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Parola di massone: il tricolore, bandiera giacobina e massonica

di Aldo Chiarle - 08/01/2007


Il Tricolore, bandiera giacobina dell’Unità d’Italia, stendardo simbolo della Carboneria, della Giovine Italia e della Massoneria.
Fu la bandiera della Repubblica Romana di Mazzini e Garibaldi


Quante cose si sono scritte sul Tricolore in cento anni! Sul quotidiano L’Avvenire di qualche anno fa, lo “storico” Franco Cardini scrive: “I tre colori della nostra bandiera sono alla base della liturgia cattolica: fede, speranza e carità. Ammantata di questi tre colori è la Beatrice che compare a Dante alla fine della Cantica del Purgatorio”.
Ma è evidente che quella di Cardini è solo una garbata provocazione, perché chi conosce la storia del nostro Risorgimento sa che l’unità e la libertà d’Italia è stata fatta soprattutto contro il papato e i suoi alleati.
E chi come me (parlo della generazione nata fra le due ultime guerre mondiali) su banchi di scuola non ha sentito il maestro parlare del Tricolore  formato dal verde delle nostre valli, dal bianco delle nostre nevi e dal rosso delle fiamme dei nostri vulcani? Ma anche queste romantiche parole sono state coniate quando la bandiera italiana aveva già compiuto cento anni, dal lirismo di Giosuè Carducci.
Il Tricolore come bandiera ufficiale d’Italia è nata il 7 gennaio del 1797 quando a Reggio Emilia sono convenuti i delegati di quattro città (Reggio, Modena, Ferrara e Bologna) che già si erano scrollate di dosso i loro dominatori (il Papa da Bologna e Ferrara) intenzionati a costituire la Repubblica Cispadana. E la consacrazione del Vessillo avvenne nella Aula Magna di Palazzo Bognini alla presenza di 36 delegati di Bologna, 24 di Ferrara, 22 di Modena e 20 di Reggio.
Perché la scelta di Reggio Emilia? Perché a Reggio Emilia (oltre che a Genova) era stato piantato per la prima volta in Italia l’albero della Libertà, un grande albero che rappresentava la natura, adorno di nastri tricolori e sormontato da emblemi rivoluzionari. L’Inno dell’albero della Libertà, scritto da autori anonimi, è forse una delle prime canzoni popolari che parlano di Libertà, d’Italia e di Patria.
Sventolò da allora e ufficialmente il Tricolore sino alla caduta di Napoleone (1814) quando con il ritorno del dominio austriaco, la bandiera dei tre colori divenne simbolo di sovversione e di cospirazione; e proprio in quei giorni venne consacrato con il sangue dei martiri come unica bandiera dell’Italia che stava iniziando con i moti carbonari il lungo e sanguinoso cammino verso la sua unità. Una delle rime apparizioni della bandiera tricolore fu a Milano nel novembre del 1796 e fu lo stesso Napoleone a consegnare uno stendardo bianco, rosso e verde ad un Corpo di volontari lombardi. Alla sommità dell’asta vi era il “livello” massonico.
Bianco, rosso e verde, perché bianco e rosso erano due dei tre colori della bandiera francese (l’altro colore, il blu, era quello del comune di Parigi); il verde al posto del blu perché il verde era il colore dell’albero della libertà, simbolo del diritto dei popoli alla libertà.
Alcuni storici, parlando del colore verde hanno accennato al sacro ed iniziatico colore della Massoneria, il che è vero e non solo perché la bandiera donata da Napoleone ai volontari lombardi aveva sull’asta il livello massonico, ma perché il tricolore era la bandiera sacra delle vendite carbonare e poi della Giovine Italia e da sempre quella delle officine massoniche. E il bolognese Zamboni Luigi, massone e carbonaro, nel suo tentativo di sollevare a Bologna una insurrezione antipontificia, adottò per vessillo questi tre colori. Arrestato, si uccise in carcere nel 1795: aveva solo ventitre anni... .
Il tricolore è sacro per i fratelli massoni, in ogni riunione massonica, ad apertura dei lavori, il Tricolore è portato all’Oriente, vicino al Maestro Venerabile .
Dimenticato da tanti anni, specialmente coloro che ben volentieri lo avrebbero sostituito con una bandiera rossa o con quella del Vaticano, sta passando un momento di moda e si parla di metterlo in ogni aula di scuola ed in ogni edificio pubblico. Ma siamo sicuri, e lo diciamo con profondo rammarico, che presto non se ne parlerà più e che sventolerà per le strade d’Italia ai prossimi campionati di calcio o alle Olimpiadi.
 
Il fratello Aldo Chiarle ha festeggiato recentemente i suoi sessanta anni di giornalismo e cinquanta anni di iscrizione all’Ordine dei Giornalisti. In questa occasione gli sono giunti da tutta Italia centinaia di biglietti e telegrammi di congratulazione, fra cui, graditissimo, quello del Gran Maestro: “A differenza del petrolio l’inchiostro non è mai venuto meno e così sono trascorsi i 60 anni terribili in cui la tua penna micidiale ha colpito il trono e l’altare. Augurissimi da Gustavo Raffi”.
 
(
http://www.grandeoriente.it/notizie/erasmonotizie/21021.pdf)