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L'America Latina verso un futuro alternativo

di Noam Chomsky - 15/01/2007

 

Nella "Dichiarazione di Cochabamba" i rappresentanti dei paesi sudamericani hanno espresso l’intenzione di costituire una comunità continentale. Cinquecento anni dopo le conquiste europee, la Dichiarazione sancisce un ulteriore passo verso l’integrazione della regione sudamericana che, dal Venezuela all’Argentina, potrebbe mostrare al mondo come sia possibile un futuro libero dagli strascichi del terrore

Il mese scorso una coincidenza di vita e morte ha segnato un momento di passaggio per l’America Latina – e, in realtà, per il mondo intero.

L’ex dittatore cileno Augusto Pinochet è morto proprio mentre i capi di Stato sudamericani stavano concludendo un summit di due giorni a Cochabamba, in Bolivia, organizzato dal Presidente Evo Morales. I temi trattati nel corso dell’incontro hanno rappresentato la perfetta antitesi di Pinochet e del suo regime.

Nella Dichiarazione di Cochabamba, Morales e i rappresentanti di altri dodici paesi hanno espresso l’intenzione di costituire una comunità continentale sul modello dell’Unione Europea.

Cinquecento anni dopo le conquiste europee, la Dichiarazione sancisce un ulteriore passo verso l’integrazione della regione sudamericana che, dal Venezuela all’Argentina, potrebbe mostrare al mondo come sia possibile un futuro libero dagli strascichi del terrore.

Gli Stati Uniti hanno esercitato a lungo il loro dominio sulla regione principalmente in due modi: violenza e pressione economica. In linea generale, gli affari internazionali vanno di pari passo con la mafia: il padrino non lascia passare uno sgarro, neanche quello del piccolo commerciante.

I precedenti tentativi di conquistare l’indipendenza sono falliti anche per mancanza di cooperazione regionale. Senza quest’ultima, ogni iniziativa in merito può essere sistematicamente repressa (l’America Centrale, purtroppo, deve ancora scrollarsi di dosso paura e distruzione, un’eredità di decenni di terrore che durante gli anni ottanta Washington ha sostenuto).

Il nemico storico degli Stati Uniti è il nazionalismo indipendente, soprattutto nella sua forma di “esempio contagioso”, per citare le parole di Henry Kissinger in relazione al socialismo democratico cileno.

L’11 settembre 1973 i militari di Pinochet presero d’assalto il palazzo presidenziale cileno, dove il presidente Salvador Allende – democraticamente eletto – morì, a quanto sembra di propria mano, per non cedere all’assalto che distrusse la più antica e virtuosa democrazia latino-americana e che stabilì un regime di torture e repressioni.

Secondo le stime ufficiali, le vittime del colpo di Stato cileno sarebbero 3200; oggi si sa che sono il doppio. Un altro studio ufficiale, trent’anni dopo il golpe, ha recuperato le prove di 30.000 casi di tortura avvenuti durante il regime di Pinochet. Fra i leader di Cochabamba ha figurato l’attuale presidentessa cilena Michelle Bachelet, che, come Allende, è socialista e scienziata, nonché ex esiliata e prigioniera politica; suo padre, generale, morì in prigione dopo essere stato torturato.

A Cochabamba, Morales e il Presidente venezuelano Hugo Chávez hanno festeggiato la costituzione di una nuova joint venture; si tratta della definizione di un progetto per un gasdotto in Bolivia, che sancisce il rafforzamento del ruolo della regione nella gestione dell’energia a livello mondiale.

II Venezuela è l’unico paese dell’America Latina membro OPEC, e di quest’ultima quello che ha maggiori riserve Medio Oriente eslcuso. Chávez prevede in futuro una “Petroamerica”, un sistema energetico integrato simile a quello cui la Cina sta cercando di dar vita in Asia.

Il nuovo Presidente ecuadoriano Rafael Correa ha proposto un collegamento per i commerci terra-acqua dalla foresta amazzonica fino alla costa sul Pacifico dell’Ecuador, sulla falsariga del Canale di Panama. Tra le altre ambiziose iniziative figura lo sviluppo della già consolidata Telesur, il nuovo canale televisivo venezuelano, e altre azioni volte a controbilanciare il monopolio mediatico occidentale.

Il Presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva, ha auspicato un’intesa tra tutti i capi di Stato presenti nel tentativo di appianare le divergenze storiche e, nonostante le difficoltà, compattare politicamente il continente.

L’integrazione, infatti, è il primo requisito per una vera indipendenza. La storia coloniale – quella che ha visto come protagonisti Spagna, Gran Bretagna, altre potenze europee e gli Stati Uniti – ha lasciato in eredità, oltre ad alcune divisioni tra paese e paese, una profonda lacerazione trasversale ai singoli Stati, quella fra la piccola élite benestante e le masse povere.

Negli ultimi anni la vigilanza economica sul continente è stata esercitata dal Fondo Monetario Internazionale – organismo come noto in stretta relazione con il Ministero del Tesoro americano –, oggi messo in discussione da Argentina, Brasile e, più recentemente Bolivia, per le sue costrizioni.

A seguito dei nuovi sviluppi della regione latina, gli Stati Uniti sono stati costretti a ridefinire la loro linea politica. La storia ricorda che alcuni dei governi che oggi beneficiano del sostegno americano, ad esempio quello brasiliano, in passato hanno rischiato di essere rovesciati – come successe al Presidente brasiliano Joao Goulart nel colpo di Stato del 1964 sostenuto dagli Usa.

A tal proposito, andrebbero contestualizzati alcuni eventi. Per esempio, ricordare che quando in ottobre Lula è stato riconfermato, fra le sue prime mosse c’è stata quella di recarsi a Caracas per sostenere la campagna elettorale di Chávez. Oppure, il fatto che lo stesso Presidente brasiliano, oltre ad aver già avviato un importante progetto in Venezuela, un ponte sul fiume Orinoco, stia discutendo l’istituzione di ulteriori joint ventures.

Gli sviluppi, in ogni caso, si succedono a ritmo incalzante. Ancora il mese scorso, in occasione del meeting semestrale brasiliano, Mercosur, l’organizzazione per il commercio sudamericana, ha rilanciato il dialogo sull’unità dell’area. Ed è stato lo stesso Lula ad aprire i lavori della Commissione Mercosur. Obiettivo? Lanciare un altro importante segnale verso la liberazione dai demoni del passato.

 

Noam Chomsky, definito dal 'New York Times' “probabilmente l’intellettuale più illustre dei nostri tempi", è stato eletto l’intellettuale pubblico vivente più importante nell’ambito del Global Intellectuals Poll 2005 condotto dalla rivista inglese 'Prospect'. Chomsky, professore presso il Dipartimento di Linguistica e Filosofia del Massachusetts Institute of Technology, risiede a Lexington, Massachusetts.
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Fonte: International Herald Tribune
Traduzione a cura di Anna Pietribiasi per Nuovi Mondi Media