egli volle sottolineare – «ciò che può essere controllato non è mai del tutto reale e ciò che è reale non potrà mai essere controllato».

Il dramma della società tecnologica sta nell'ignorare che il principio di separazione della realtà, indubbiamente valido nel mondo macroscopico, non è applicabile alla descrizione quantistica del divenire submicroscopico. In un circolo vizioso di retroazioni, la tecnoscienza si concentra sull'isolabile, sul quantificabile, sul riproducibile, astraendo sequenze causali limitate da un mondo illimitato di vibrazioni e di interconnessioni totali, con l'inevitabile rischio di demolire, nella prassi, quella proprietà omeostatica, che è requisito esclusivo della vita. Il «verum et factum convertuntur» della filosofia vichiana attinge oggi nella biologia quantistica una dimensione "scientifica" trascendente, perché l'essenziale – per la biosfera e per l'uomo stesso, nella sua unità personale, fisica e spirituale – sta in quel mondo invisibile, che sfuggirà sempre al dominio delle scienze esatte.

Ma se il turbine quantistico, da cui emerge la forma fisica della vita, fonda su una danza senza danzatori, dove tutto delicatamente si sfiora e si trasfigura, cosa dire di una tecnoscienza, che ha pietrificato, cementato e plastificato il mondo, desertificandolo culturalmente, prima ancora che materialmente? Tra le molecole di sintesi, non poche sono basate su legami non scindibili dagli organismi viventi, come quelli carbonio/fluoro e quelli multipli carbonio/doro e carbonio/bromo: molecole, che stanno erodendo la fascia stratosferica di ozono e, sulla Terra, l'omeostasi di ogni forma di vita. Insieme ad altre molecole tecnogeniche difficilmente degradabili, da cui siamo ogni giorno aggrediti, esse introducono negli organismi una rigidità incompatibile e formano saldi nuclei locali di degenerazione espansiva irreversibile, come quelli che caratterizzano il morbo di Alzheimer e l'encefalopatia bovina spongiforme (il male della cosiddetta mucca pazza). Analoghe molecole persistenti con azione ormonale o antiormonale alterano sempre più profondamente la sfera sessuale e riproduttiva in tutto il mondo, con effetti devastanti sulla stabilità biologica e sociale. «La pollution - dice Michel Serres - colma la distanza che separa il razionale dal reale».

Cosa dire ancora di una scienza, che non solo infrange l'omeostasi planetaria e sociale come effetto secondario indesiderato delle energie non biologiche da essa scatenate, ma adesso pretende addirittura di manipolare DNA e proteine, strutture essenziali della vita? Ogni proteina, nella cellula viva, trova senza posa la sua identità morfologica e funzionale nell'orientamento dei propri legami interni, che rendono la conformazione complessiva letteralmente indecifrabile e tecnicamente non riproducibile con esattezza, anche perché condizionata in ogni istante dal contesto vivo in cui si trova.

Non meno assurda è la pretesa di governare, per mezzo della genetica, il processo di incarnazione. Gli organismi geneticamente modificati sono il prodotto, tecnicamente possibile, di una cultura insostenibile, che fa arretrare la biologia alla superata dialettica di Jacques Monod tra caso e necessità. La manipolazione dei geni, quali che siano gli intenti, ignora le funzioni integratrici totali e fonda su una descrizione chimica della bioinformazione, astratta dal livello quantistico sottostante; anche la forma tridimensionale del DNA, però, è sostenuta dalla continua mobilità dei propri innumerevoli legami. Una complessità non solo fisica, se si pensa che nel genoma operano assidui processi di controllo, in grado di riparare - entro limiti fisiologici - i danni subiti. Nella traduzione dell'informazione genetica intervengono normalmente attività di revisione di bozze e correzione degli errori; è quindi paradossale, nella crescente divaricazione tra sapere e potere, scommettere sulla tecnoscienza, confidando che i processi intelligenti cellulari possano sempre rimediare anche ai planetari errori da essa provocati.

L'attacco della scienza ai processi più intimi della vita ha fatto sorgere problemi etici insolubili e laceranti. La possibilità di far sopravvivere persone in stato vegetativo persistente, di espiantare e trapiantare organi o tessuti, di procedere a manipolazioni di ogni sorta, a fecondazioni artificiali, all'offerta di uteri in affitto, a sperimentazioni mediche in condizioni lesive della dignità umana, ha posto il conflitto tra scienza e coscienza al centro delle più ardue problematiche contemporanee. Solo se avremo l'onestà e il coraggio di denunciare la fondamentale antinomia fra la tecnoscienza e la vita, le funeste previsioni di Martin Rees potranno essere smentite.

«Definire cos'è la coscienza è follia di riduzionismo», disse Gregory Bateson.

Certamente non è solo un aspetto riflessivo del processo mentale, per cui si è consapevoli di esistere, di pensare. C'è un'intelligenza del cuore, che ignora i percorsi della ragione e vibra nella contemplazione del bello, di un cielo stellato, nelle comunicazioni non verbali, che uniscono nello stesso palpito l'intero mondo vivente. Poiché l'elettrodinamica quantistica insegna che in natura tutto è vibrazione, anche i legami idrogeno da cui sono uniti i due filamenti del DNA - e i filamenti stessi in continuo divenire - devono essere intesi come vibranti espressioni di quella integrazione globale, finalizzata e coerente, da cui emerge la vita. Il DNA è come lo strumento a corde di un sistema interamente sincronico e sinfonico, che modula nello spazio/tempo il cantico delle creature. E il progetto stesso, che traspare da questa modulazione irriducibile, mediata da "fotoni coerenti", dovrebbe oggi essere definito come un mistero di luce.

Può suonare inconsueto il mio linguaggio, all'ascolto degli scienziati, ma le parole prendono senso dal contesto in cui si esprimono e quello che io descrivo implica una metafisica ignota alla scienza riduzionista, che esclude dal suo orizzonte effetti senza causa efficiente, misurabile, sperimentabile, e ogni interpretazione finalistica del cosmo e della vita. La nostra visione della natura, il nostro paradigma interpretativo della realtà devono ritornare all'intelligibilità del mondo attraverso la vita, ricongiungendosi idealmente a quello che fu il primo paradigma del pensiero mitologico e religioso: solo così l'umanità potrà recuperare il senso del limite, che nella vita sociale si declina come sentimento del dovere.

Oggi cosmofisica e microfisica quantistica convergono nel disegnare un universo chiaramente predisposto per l'accoglienza della vita e dell'uomo. Un celebre scienziato come Paul Davies, che dichiara di non professare alcuna religione tradizionale, ritiene che l'idea fisica del Big Bang, ossia di un'origine assoluta, sia la scoperta più importante nella storia della scienza ed evochi il tema biblico della Creazione. Egli osserva che «l'Universo ha generato, attraverso esseri coscienti, la consapevolezza di sé: non può essere un dettaglio banale, un sottoprodotto di forze cieche e senza scopo. La nostra esistenza è stata voluta».

Nell'odierna situazione di crescente degrado materiale e morale, tuttavia, una deduzione così freddamente logica non basta a scongiurare il fallimento della convivenza umana. Un cammino di salvezza richiede un Dio, che non sia solo nella mente, ma nel cuore dell'uomo; esige il trapasso dall'economia dissipativa, fondata sullo spreco e sulla competizione, a un costume di vita quasi francescano, tale da consentire la salvaguardia del Creato nella piena consapevolezza della nostra responsabilità.

È questa, la metafisica "religante" e religiosa imposta oggi concretamente dalla biologia quantistica.