Sfida a Darwin (recensione)
di Guglielmo Piombini - 13/01/2007
SFIDA A DARWIN
Fondazione Liberal, n. 34, marzo-aprile 2006
di Guglielmo Piombini
Nel 1996 in un articolo pubblicato dal biochimico ricercatore universitario Michael Behe sul New York Times, intitolato “Darwin al microscopio”, compare per la prima volta “l’eresia” secondo cui esiste una teoria chiamata “progetto intelligente” che spiega meglio della teoria darwiniana l’origine delle complesse macchine molecolari. Nello stesso anno si tiene alla Biola University di Los Angeles una grande conferenza che riunisce 160 studiosi sostenitori dell’Intelligent Design, che viene considerata il luogo ufficiale di nascita del movimento. Nel marzo e nell’aprile del 2001 due approfonditi e positivi articoli sul disegno intelligente compaiono in prima pagina sul Los Angeles Times e sul New York Times, sancendo l’accettazione e la visibilità pubblica raggiunta dal movimento. È l’inizio di una rivoluzione intellettuale che potrebbe cambiare completamente i paradigmi scientifici esistenti. Ma da dove vengono, e dove vogliono arrivare questi scienziati anticonformisti, che hanno osato sfidare la dominante e apparentemente inespugnabile ortodossia darwinista? A detta di tutti, la miccia che ha innescato questa esplosione è il libro pubblicato nel 1985 dal chimico e medico australiano Michael Denton, il cui titolo dice tutto: Evolution: a Theory in Crisis. Secondo Denton il darwinismo si trova nel bel mezzo di una “crisi”, nel senso dato dal filosofo della scienza Thomas Kuhn a questo termine, perché «dal 1859 ad oggi non è stato confermato da una sola scoperta empirica», e ha accumulato troppi problemi irrisolti, che non possono più essere ignorati.Vediamo i principali.
Processo al darwinismo
1) L’insostenibilità della generazione spontanea. Per gli evoluzionisti la vita si è sviluppata casualmente dalla materia inorganica, ma la generazione spontanea non è mai stata osservata in natura. Nell’Ottocento Luigi Pasteur dimostrò in via definitiva che i microrganismi non nascono spontaneamente dalla materia, ma solo da altri microrganismi vivi già presenti, e che quindi ogni vivente deriva sempre da un altro vivente. Ma nei libri di testo non si legge anche che nel 1953 lo scienziato Stanley Miller riuscì a ricreare la vita in laboratorio da una mistura chimica simile al brodo primordiale? La verità è ben diversa. Miller riuscì solo a far scaturire un aminoacido, ma per arrivare da questo ad una cellula vivente il salto è lunghissimo. Inoltre oggi gli scienziati sono convinti che la mistura di metano ed ammoniaca usata per quell’esperimento non corrisponda all’atmosfera primitiva della Terra. Allo stato attuale delle conoscenze scientifiche la nascita della vita organica dalla materia inorganica, lungi dall’essere facilmente ricreabile come voleva dimostrare Miller, rimane un evento così infinitamente improbabile da sembrare miracoloso. Occorre dunque riconoscere che la teoria evoluzionistica sull’origine della vita è una semplice ipotesi, o un atto di fede, ma non certo un fatto.
2) I limiti genetici alla macroevoluzione. Tra le prove addotte a sostegno dell’evoluzione, viene spesso ricordata la resistenza acquisita dei batteri agli antibiotici. Questa però è micro-evoluzione (un piccolo cambiamento interno alla specie), non macro-evoluzione (un passaggio da una specie ad un’altra), perché i batteri rimangono sempre batteri e non diventano un altro tipo di organismo. Gli evoluzionisti ipotizzano tuttavia che, su lunghi periodi di tempo, la microevoluzione possa dar luogo ad una macroevoluzione. Questa estrapolazione teorica, oltre a non essere mai stata osservata, non si concilia però con ciò che l’uomo conosce da secoli riguardo la selezione artificiale delle piante e degli animali. Sembrano esserci infatti dei limiti genetici che impediscono ad una specie di trasformarsi in una specie diversa. I cani ad esempio, pur venendo incrociati dagli allevatori da millenni, spaziano dai chihuahua agli alani, ma sono sempre rimasti cani. Ancor più significativi sono gli esperimenti con i moscerini della frutta, perché la loro breve vita permette di osservare un gran numero di successive generazioni. Tuttavia, malgrado i tentativi di guidarne l’evoluzione, i moscerini della frutta non hanno mai modificato la loro natura. Al massimo è intervenuta qualche variazione, quasi sempre instabile e difettosa. Pare quindi che perfino i tentativi della scienza di manipolare geneticamente le creature verso uno scopo ben definito (l’opposto, si badi bene, del cieco processo darwiniano) incontrino delle barriere invalicabili che rendono impossibile la macroevoluzione.
3) I reperti fossili mancanti. Se la teoria di Darwin è corretta, la terra dovrebbe essere ricolma di reperti fossili appartenenti ad organismi intermedi tra una specie e l’altra. Dopo 150 anni di ricerche, tuttavia, la situazione appare molto deprimente per i sostenitori di Darwin.
(Qualcuno si ricorda quando io parlavo della mancanza dell'anello mancante fondamentale?
Eppure mi davano del pazzo! )
La classica immagine dell’albero darwiniano della vita presente in quasi tutti i manuali di biologia, con i rami che si dipartono da un capostipite comune, non trova infatti corrispondenza con le scoperte della paleontologia. Non solo non sono mai stati ritrovati gli “anelli intermedi” tra una specie e l’altra, ma dai ritrovamenti fossili risulta, al contrario, che le specie viventi siano apparse più o meno simultaneamente, già perfettamente formate, nella grande esplosione di vita del Cambriano, circa 540 milioni di anni fa. Tutte le supposte scoperte di forme transizionali intermedie (come l’Uomo di Piltdown, l’ archaeopterix o l’archaeoraptor) si sono rivelate ad un più attento esame degli errori di valutazione, se non dei veri e propri falsi costruiti ad arte. Davanti a questi “duri fatti”, il famoso scienziato Stephen Jay Gould è stato costretto a riformulare la dottrina dell’evoluzione proponendo la teoria degli equilibri punteggiati, secondo cui l’evoluzione non avverrebbe per piccoli passaggi nel corso di lunghi periodi di tempo, ma con apparizioni improvvise di nuove specie senza transizione, alternate a lunghi periodi di stasi. È dubbio però che questa teoria possa salvare il darwinismo. Molti colleghi di Gould temono che egli possa diventare “il Gorbaciov del darwinismo”, perché i suoi tentativi di salvare la teoria evoluzionista rischiano di distruggerla, così come l’ultimo segretario del PCUS ha distrutto il comunismo sperando di riformarlo.
4) L’inesorabile legge dell’entropia. In base alla seconda legge della termodinamica ogni sistema, lasciato a sé stesso o al caso, perde energia, degrada e tende al disordine. Questa legge ferrea dell’universo è parte integrante della nostra esperienza quotidiana: senza manutenzione, cioè senza un intervento intelligente dall’esterno, tutte le cose si consumano e vanno in rovina. L’ordine è raro e difficile da ottenere; il disordine, al contrario, è lo stato più probabile. Se prendiamo un mazzo da poker con le carte ordinate per numero e per seme e lo mescoliamo, le carte si mischieranno. Non importa quante volte continueremo a mescolare il mazzo: le carte non torneranno più nell’ordine di prima, a meno che non le rimettiamo pazientemente a posto con un deliberato intervento intelligente.
Ebbene, la teoria dell’evoluzione contraddice questa legge, perché presuppone che la natura, lasciata al caso, non tenda verso il caos o il disordine (cioè verso i risultati più probabili), ma evolva verso ordini superiori e complessi, statisticamente più improbabili: dalla materia inorganica alla materia organica, dagli esseri unicellulari a quelli pluricellulari, dagli esseri non intelligenti a quelli intelligenti. Ma una teoria può fare eccezione alla seconda legge della termodinamica? Lo scienziato Arthur Eddington, già ottant’anni fa, era convinto di no, e disse: «La legge dell’entropia detiene, a mio avviso, la posizione suprema tra le leggi della natura. Se una teoria si trova in contrasto con questa legge, non gli do alcuna speranza. Per essa non c’è niente da fare. È destinata a crollare nella maniera più umiliante».
L’Intelligent Design come teoria scientifica
È in questa situazione di forte insoddisfazione per il paradigma evoluzionista, e di ribellione al ferreo dogmatismo imposto dai neodarwinisti nei dipartimenti delle università, che verso la metà degli anni Novanta del Novecento prende forma il movimento scientifico dell’Intelligent Design (che in italiano si può tradurre come “disegno intelligente” o, meglio, come “progetto intelligente”). Il suo quartier generale è il Discovery Institute di Seattle, e tra i nomi di spicco si segnalano Michael Behe, David Berlinski, William Dembski, Michael Denton, Guillermo Gonzales, Philip Johnson, Stephen Meyer, Jonathan Wells e numerosi altri. La tesi centrale del progetto intelligente è che il caso e la selezione naturale, le forze che per i darwinisti spingono l’evoluzione, non sono sufficienti a spiegare le caratteristiche degli esseri viventi, la cui complessità si comprende meglio postulando una causa intelligente piuttosto che un processo senza direzione. Il disegno intelligente ripropone dunque, alla luce delle nuove scoperte della scienza e della tecnica, l’argomento classico secondo cui si può desumere l’esistenza di un progetto nell’universo dalle prove fornite dalla natura.
Rispetto agli antichi apologeti del disegno intelligente, che avevano a disposizione solo la ragione e l’occhio nudo, oggi gli scienziati hanno il vantaggio di disporre di microscopi e telescopi moderni, che hanno permesso di scoprire delle forme di complessità prima inimmaginabili, come la cellula, la cui struttura organizzativa è immensamente più complicata di quanto si credeva ai tempi di Darwin; o come il DNA, con l’enorme quantità d’informazione che contiene; o come il principio antropico, secondo cui l’universo sembra essere finemente regolato, nei minimi dettagli, per rendere possibile la vita umana sulla terra, e che basterebbe alterare di un soffio una delle tante costanti dell’universo per renderla impossibile. Secondo i sostenitori del disegno intelligente, più l’ordine della vita e dell’universo si mostra complesso, più si indeboliscono statisticamente le probabilità della sua origine casuale, e più aumentano le probabilità di una causa intelligente.
Al riguardo è fondamentale il concetto di “complessità irriducibile” elaborato dal biologo molecolare Michael Behe per descrivere quei meccanismi il cui funzionamento dipende dall’interazione di molte parti, e che non funzionerebbero per nulla se solo una di queste parti mancasse. Questi sistemi non possono formarsi per lenta evoluzione perché nelle fasi intermedie non servirebbero a niente, ma devono necessariamente essere progettati e assemblati tutti in una volta, come solo l’intelligenza sa fare. Behe rileva che l’attento studio degli organismi a livello molecolare rivela l’esistenza di numerose macchine “irriducibilmente complesse”, i cui processi di formazione non sono stati ancora spiegati in maniera plausibile dalla teoria evoluzionista.
Per togliere dignità scientifica a questo genere di argomenti, l’establishment evoluzionista usa la tattica di equiparare il progetto intelligente al creazionismo biblico di matrice fondamentalista. La scienza, secondo la definizione dei darwinisti, dovrebbe limitarsi alle sole spiegazioni materialiste della realtà. Per i fautori del progetto intelligente, invece, dovrebbe essere aperta a tutte le conclusioni cui giunge la ricerca. Se le prove empiriche rendono plausibile l’esistenza di un disegno intelligente nella natura, perché un ricercatore non dovrebbe accettarle? Esaminando un sistema lo scienziato può inferire l’esistenza di un progetto intelligente, ma non può stabilire chi sia il progettista. È possibile immaginarlo come un essere supremo, ma non spetta agli scienziati descriverlo. Non c’è alcun rischio di commistione con la religione, perché la scienza a questo punto si ferma, lasciando il posto alla teologia.
Per chiarire i rapporti tra scienza, religione e progetto intelligente, il matematico William Dembsky ha fatto notare che l’individuazione degli indizi di un intervento intelligente è un’attività comunissima nei campi più disparati: si pensi all’archeologia, quando occorre stabilire se un oggetto ritrovato sia o meno un manufatto; al programma SETI per intercettare segni di intelligenza extraterrestre provenienti dal cosmo; alle investigazioni legali, per stabilire se un determinato evento è stato causato da un fatto naturale o da un’azione dolosa e intelligente; ai brevetti, dove occorre stabilire se si è verificata un’imitazione deliberata o dovuta al caso; all’analisi della falsificazione dei dati; alla crittografia e alla decifrazione dei codici segreti.
In genere, davanti ad un algoritmo informatico, un geroglifico, un utensile o un disegno sulle pareti di una caverna, l’uomo riesce ad individuare in maniera intuitiva la causa intelligente dal tipo di informazione che vi è contenuta. L’Intelligent Design propone un metodo scientifico per scoprire, in maniera rigorosa e matematica, questi segni d’intelligenza nelle cose. A tal fine, Dembsky ha elaborato un “filtro” capace di identificare statisticamente in via generale se un determinato risultato è prodotto dall’intelligenza o dal caso. L’intelligenza lascia infatti dietro di sé la sua firma, quando l’informazione è complessa (cioè non riproducibile fortuitamente) e specifica (cioè corrispondente ad un certo schema o modello indipendente).
Nella definizione di Dembski, il progetto intelligente è la scienza che studia i segni dell’intelligenza. Ciò che rende questa scienza così controversa è il fatto che intende applicare le sue acquisizioni anche alla biologia, sfidando il veto evoluzionista.Vi sono infatti moltissimi sistemi del mondo naturale che gli evoluzionisti attribuiscono al caso, come l’origine e l’evoluzione della vita, che sono in verità così altamente improbabili da passare il severo filtro statistico proposto da Dembski, e rientrare necessariamente tra quelli progettati da un’intelligenza. Ogni persona sana di mente guardando i volti dei presidenti americani scolpiti sul monte Rushmore li attribuirebbe ad una causa intelligente e non all’erosione naturale. Ma allora, se è logico vedere l’intelligenza all’opera in una scultura, come non vederla in un corpo umano infinitamente più complesso?
Gli evoluzionisti rifiutano tuttavia di confrontarsi con il progetto intelligente, e chiedono ai tribunali di espellerlo dalle scuole in quanto non scientifico. Negli Stati Uniti hanno vinto una prima battaglia nel tribunale di Harrisburg, che nel dicembre 2005, per bocca del giudice federale John E. Jones, ha deciso che l’insegnamento del disegno intelligente nelle scuole viola la separazione tra stato e chiesa. La sentenza è tuttavia fortemente criticabile, non solo perché si basa su una concezione laicista del principio di separazione ben lontana dagli intenti originari dei padri fondatori (in una società libera, infatti, i programmi scolastici dovrebbero essere affidati alle scelte del mercato, dei genitori o delle comunità locali, non delle autorità federali), ma anche perché non è compito di un giudice stabilire il carattere più o meno scientifico di una teoria. La questione va dibattuta tra gli scienziati, gli epistemologi e i filosofi della scienza, non dagli avvocati e dai pubblici ministeri nelle aule giudiziarie.
Dalla parte opposta, si ribatte che il progetto intelligente è un vero programma di ricerca scientifico, perché non fa mai appello a Dio o all’autorità delle Scritture. A differenza del creazionismo, che parte dal libro della Genesi e cerca di dimostrarne la fondatezza scientifica, il progetto intelligente parte dall’esame dei dati empirici, e da questi inferisce l’esistenza di una causa intelligente responsabile della complessità specifica o irriducibile presente in natura. Le tesi del progetto intelligente, pertanto, sono falsificabili in senso popperiano come quelle di ogni teoria scientifica. Ad esempio, la conclusione secondo cui l’occhio è un organo irriducibilmente complesso, e quindi necessariamente progettato, può essere falsificata dimostrando le modalità precise con cui si è gradualmente formato nel tempo.
In alcuni casi, come le indagini sul bioterrorismo, l’Intelligent Design potrebbe rivelarsi un utile strumento scientifico. Supponiamo che in futuro un virus o un batterio mai visto prima provochi un’epidemia mortale su vasta scala. A quel punto sarà importante sapere se il nuovo microrganismo sia sorto casualmente per evoluzione o se sia stato progettato in laboratorio, perché nel secondo caso potrebbe trattarsi di un attacco terroristico con armi biologiche. Chi può risolvere una questione come questa? Non certo i teologi o i filosofi, ma gli scienziati: usando proprio quelle tecniche scientifiche messe a punto dal progetto intelligente per scoprire i segni dell’intelligenza nella natura!
I rischi del materialismo
Nel mondo cattolico le teorie del disegno intelligente sono state accolte con interesse dal cardinale di Vienna Christoph Schönborn, che il 7 luglio 2005 ha pubblicato sul New York Times un articolo critico verso il darwinismo, e a quanto pare anche dallo stesso Papa Benedetto XVI, che nell’omelia della Messa di insediamento ha affermato: «Non siamo il prodotto casuale e senza senso dell’evoluzione. Ciascuno di noi è il frutto di un pensiero di Dio». Altre voci cattoliche, come quella del cardinale Paul Poupard, del gesuita Giuseppe De Rosa o dell’antropologo Fiorenzo Facchini, hanno però mostrato una certa ostilità verso l’Intelligent Design. Il progetto intelligente scuote infatti il tranquillo modus vivendi tra scienza e religione al quale molti si erano abituati. Temendo di essere tacciati di oscurantismo, la maggioranza dei cattolici ha infatti cessato da tempo di criticare le teorie di Darwin sposando una sorta di “teismo evoluzionistico”, in base al quale il principio di evoluzione e il principio di creazione convivono su due piani diversi. Secondo questa visione “ecumenica”, il disegno di Dio si attuerebbe attraverso le leggi evoluzionistiche della natura.
Ci sono però alcuni problemi con il teismo evoluzionistico. In primo luogo, sopravvaluta eccessivamente le prove a favore dell’evoluzione. Una cosa è dire, come nella lettera di Giovanni Paolo II rivolta nel 1996 alla Pontificia Accademia delle Scienze, che la teoria evoluzionista è “più che una ipotesi”; ma altra cosa è dire, come il biblista Gianfranco Ravasi, che “è ovvio che l’evoluzione esiste, non si possono ignorare i risultati della scienza”.
In secondo luogo, l’inserimento di Dio all’interno della visione evoluzionistica dà l’impressione di un’aggiunta posticcia e non necessaria, di cui la teoria darwiniana può tranquillamente fare a meno. I cattolici, ovviamente, non potrebbero mai accettare una teoria fondata su presupposti filosofici naturalisti o materialisti, ma è proprio sotto questa veste che la teoria di Darwin compare nei testi di biologia, dove l’evoluzione viene invariabilmente presentata come un processo “cieco”, “non guidato” o “privo di direzione”. La dottrina evoluzionista ha rappresentato un veicolo fondamentale per la diffusione dell’ateismo e del materialismo, e forse nessuna dottrina è stata capace di allontanare tanta gente dalla fede nel Dio creatore come quella di Darwin. A buon ragione lo scienziato Richard Dawkins, fervente darwinista, ha potuto affermare che “le teorie di Darwin ci hanno permesso di diventare compiutamente atei”.
In gioco, dunque, non c’è solo la verità scientifica, ma un’intera visione della realtà. Il dibattito fra il darwinismo e il progetto intelligente è infatti parte di un più ampio conflitto culturale tra coloro che ritengono che nella natura non vi sia alcun progetto morale intrinseco, e coloro che credono che nella natura vi sia un disegno, un ordine morale, che va rispettato. Perché se l’universo è quello descritto dai materialisti, allora l’uomo è interamente determinato dalla natura e quindi privo di libero arbitrio, la vita umana non ha alcun significato ultimo, e non esiste alcun fondamento assoluto del bene e del male. Nel XX secolo i nazionalsocialisti e i comunisti hanno esplicitamente incorporato il darwinismo all’interno della loro ideologia proprio perché, degradando l’uomo al rango di un animale o, peggio, di un oggetto materiale sorto dalla fortuita combinazione di elementi chimici, erano liberi di annientarlo senza impacci d’ordine morale.
Oggi, analogamente, i sostenitori della cultura della morte, dell’aborto, dell’eutanasia, dell’eugenetica, degli esperimenti sugli embrioni o della clonazione umana hanno bisogno di un universo che sia compatibile con i propri desideri, nel quale non può esserci posto per alcuna realtà spirituale o sovrannaturale. Un’etica materialista richiede necessariamente un universo materialista. Le guerre culturali sono dunque, in ultima analisi, guerre cosmologiche. Coloro che riusciranno a ricostruire la narrazione più convincente sulle origini dell’universo, della vita e dell’uomo conquisteranno anche la guida morale e culturale della società.