La fede del Nuovo Mondo. L'America e il suo bisogno di religione
di Regis Debray - 07/01/2007
I fondatori, attraversato l'oceano come fosse il Mar Rosso, pensarono di aver trovato una nuova Terra Santa
C'è una complicità profonda tra stato di guerra, mobilitazione, autodifesa e necessità del sacro
Tocqueville capì il legame esistente tra sentimento religioso e sentimento patriottico americano
Gli Stati Uniti sono l´unico paese al mondo dove il fondamentalismo ha avuto successo. L´intreccio tra quest´ultimo e l´ideologia democratica è sempre stato così forte che il credere in Dio è subito diventato un credere nazionale. Contrapporre un´America democratica a un´America religiosa è dunque un esercizio senza senso: la specificità degli Stati Uniti è proprio quella di aver istituito la democrazia come una religione al tempo stesso politica e nazionale. Gli Stati Uniti sono nati, come ricorda Alexis de Tocqueville, nel 1835, in Della democrazia in America, da un atto di protesta religioso dei «Founding Fathers».
I dissidenti che hanno attraversato l´Atlantico erano convinti di ripetere la traversata del mar Rosso degli Ebrei. Alla fine del viaggio, questo nuovo popolo eletto pensava trovare una nuova Terra santa. Questa percezione primordiale è rimasta nel codice genetico americano. Il Presidente degli Stati Uniti, per esempio, giura sulla Bibbia, il motto nazionale è «One Nation under God» e «God bless America» e i grandi discorsi dei presidenti americani, democratici e repubblicani, sono delle vere e proprie prediche, delle omelie. L´onnipresenza di questo sentimento religioso si manifesta anche nel fatto che il 91% degli americani dice di credere in un Dio personale e trascendente. E basta osservare una banconota americana da un dollaro, una sorta di professione di fede teologica quotidiana: sotto l´iscrizione «In God we trust», è rappresentato lo stemma nazionale, l´aquila, il ramo d´olivo della pace, le frecce della guerra e infine l´occhio divino che tutto osserva. Ci sono del resto più pratiche religiose negli Stati Uniti di oggi che all´epoca dell´indipendenza, nel 1776. Il desiderio di Freud, che sosteneva che più si educheranno gli uomini, meno andranno a messa, non sembra quindi essere stato esaudito e confermato dalla realtà di questo grande Paese protestante.
Nel «vecchio mondo», abbiamo un contenzioso con Dio che gli americani non hanno. Nell´universo cattolico, credenza fa rima con ubbidienza mentre nel mondo protestante fa rima con dissidenza (i dissenters americani erano in fondo i militanti di sinistra del 17esimo secolo). Mentre in Europa l´invocazione di Dio può generare divisioni, negli Stati Uniti è motivo di unione, di aggregazione. Il paese non è mai stato colpito da guerre di religione. Come suggerisce la formula «Et pluribus unum», gli americani hanno infatti immediatamente capito che, con l´esistenza e l´invocazione di un Dio unico, sarebbero stati in grado di riunire l´insieme della popolazione ed allontanare il pericolo di una guerra di tutti contro tutti.
E´ questa la vera differenza, perfettamente analizzata da Tocqueville nei suoi scritti, tra l´Europa e gli Stati Uniti. La Francia rappresenta un universo nel quale la Repubblica si è costituita contro la religione mentre negli Stati Uniti religione e Repubblica coabitano, sono intrinsecamente legate. Le varie dichiarazioni nazionali dei diritti dell´uomo sottolineano con chiarezza questa divergenza: l´uomo europeo ha dei diritti in quanto essere razionale mentre l´uomo americano ha dei diritti in quanto creatura di Dio. Un altro esempio: in un villaggio americano i due centri nevralgici sono la chiesa e il «drugstore»; in un villaggio francese i due centri di gravità sono invece il municipio e la scuola. Questa realtà, oggi, può forse apparire ovvia. Il merito di Tocqueville è di aver percepito, quando l´Europa iniziava appena a scristianizzarsi, la complicità esistente tra il sentimento religioso e il sentimento patriottico americano.
L´autore ci offre inoltre una seconda riflessione sulla religione che non dobbiamo trascurare. Senza mai essere stato un mistico, Tocqueville è riuscito a catturare l´essenza stessa della religione e capire come questa modifichi la nostra condizione temporale. La religione allunga il tempo, ci impedisce di vivere nell´attimo, scardina la dittatura dell´effimero. Al contrario, la democrazia vive in una dimensione temporale breve: il tempo del consumo, della moda, dell´opinione, del quotidiano, della televisione. L´inflazione del presente spinge gli uomini a trascurare i propri antenati, il proprio passato e annebbia la loro visione dell´avvenire. Non vi è nulla di più attuale che questa percezione profetica di Tocqueville. Oggi, pur possedendo tutte le tecnologie per controllare lo spazio (aereo, treno, Internet etc.), siamo sempre più incapaci di dominare il tempo.
Siamo infatti scivolati nella civiltà dello spazio, allontanandoci irrimediabilmente dalla civiltà del tempo. Ebbene, in questo contesto, il rituale religioso rappresenta il miglior modo di controllare il tempo e di vivere contemporaneamente nel passato, nel presente e nel futuro. Un esempio: quando si va a messa, assistendo all´eucaristia, diventiamo i testimoni di un rito che risale a due mila anni fa e che si svolgerà probabilmente ancora tra cento, mille anni. La religione ci offre in questo modo, nell´era dell´istantaneo, una visione a lungo termine e di ampio respiro che comprende passato e avvenire e che ci permette di liberarci dalla superstizione dell´immediato, dal culto dell´imminenza, dall´annichilimento dei tempi, dall´egemonia del presente.
Tuttavia, la religione non è solo uno strumento capace di riscattarci dal cinismo dell´istante. La storia e l´attualità ci dimostrano che esso rappresenta, innanzitutto, il più potente elemento federatore che esista. Negli Stati Uniti, dopo gli attentati dell´11 settembre 2001, tutte le chiese si sono riempite di fedeli e il «national prayer breakfast» ha dato inizio ad una lunga serie di esaltazioni patriottico-religiose inedite. Il fenomeno non è nuovo. Nel 1941, in un´Unione Sovietica invasa dai nazisti, Stalin fa appello al patriarca ortodosso e permette alla popolazione di entrare nelle chiese. E non vi è mai stata tanta gente a Notre Dame di Parigi per celebrare il Te deum come nel 1940, momento della capitolazione francese e, nel 1944, per la vittoria. Esiste dunque una complicità, una connivenza profonda tra lo stato di guerra, la mobilitazione, l´autodifesa collettiva e il sentimento religioso. Jean-Jacques Rousseau, uno dei padri della Rivoluzione francese, pensatore laico per il quale il concetto di sovranità popolare e il contratto sociale sostituiscono l´ubbidienza a un principio supremo, l´aveva perfettamente capito. Il filosofo spiega che i vincoli sociali e politici sono destinati a disfarsi se non sono accompagnati e legittimati da una trascendenza. E dà l´esempio dei polacchi: cosa sarebbero senza il cattolicesimo? E la comunità ebraica senza la Torah? E come può un cittadino partire in guerra, difendere la patria e sacrificare la propria vita in un campo di battaglia se non è sorretto da una religione civile, patriottica che possa esortarlo, guidarlo e che serva da coagulante sociale? Rousseau svela così una verità politica profonda e ancora attuale. Ebbene, come sottolinea il filosofo, il cristianesimo non è la religione più «utile» alla ragione di stato. Il cristiano non sa cosa sia una frontiera, crede che non ci siano differenze tra un indigeno e uno straniero. Se per un cristiano tutti gli uomini sono fratelli, cosa dovrebbe spingerlo allora a partire in guerra e sacrificare la sua vita per la difesa dello Stato? Inoltre, aggiunge Rousseau, i cristiani sono ambigui, instabili, preferiscono ubbidire al Papa piuttosto che al capo dello Stato, ai loro parroci piuttosto che ai loro deputati. Un cristiano non venera il suo presidente, il suo capo secolare: la sua lealtà suprema sarà sempre contesa tra cielo e terra. Il filosofo francese aveva allora anticipato, senza immaginarlo, la religione civile americana di oggi ma anche numerose religioni politiche che hanno rivoluzionato il corso della Storia (il comunismo, il fascismo...) e alcune religioni secolari, a volte prive di un loro Dio ma fondate su un principio forte di subordinazione dell´interesse individuale all´interesse collettivo.
La religione americana è tuttavia una religione senza peccato e senza inferno, un cristianesimo senza la Passione, senza la sofferenza come espiazione e senza la Croce (es. le chiese americane non dispongono mai di una Via Crucis). Negli Stati Uniti, tutta la tradizione europea del dolore è stata eliminata e prevale una versione utilitaristica e moralizzatrice della religione che esclude la tragedia, la dimensione dostoevskiana e gotica del mondo cristiano. Il protestantesimo rappresenta in effetti una specie di credo, di garanzia del benessere. Il protestante non sa se è un eletto, aspetta un segno divino e questo segnale è appunto la ricchezza, il patrimonio, il successo. Questo benessere individuale generalizzato è oggi considerato una delle principali ragioni alla base della straordinaria espansione del protestantesimo nel mondo. Il tempo del cattolicesimo non è finito ma è ovvio che l´ora del protestantesimo è giunta. Un esempio: ci sono attualmente nel mondo, anche in Cina e in America latina, molti più missionari protestanti che cattolici.
Questo sentimento religioso, liberato della sua dimensione tragica, è già stato analizzato da Friedrich Nietzsche. Il filosofo tedesco ha inoltre sottolineato un´altra caratteristica fondamentale del sentimento religioso che rappresenta, secondo lui, una specie di falsificazione necessaria, un errore essenziale la cui utilità individuale e sociale è vitale. Nietzsche parte dal presupposto che il desiderio di verità è un desiderio di morte e che il simbolo religioso è capace di unire gli uomini mentre il diavolo è una fonte di disgregazione continua. Una fede religiosa rappresenta dunque un forte operatore di unità e di vita che lotta contro l´ineluttabile decomposizione e dispersione dell´esistenza.
Ed è vero che, anche se non esiste un concetto universale di religione (ci sono ben 800 culture umane al mondo), possiamo individuare un senso e una radice comuni nelle espressioni che ritroviamo in moltissime lingue: « il cammino di vita», «la forza che ci aiuta a vivere», «siamo tutti uniti in Cristo». Il denominatore comune di tutto quello che chiamiamo «religione», dai culti della fertilità alle religioni senza Dio, è quindi questa esaltazione della vita e del generare che l´uomo lancia verso il cielo per respingere, dimenticare l´inesorabilità della morte.
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Il termine «religione» sembra ineluttabile. Questa parola non è tuttavia una chiave di lettura, rappresenta in realtà un ostacolo alla nostra comprensione del fenomeno religioso. Non dobbiamo essere accecati dalla nostra «vera religione del vero Dio», cattolica, apostolica e romana. Abbiamo il dovere di ampliare la nostra visione e di cercare di individuare quello che esiste di comune a tutte le visioni del mondo. Ebbene, questo denominatore comune è l´esistenza di un punto sublime, di un riferimento ideale che sussiste sia nel passato - un eroe, un testo, un avvenimento fondatore, una commemorazione - sia nel futuro - un´utopia che desideriamo realizzare, una supplica, un´implorazione... Ogni gruppo umano si aggrappa ad una dimensione verticale che permette a uno spazio orizzontale di costituirsi e di resistere allo sgretolamento del passaggio del tempo e alla dispersione.«Ogni potere viene da Dio» dichiarava San Paolo. Per costituire un territorio è dunque sempre necessario ricorrere a un po´ di superstizione, ad un´assenza federatrice, all´esistenza di un Altro, un qualcosa di comune e di superiore a tutti, punto di coerenza trascendentale e fondatore, che chiamiamo appunto il sacro.
(Testo raccolto e tradotto da Silvia Benedetti)