La scienza è cosa antica e non necessita del plauso della modernità
di Giuseppe Sermonti - 11/11/2005
Fonte: ilfoglio.it
Non c’è partito politico, prodotto di mercato,
movimento religioso, capo di vestiario,
sagoma di treno che non aspiri alla
modernità. Naturalmente la modernità non
deve essere intesa in senso strettamente
cronologico, altrimenti qualunque situazione
attuale, sia pure l’influenza aviaria, o le
rivolte delle periferie francesi avrebbero il
tocco della modernità. Ricordo un concetto
espresso dall’architetto Piano di fronte a
Clinton. “Anche gli antichi, ai loro tempi,
erano moderni.” Non è così: moderna è
quella realtà che abbia alcuni speciali requisiti
che sono convenzionalmente accettati
come “moderni”. Il moderno è aerodinamico,
futuribile, spregiudicato, biotech,
fragoroso, velocissimo, multietnico, lucido,
senza identità. Un cinematografo che si
chiami “Moderno” sa di antico, a meno che
non si inserisca in un Warner Village. E’
moderna ogni realtà che nel momento epocale
della sua comparsa ha ottenuto lo status
symbol di “modernità”, e ha saputo
mantenerlo sino al presente. L’evoluzionismo
è moderno anche se vecchio di un secolo
e mezzo, l’Intelligent Design è antico,
anche se è sceso nell’arena solo qualche an-
no fa. L’idea della modernizzazione permanente
fa parte del paradigma evolutivo.
Etimologicamente il termine “antico” viene
dal latino ante = prima, il termine “moderno”
da modo = appena, testé. In latino, la
parola modernus appare tardivamente, e
“tempi moderni” si traduceva con nostra aetas.
“Antico” e “moderno” indicano atteggiamenti
diversi piuttosto che periodi nel tempo.
“Antico” è ciò che si rifà alla tradizione,
al sempre; “moderno” è chi si affida al momento
presente, alla moda. E’ più restrittivo
di “odierno”, che si rivolge allo spazio dei nostri
giorni. C’è poi il termine “eterno”, che discende
da aetas o aevitas, con riferimento a
aevum, “evo”, che dura un’epoca.
Non è perciò giusto dire che il moderno
viene dopo l’antico. L’umanità ha attraversato
grandi cicli di alternanza tra moderno
e antico. La classicità e il cristianesimo romano
erano “moderni”, fondati su razionalità
e esperienza. Il tardo medio evo e il rinascimento
magico erano “antichi”, la scienza
secentesca fu una riconquista della “modernità”.
E qui mi fermo, per non cadere nel
gioco “rock” contro “lento” di Celentano. E’
sorprendente scoprire come l’ultima modernità
abbia talvolta radici lontanissime,
millenarie. Ha scritto Fritjof Capra, nel suo
famoso “Il Tao della Fisica”: “Se la fisica ci
porta oggi a una concezione del mondo che
è sostanzialmente mistica, in qualche modo
essa torna alle origini, a 2500 anni fa”.
Penso che lo stesso valga per la biologia.
Nel 1688, l’aretino Francesco Redi si interessava
dell’origine della vita più umile,
quella dei vermi e delle mosche. Con semplici
esperimenti, che consistevano nel coprire
con una garza recipienti contenenti
della carne, dimostrò che i vermi non derivavano
dalla putrefazione della carne ma
dalle uova deposte su quella dalle mosche.
Confutava così la “generazione spontanea”,
e l’ipse dixit di Aristotele. Come osò tanto il
poeta toscano? Egli stesso dichiarò che l’idea
gli era venuta dalla lettura dell’Iliade (7-
800 a.C.?). All’inizio del XIX canto, Achille si
preoccupa che le mosche, “generatrici di
vermi”, contaminino le piaghe di Patroclo
giacente morto ai suoi piedi. La madre Teti
lo rassicura che, tenendo lontane le mosche
con un velo, il corpo si sarebbe mantenuto
integro per un anno. Passeranno circa 2.500
anni e verrà la scoperta di Redi (poi sostanziata
da Spallanzani e da Pasteur). Lo stesso
discorso vale per l’igiene delle mani e la
asepsi nella pratica medica. Queste furono
introdotte dal dottor Semmelweis alla metà
dell’Ottocento. Egli dovette vincere l’opposizione
della scienza dominante che attribuiva
l’idea del lavacro delle mani alla superstizione
contadina e alla tradizione ebraica
e orientale (di circa 2.500 anni prima). Anche
la sessualità delle piante, nota e applicata
ritualmente dagli antichi egizi, cretesi e mesopotamici,
negata da Aristotele, fu riscoperta
sperimentalmente, alla fine del Seicento,
da un poco conosciuto dottor Camerarius,
che cantò in un poemetto latino il glorioso
ritorno di Venere tra i fiori.
Le scienze marginali, accusate di misticismo
e di etnicismo, possono talvolta operare
il recupero dell’antichissimo nel presente,
della tradizione primordiale nella “nostra
età”. Nella stanchezza del progresso accadrà
forse tra qualche tempo che, per “nostalgia
dell’eternità”, si torni a parlare di stelle, di
nuvole e di vita campestre. Ma probabilmente
non si tratterà che di nuovi simboli
della modernità.