La fine di Saddam, dittatore avallato e poi distrutto dagli Usa
di Robert Fisk* - 05/01/2007
L'equazione è stata semplice. Chi poteva meritare quell'ultima camminata verso il patibolo – il collo che si spezza all'estremità di una corda – più della Bestia di Baghdad, l'Hitler del fiume Tigri, l'uomo che ha ucciso centinaia di migliaia di iracheni innocenti mentre sganciava armi chimiche sui suoi nemici? I nostri padroni ci diranno che questo è “un grande giorno” per gli iracheni e spereranno che il mondo musulmano dimentichi che la sua condanna a morte è stata firmata – dal “governo iracheno”, ma per conto degli statunitensi – proprio alla vigilia dell'Eid al Adha, la festa del sacrificio, il momento di maggior clemenza nel mondo arabo.
Ma la storia dirà che gli arabi, gli altri musulmani e, senza dubbio, molti milioni di persone in Occidente, si pongono un'altra domanda questo fine settimana, una domanda che non comparirà sugli altri giornali occidentali perché non fa parte del racconto scritto per noi dai nostri presidenti e primi ministri: che ne è degli altri colpevoli?
No, Tony Blair non è Saddam. Noi non gasiamo i nostri nemici. George W. Bush non è Saddam. Non ha invaso l'Iran o il Kuwait. Ha solo invaso l'Iraq. Ma centinaia di migliaia di civili iracheni sono morti – e migliaia di soldati occidentali sono morti – perché i signori Bush e Blair e il primo ministro spagnolo e il primo ministro iracheno e il primo ministro australiano sono andati in guerra nel 2003, in un mare di bugie e falsità e, considerando le armi che sono state impiegate, con grande brutalità.
A seguito dei crimini contro l'umanità del 2001 abbiamo torturato, abbiamo assassinato, abbiamo brutalizzato e ucciso degli innocenti – abbiamo anche aggiunto il nostro obbrobrio ad Abu Ghraib all'obbrobrio di Saddam ad Abu Ghraib – e tuttavia si suppone che dobbiamo dimenticarci di questi crimini terribili mentre applaudiamo al corpo dondolante del dittatore che abbiamo creato.
Chi ha incoraggiato Saddam ad invadere l'Iran nel 1980, il più grave crimine di guerra che abbia commesso, che ha causato la morte di un milione e mezzo di persone? E chi gli ha venduto i componenti per le armi chimiche con cui ha innaffiato iraniani e curdi? Siamo stati noi. Non stupisce che gli statunitensi, che hanno controllato il bizzarro processo di Saddam, abbiano escluso dalle accuse a suo carico qualsiasi menzione a questi episodi, le sue più oscene atrocità. Non poteva essere consegnato agli iraniani per essere giudicato per questo crimine di guerra di massa? Naturalmente no. Perché questo avrebbe messo in luce anche la nostra colpevolezza.
E le uccisioni di massa che abbiamo compiuto nel 2003 con i nostri proiettili all'uranio impoverito e le nostre bombe “buster bunker” e il nostro fosforo, gli assedi omicidi, post-invasione, delle città di Falluja e Najaf, quel disastro di anarchia che abbiamo scatenato come conseguenza della nostra “vittoria” - la nostra “missione compiuta” - chi sarà giudicato colpevole per tutto questo?
Alcune ore prima della condanna a morte di Saddam la sua famiglia – la sua prima moglie Sajida, la figlia di Saddam e gli altri parenti – avevano abbandonato la speranza.
“Tutto quello che si poteva fare è stato fatto – possiamo solo aspettare che la storia prenda il suo corso”, ha detto uno di loro l'ultima notte. Ma Saddam sapeva, e aveva già annunciato il suo “martirio”: era ancora il presidente dell'Iraq e sarebbe morto per l'Iraq. Tutti i condannati devono affrontare una decisione: morire con un'ultima, vile domanda di grazia oppure morire con quella dignità che riescono a indossare durante le ultime ore sulla terra. La sua ultima apparizione al processo – quel debole sorriso che si apriva sulla faccia dell'omicida di massa – ci ha indicato il modo in cui Saddam ha scelto di camminare verso il cappio.
Io ho catalogato, negli anni, i suoi mostruosi crimini. Ho parlato con i curdi superstiti di Halabja e con gli sciiti che nel 1991, su nostra richiesta, si sono sollevati contro il dittatore e che da noi sono stati traditi – e i cui compagni, a decine di migliaia e con le loro mogli, sono stati impiccati dai boia di Saddam.
Ho camminato nelle stanze delle esecuzioni ad Abu Ghraib – pochi mesi dopo che, come è emerso in seguito, avevamo utilizzato la stessa prigione per qualche tortura e omicidio in proprio. E ho guardato gli iracheni tirare migliaia di loro parenti morti fuori dalle fosse comuni a Hilla. Uno di loro aveva un'anca artificiale rifatta di recente, e un numero di identificazione medico sul braccio. Era stato portato dall'ospedale direttamente nel luogo dove è stato ucciso. Come Donald Rumsfeld, ho anche stretto la molle, umida mano del dittatore. Il vecchio criminale di guerra ha finito i suoi giorni al potere scrivendo racconti romantici.
E' stato un mio collega, Tom Friedman – oggi un messianico editorialista per il New York Times – a cogliere perfettamente il carattere del dittatore poco prima dell'invasione del 2003: Saddam era, scrisse Friedman, “in parte Don Corleone, in parte Paperino”. E, in questa unica definizione, Friedman ha colto l'orrore di tutti i dittatori, il loro sadismo e la grottesca, incredibile natura della loro barbarie.
Ma questo non è il modo in cui lo vedrà il mondo arabo. All'inizio, quelli che hanno sofferto per la crudeltà di Saddam accoglieranno con piacere la sua esecuzione. In centinaia volevano fare la parte del boia. Anche molti curdi e sciiti fuori dall'Iraq saluteranno con gioia la sua fine. Ma loro – così come altri milioni di musulmani – ricorderanno come Saddam sia stato informato della sua condanna a morte all'alba della festa dell'Eid al Adha, che ricorda il mancato sacrificio del figlio di Abramo, una commemorazione che anche l'orribile Saddam soleva cinicamente festeggiare liberando detenuti dalle sue galere. Può essere stato “consegnato alle autorità irachene” prima della sua morte. Ma la sua esecuzione passerà alla storia – correttamente – come come un affare americano, e il tempo aggiungerà a tutto questo una falsa ma durevole chiosa – che l'Occidente ha distrutto un leader arabo che non obbediva più agli ordini di Washington, e che, per tutti i suoi peccati (e questa sarà la terribile scappatoia per gli storici arabi) Saddam è morto come un “martire” per volere dei nuovi “crociati”.
Quando è stato catturato nel 2003, la rivolta contro le truppe americane è aumentata in ferocia. Dopo la sua morte, raddoppierà ancora la sua intensità. Liberati, grazie alla sua esecuzione, dalla più remota possibilità del ritorno di Saddam, i nemici dell'Occidente in Iraq non hanno motivo di temere il ritorno del suo regime baathista. Osama bin Laden si rallegrerà insieme a Bush e Blair. Tanti crimini sono stati vendicati.
Ma noi l'abbiamo fatta franca.
di Robert Fisk*
da www.peacereporter.net
*Robert Fisk ha vissuto a Beirut per trent'anni. Corrispondente dalla capitale libanese per il quotidiano britannico The Independent, è uno dei più autorevoli esperti di questioni mediorientali. Ha intervistato tre volte Osama bin Laden.