Il giorno in cui Bush ha fatto i conti con gli indigeni
di Naomi Klein - 11/11/2005
Fonte: nuovimondimedia.com
Grazie alla forza e alla speranza di un movimento indigeno sudamericano cresciuto dalla Colombia alla Bolivia, il progetto statunitense del libero commercio è entrato in profonda crisi
Quando Manuel Rozental tornò a casa una notte del mese scorso, alcuni amici gli dissero che due strani personaggi avevano chiesto loro di lui. In questa compatta comunità indigena del sud-ovest della Colombia accerchiata dai soldati, paramilitari di destra e guerriglieri di sinistra, il fatto che degli stranieri facciano domande non è mai una bella notizia.
L’associazione del Consiglio degli Indigeni del Nord Cauca, che guida un movimento politico indipendente dalle forze politiche, ha deciso che Rozental, il portavoce del movimento, doveva uscire in fretta dal paese. Rozental ha ricoperto un ruolo importante nelle campagne per le riforme agrarie e nelle iniziative contro gli accordi di libero commercio con gli Stati uniti: l’associazione era certa che quegli sconosciuti erano stati mandati per uccidere Rezontal. Ma inviati da chi? Dal governo appoggiato dagli Usa che, come risaputo, coordina gruppi militari di destra per portare a termine i lavori sporchi? Oppure dalle Farc (le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia), i fautori della guerriglia filo-marxista più antica della Colombia?
Curiosamente, entrambe le opzioni sono plausibili. Nonostante siano stati per 41 anni su fronti opposti della stessa guerra civile, il governo Uribe e le Farc concordano sul fatto che sarebbe tutto molto più semplice se non esistesse il movimento indigeno dei Cauca, un movimento che sta sviluppando in America Latina un importante consenso politico, e che sfidando le strutture del potere dalla Bolivia al Messico.
Importanti leader indigeni del Nord Cauca sono stati rapiti o assassinati dalle Farc, che aspira ad essere l’unica voce a sostegno dei poveri in Colombia. Le autorità indigene sono state informate del fatto che le Farc volevano Rozental morto. Per mesi sono circolate voci sul fatto che il leader indigeno potesse essere un agente della Cia, che sarebbe una delle cose peggiori per un movimento di guerriglia. Ma si sono sentite anche altre voci, diffuse attraverso i media da funzionari del governo: voci che sostenevano come Rozental potesse essere la peggior cosa per la destra di ispirazione Bush: un “terrorista internazionale”.
Il 27 ottobre l’associazione, che rappresenta i circa 110.000 indiani Nasa della regione, ha diramato un vivace comunicato: “Manuel non è un terrorista. Non è un paramilitare. Non è un agente della Cia. È un membro della nostra comunità che non deve essere messo a tacere dai proiettili”.
I leader Nasa dicono di sapere perché Rozental, che adesso vive in esilio, è stato oggetto di queste minacce. È la stessa ragione per cui lo scorso aprile due villaggi indigeni pacifici nel Nord Cauca sono stati trasformati in zone di guerra dopo che le Farc avevano attaccato alcune postazioni di polizia, evento che il governo ha strumentalizzato come giustificazione per l’occupazione totale.
Tutto ciò avviene perché il movimento indigeno di Cauca, e dell’America Latina in generale, si trova in un periodo fortunato. L’anno scorso i Nasa del Nord Cauca hanno sostenuto la più grossa protesta antigovernativa organizzata della recente storia colombiana e hanno organizzato referendum locali contro il libero commercio ottenendo un riscontro del 70 %, l’affluenza più alta di qualsiasi altra elezione. Il risultato è stato un “no” al libero commercio quasi unanime. A settembre migliaia di Nasa si sono rimpossessati di due aziende, costringendo il governo a mantenere fede agli impegni presi su un insediamento di terre promesso da tempo. Tutto questo sotto la protezione della Guardia Indigena dei Nasa che, armata di bastoni, pattuglia il proprio territorio.
In una nazione governata da M16, AK47, tubi bomba artigianali ed elicotteri Black Hawk, questa combinazione di militanza e di non violenza non ha precedenti. Questo è il vero e proprio miracolo compiuto dai Nasa: l’aver riportato in vita una speranza assassinata dalle atrocità dei paramilitari, colpevoli di omicidi di uomini politici di sinistra, dozzine di funzionari eletti e, in un’occasione, di due candidati presidenziali dell’Union Patriòtica. Alla fine di questa campagna sanguinaria, nei primi anni novanta, le Farc arrivarono poi alla conclusione che impegnarsi nella politica ufficiale era una missione suicida.
“La chiave per comprendere il successo dei Nasa”, dice Rozental, “è il non voler raggiungere le istituzioni statali, le quali hanno perso tutta la loro legittimità. Ma, piuttosto, dotarsi di una nuova legittimità basata sul mandato popolare indigeno cresciuto fuori dai congressi, dalle assemblee, dalle elezioni. Il nostro percorso e le nostre istituzioni alternative hanno messo la democrazia ufficiale in crisi. È per questo che il governo è così in collera”.
I Nasa hanno distrutto l’illusione, sostenuta da più parti, secondo la quale il conflitto in Colombia possa essere ridotto ad una guerra a due. I referendum sul libero commercio sono stati riproposti da organizzazioni non indigene, studenti, agricoltori, politici locali in tutta la nazione. Le riappropriazioni dei terreni hanno spinto altri movimenti indigeni a fare lo stesso. Un anno fa 60.000 indigeni hanno manifestato chiedendo pace ed autonomia; nell’ultimo mese queste domande hanno trovato eco in marce simultanee in 32 province colombiane. “Ognuna di queste azioni”, spiega Hector Mondragon, un economista e attivista colombiano, “ha avuto un effetto moltiplicatore”.
In tutta l’America Latina questo effetto moltiplicatore è in continuo fermento. I movimenti indigeni che oggi ridisegnano la mappa politica del continente stanno chiedendo non soltanto di ottenere il riconoscimento dei propri diritti, ma anche la legittimazione una nuova concezione sociale che si sviluppi attorno a reali linee democratiche. In Bolivia e in Ecuador, i movimenti indigeni hanno mostrato di avere la forza di rovesciare il governo. In Argentina, quando le proteste di massa cacciarono cinque presidenti nel 2001 e nel 2002, le parole degli zapatisti messicani venivano gridate a gran voce per le strade di Buenos Aires.
Di fronte alle proteste del summit argentino di Mar De La Plata, George Bush ha realizzato che lo spirito di questa rivolta è vivo e vegeto. Sebbene il presidente statunitense non abbia preso sul serio l’offerta di Chavez di aprire un dibattito sui “meriti” del libero commercio, la discussione sul liberismo è già stata inoltrata nelle strade e nelle sezioni elettorali del continente, e le idee di Bush sono state rifiutate.
L’ultima volta che i 34 capi di stato del continente americano si riunirono fu nell’aprile del 2001, in Quebec, al primo summit a cui Bush partecipò dopo essere stato eletto. In quella circostanza, Bush annunciò con sicurezza che l’area di libero commercio per l’intero continente sarebbe stato approvato nel 2005. Adesso, quattro anni dopo, molte di quelle teste a capo degli stati americani sono cambiate, e Bush non può neppure porre nella sua agenda tale progetto, perché ciò vorrebbe dire firmarla da solo.
Come in Colombia, in tutto il continente si registrano continui tentativi di definire il movimento indigeno come un’organizzazione terrorista. Prevedibilmente, Washington sta offrendo a tali ntentativi assistenza ideologica e militare.
Il Congresso Usa ha deciso per il raddoppio del contingente militare Usa in Colombia e , significativamente, si è registrato un aumento significativo delle attività militari statunitensi in Paraguay, vicino al confine con quella Bolivia che dalle prossime elezioni potrebbe essere governata da un governo di sinistra. Un recente studio del consiglio dell’intelligence nazionale Usa sostiene che il movimento indigeno, sebbene attualmente pacifico, “potrebbe ricorrere a mezzi molto più drastici in futuro”.
I movimenti indigeni americani sono in realtà una minaccia alle politiche di libero commercio che Bush sta perseguendo, con sempre meno sostenitori, in tutta l’America Latina. Il loro potere non scaturisce dal terrore ma dalla profonda speranza che resiste al terrore, così forte che potrebbe persino contribuire a risolvere l’apparentemente disperata guerra civile colombiana.
Se il movimento può crescere lì, allora può farlo ovunque.
Fonte: http://www.guardian.co.uk/comment/story/0,3604,1634856,00.html
Tradotto da Alessandro Siclari per Nuovi Mondi Media