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Il raggiungimento della felicità? Passa inevitabilmente dal Terrore

di Giovanni Belardelli - 03/01/2007



L a politica ha il potere di renderci felici? Ed è davvero auspicabile che cerchi di farlo? A sollevare di nuovo queste domande fondamentali è un volume sul lessico di Robespierre, curato da Cesare Vetter, che parte, necessariamente, dai modi opposti con i quali la questione venne affrontata alla fine del secolo XVIII sui due lati dell'Atlantico ( La felicità è un'idea nuova in Europa. Contributo al lessico della rivoluzione francese, a cura di Cesare Vetter, Edizioni Università di Trieste, pp. 269, e 20). Nel 1776, infatti, la Dichiarazione d'indipendenza degli Stati Uniti d'America proclamava il diritto inalienabile di tutti gli uomini al «perseguimento della felicità». Una tale formula, dovuta alla penna di Thomas Jefferson, avrebbe avuto un successo straordinario contribuendo «più di qualsiasi altra cosa — come ha scritto Hannah Arendt — a una ideologia specificamente americana». Contemporaneamente, era destinata a sintetizzare una differenza fondamentale tra la democrazia liberale e le varie forme di democrazia radicale che si sarebbero sviluppate successivamente nel continente europeo, dal giacobinismo fino alle ideologie socialiste e comuniste.
Nel 1794 era proprio pensando alla formula americana che Saint-Just affermava: «La felicità è un'idea nuova in Europa». Ma la sua importazione in Francia avveniva in realtà sotto un segno radicalmente diverso. Mentre la felicità di cui avevano parlato i rivoluzionari americani era essenzialmente una felicità privata, quella proclamata dai giacobini si realizzava interamente nella dimensione pubblica.
Non solo: mentre l'espressione coniata da Jefferson poneva l'accento più che sul risultato (la felicità) sulla libera ricerca che ciascuno aveva il diritto di compiere, stabilendo autonomamente gli scopi della propria vita, la traduzione che ne fecero i giacobini non solo trasformava la felicità da privata in pubblica, ma postulava al contempo il sacrificio di ogni libertà di scelta individuale.
Il libro curato da Vetter, mentre presenta una minuziosa descrizione delle parole chiave del lessico di Robespierre, ottenuta attraverso una strumentazione informatica, mostra bene nel saggio introduttivo come questa idea di felicità rigorosamente pubblica costituisse un po' la chiave di volta della visione politica giacobina. A cominciare dall'idea che, per il buon cittadino, felicità e interessi privati come tali non esistano, poiché debbono sciogliersi e confondersi nella felicità e negli interessi pubblici. La «virtù», un concetto così centrale nel lessico di Robespierre, è anzitutto la capacità del singolo di rinunciare alla propria dimensione privata e ai «vizi» che la contraddistinguono, riuscendo a concepirsi soltanto come parte di un corpo collettivo.
In questo quadro, il cittadino è tanto più felice, cioè interamente dedito alla dimensione pubblica, quanto più i beni di cui dispone si limitano all'essenziale, a una vita sobria e frugale, di «povertà onorevole» come scrive Robespierre il quale, come molti suoi contemporanei, pensa che la ricchezza possa solo essere meglio distribuita, neppure immaginando lo straordinario aumento di beni che avverrà di lì a qualche decennio in tutta Europa. Senonché, e qui cominciano i guai, affinché si raggiunga una comunità di cittadini poveri, virtuosi e felici occorre appunto eliminare la possibilità che siano i singoli a cercare, attraverso tentativi ed errori, la propria felicità, occorre ottenere che ciascuno si adegui a «un modello di esistenza sociale postulato come unico, vero, razionale».
È necessario in un certo senso che la rivoluzione democratico-giacobina combatta proprio la rivoluzione americana e la sua promessa di un diritto per ciascuno di perseguire, ma come meglio crede, la propria felicità. In questo quadro l'educazione, intesa come pedagogia politica tesa a plasmare individui che infine pensino e vogliano ciò che «debbono» volere e pensare, è appunto la leva indispensabile ad attuare una tale idea, radicalmente «antiamericana», di democrazia. Si tratta di un'educazione inevitabilmente costrittiva, giacché non mira a sviluppare le facoltà individuali ma piuttosto a sopprimerle, con lo scopo di plasmare individui che abbiano tutti la stessa volontà e siano perciò egualmente «felici». In questo senso, nota giustamente Vetter, così come è concepito da Robespierre «il raggiungimento della felicità passa inevitabilmente attraverso il Terrore». Ed è per questo, per l'impossibilità di accettare gli esseri umani come sono e per la conseguente pretesa di plasmarli come invece dovrebbero essere, che nel progetto giacobino possiamo già vedere in nuce non pochi degli «esiti nefasti» del Novecento, dovuti a sistemi politici (i regimi comunisti e non solo) disposti a tutto pur di liberare gli esseri umani dalle loro imperfezioni (dai loro vizi, avrebbe detto Robespierre) per renderli partecipi di fini indiscutibili e perciò, così si pretendeva, «felici».