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Lo spirito del terrorismo

di Alessio Mannucci - 09/01/2007

 
Subito dopo gli attacchi terroristici dell'11 settembre 2001, Baudrillard
scrisse un articolo, “Lo Spirito del Terrorismo”, pubblicato il 2 novembre
2001 su Le Monde, subito dopo tradotto e ampliato in uno dei testi più
provocatori e controversi sul terrorismo, “Lo Spirito del Terrorismo:
Requiem per le Torri Gemelle” (2002). In questo articolo, egli sosteneva
che gli assalti al World Trade Center e al Pentagono costituivano un
“evento forte”, che gli attacchi erano “l'evento principale, quello da cui
sono derivati tutti gli altri, l'evento perfetto che unisce in sé tutti
gli eventi che non sono mai accaduti”.

Baudrillard affermò che “lo sciopero degli eventi” era finito e da allora
in poi ha preso a concentrarsi più intensamente sulle dinamiche e gli
accadimenti della società contemporanea. Per Baudrillard, gli attacchi
dell'11 settembre rappresentavano un nuovo tipo di terrorismo, che
mostrava una “forma di azione che sta alle regole del gioco, che le
stabilisce, esclusivamente con l’obiettivo di infrangerle”. Ciò significa
che i terroristi (chiunque fossero, ndr), nell'opinione di Baudrillard,
avevano usato gli aereoplani, i computer e i media, associati alle società
occidentali, per produrre uno spettacolo di terrore.

Gli attacchi erano serviti ad evocare uno spettro di terrore che faceva
credere che il sistema stesso della globalizzazione e il capitalismo e la
cultura occidentali fossero minacciati dallo “spirito del terrorismo” e da
possibili attacchi in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo.

LA MORTE NELL/DELL'IMMAGINE

“Non c'è un grado zero dello sguardo (né l'immagine è allo stato bruto).
Non c’è un documentario puro sul quale verrebbe a innestarsi in un secondo
tempo una lettura simbolizzante. Ogni documento visivo è immediatamente
finzione” (R. Debray, “Vita e Morte dell'Immagine. Una Storia dello
Sguardo in Occidente”, Il Castoro, Milano 1999).

L'evento dell'11 settembre, l'attentato al World Trade Center di New York,
è stato forse il primo evento di guerra mediatica su scala mondiale,
progettato e portato a termine, oltre che per un fine eminentemente
simbolico, allo scopo di colpire al cuore le certezze percettive dello
sguardo occidentale, o meglio, per colpire l'Occidente nel punto
nevralgico del suo sistema percettivo di organizzazione della realtà. Come
ha affermato Régis Debray, filosofo, politologo e teorico dell'immagine:
“La fuga senza ritorno delle immagini che avviene giorno dopo giorno è un
canale di ricambio per le memorie e una dissuasione per l'intelligenza […]
essa feticizza l'istante, destoricizza la storia, scoraggia lo stabilirsi
della minima serie causale”.

Régis Debray descrive il processo di mistificazione che riguarda l'effetto
di realtà delle immagini che rappresentano il reale; in particolare, egli
afferma che queste immagini si aboliscono in quanto rappresentate,
interpretate, composte, diventando acriticamente “vere”, senza dubbio
false. Perché c’è un soggetto dietro l'obbiettivo, c’è tutto un gioco di
esibizione e di seduzione tra tutte le immagini prese in considerazione
fra mille altre possibili e mostrate al loro posto, un gioco complicato di
fantasie, di interessi e talvolta di rischi.

Senza essere messe esplicitamente in discussione rispetto alla loro
presunta obiettività, le immagini fotografiche e video che documentano la
realtà si sostituiscono ad essa. Questo processo di mistificazione ha
origine nel paradosso che riguarda queste immagini: nascono da un dialogo
con la realtà, dall'apertura a qualcos'altro rispetto a se stesse per
diventare autoreferenziali, più si sostituiscono alla realtà che
rappresentano più si allontanano dalla loro origine. In questo modo, si
confonde l'esperienza del reale con quella del “reale virtuale” registrato
dalle immagini, la “realtà fiction” che ogni documento visivo rappresenta.

LOGISTICA DELLA PERCEZIONE

Nell'era della simulazione, della rappresentazione virtuale del mondo,
della sovraesposizione, lo stato della percezione si situa sempre un po’
prima e un po’ dopo rispetto agli eventi. Paul Virilio ha definito questo
tendere oltre ogni limite del percepibile l' “incidente del futuro”, un
incidente continuo, uno stato perennemente borderline del regime
percettivo, a rischio di deflagrazione proprio perché si situa in una zona
di costitutiva anomalia spazio-temporale della percezione. È il tempo
dello “spettacolo”, che non funziona più nei termini del racconto, ma in
quello della rappresentazione-sostituzione-simulazione. Ad esempio, la
guerra del Golfo fu un’immensa operazione di costruzione della suspense,
una guerra virtuale e mediatica, un immenso gioco di ruolo. Un “desert
screen”, uno schermo deserto, “pure war”, guerra pura, alla velocità della
luce.

Le immagini catturate dell'evento mass-mediatico non riescono più ad avere
un vero e proprio valore di testimonianza, sono sottratte al proprio
statuto storico, “trasmissione di effetti epidemici, emozione allo stato
puro” (Debray) Nel saggio “Guerra e Cinema”, Virilio chiama “logistica
della percezione” la sostituzione della realtà con le immagini cinematiche
che dominano la guerra di informazione. “Il mondo scompare nella guerra e
la guerra come fenomeno scompare dagli occhi del mondo”.

Virilio compara la guerra delle immagini all'arte del cinema. Nella guerra
di informazione, le immagini prodotte non hanno più come referente quelle
della guerra reale, sono “de-realizzate”, diventano autonome, assomigliano
più ad una realtà virtuale, come quella del cinema, o dei videogiochi, che
sempre più si assimigliano e si inter-scambiano.

Similmente a Baudrillard, che provocatoriamente disse che la Guerra del
Golfo non c'era mai stata in realtà ma che avevamo assistiso solo alla sua
simulazione, ad un'illusione mediatica, Virilio sostiene che guerra,
cinema e informazione sono ormai virtualmente indistinguibili.

THE VISION MACHINE

[...] Con la progressiva eliminazione di ogni punto di vista, il montaggio
frenetico e quasi “a distanza” di Pietro Scalìa e una sceneggiatura
interamente risucchiata dal caos dell’azione, “Black Hawk Down” manda in
pezzi i collaudati meccanismi narrativi dei “war-movie” hollywoodiani,
compresi i kolossal più recenti e i due film di Kubrick (“Orizzonti di
gloria” e “Full Metal Jacket”) a cui lo stesso Scott dichiara di
ispirarsi, spingendo la macchina da presa fra gli spazi urbani e desertici
delle “modern wars” contro i poveri del nuovo millennio, contaminando lo
schermo con suggestioni e visioni che sembrano fuoriuscire dal monitor di
un macabro e crudele videogioco, uno “spara-e-fuggi” di carne e sangue
dove i corpi sono figure, senza tempo né identità, pronte ad eliminarsi
reciprocamente. la guerra all'epoca della “globalizzazione” che il cinema
conosce per la prima volta con queste immagini di cinico e straordinario
realismo catturate dall'occhio futuristico di Ridley Scott [...]”
(Guglielmo Siniscalchi, Sentieri Selvaggi). [...] Seppur fedele alla
funzione del “vedere”, come atto aristotelico, primo e appagante nel
desiderio di conoscere, le sue immagini perfette sembrano inchiodarsi
nella mistificazione della realtà [...] (Francesco Russo, Tempi Moderni).

Ridurre eventi complessi come le guerre in categorie come la simulazione o
l'iperrealtà chiarisce gli eventi mediatici alla luce della loro
dimensione virtuale e tecnologicamente avanzata, ma ne cancella tutti gli
aspetti concreti.

L'unico modo, secondo Virilio, per monitorare gli eventi, è adottare un
punto di vista estremamente critico, che tenga conto dei paralleli tra
guerra, cinema e la logistica della percezione (è il tema del saggio “The
Vision Machine”).

Gli sviluppi tecnologici della produzione culturale hanno portato ad una
“pura percezione”, hanno reso gli spettatori assuefatti ad una visione
estatica, una “estasi della comunicazione” (Baudrillard), in cui la
sostituzione del reale (“estetica della sparizione”, Virilio) ha ridotto
notevolmente le capacità della visione critica. Lo scopo della “pura
percezione” è “registrare il declino della realtà”. Le macchine della
visione hanno l'effetto di accelerare una “visione senza vista” che altro
non è che la mera riproduzione di una intensa cecità, ed è questa secondo
Virilio, il nuovo stadio post-moderno e post-industriale:
“l'industrializzazione del non-sguardo”.

L'ILLUSIONE VITALE

“In te sta già nascendo la nuova carne. Adesso c'è l'ultimo passo,
l'ultima trasformazione. Sei pronto Max ? Io sono la videoparola che si è
fatta carne”. In “Videodrome”, di David Cronenberg, film cult degli anni
Ottanta, il rapporto tra spettatore e teleschermo, emittente e ricevente,
tra figura e sfondo, non comporta disparità ma simbiosi. In tale rapporto
si manifesta la totale invasività del medium video che insinuandosi nella
realtà percepita diventa la “nuova carne” dell'individuo
de-soggettivizzato. Nel nostro immaginario post-moderno, iper-moderno,
post-umano, la narrazione video, in tutte le sue forme, ha sostituito
quella funzione che un tempo apparteneva al mito nelle sue forme rituali,
orali, scritte, teatrali, musicali. Al suo posto, la “videopoiesi”, la
produzione-creazione di simulacri, che, come predetto da Jean Baudrillard,
ha assorbito il mondo reale, sostituendosi ad esso.

Una “immagine-corpo”, una “nuova carne”, seducente e e inquietante come i
frammenti video diffusi in rete nel romanzo “Pattern Recognition” di
William Gibson, tessere di un mosaico impossibile da comporre, patterns di
una ricognizione post-umana, evidenza dell'incapacità biologica dell’uomo
di ricostruire e comprendere tutti gli aspetti del reale.

Ancor prima dell'11 settembre, Baudrillard già vedeva la globalizzazione e
lo sviluppo tecnologico produrre la standardizzazione e la
virtualizzazione che stavano eliminando l'individualità, la lotta sociale,
la critica e la realtà stessa, mentre sempre più persone venivano
assorbite nelle realtà virtuali iperreali dei mass-media e del
ciberspazio. Questa sparizione della realtà costituisce il “crimine
perfetto” che è il soggetto del libro dallo stesso titolo e che venne
approfondito ne “L'Illusione Vitale” (2000). In quest'ultimo lavoro,
Baudrillard si presentava in veste di “investigatore privato” in cerca
dell'autore del “crimine perfetto”, l'assassino della realtà, “l'evento
più importante della storia moderna”.

Se la distruzione e la sparizione del reale nel regno dell'informazione e
delle immagini hanno creato un regno dell'illusione e dell'apparenza, in
maniera nitzscheana, egli suggerisce di considerare da ora in poi la
verità e la realtà soltanto come illusioni. Se è vero che le illusioni
regnano sovrane, non ci resta altro che rispettare l'illusione e
l'apparenza e rinunciare all'ingannevole ricerca della verità e della
realtà. “Col mondo vero abbiamo eliminato anche quello apparente !”
(“Crepuscolo degli Idoli”).

Alessio Mannucci
mannucciales@tiscali.it
Fonte: http://wwww.ecplanet.com/
7 gennaio 2007




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