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Ecco come Prodi prepara un falso governo anti-americano sotto protezione Usa

di Claudio Lanti - 15/01/2007

Commedie politiche e sovranità nazionale

Ecco come Prodi prepara un falso governo anti-americano sotto protezione Usa facendo impazzire di gelosia il perdente Berlusca


La falsa disputa tra Berlusconi e Prodi sul rapporto tra Italia e Usa è un classico del teatro politico, destinato solo alla ripartizione delle quote elettorali nell’opinione pubblica interna. La cosiddetta fedeltà italiana agli Stati Uniti non è minimamente sfiorata in queste commedie tra maggioranza e opposizione, che proseguiranno anche in futuro coprendo la natura reale del sofisticato rapporto tra Roma e Washington. Dal 1945 il nostro Paese (come l’Europa intera) resta una base mediterranea degli Usa e tale rimarrà fin quando la storia del mondo sopporterà il ciclo del dominio americano. Chiuso: non c’altro da dire.

Anzi, nella guerra al terrorismo islamico e in vista del futuro probabile attacco all’Iran, Washington sta premendo per stringere ulteriormente i meccanismi di cooperazione tra alleati per evitare altri passi falsi come il rapimento di Abu Omar. E vedrete che su queste cose anche Rifondazione farà finta di non vedere. L’Italia è una provincia irrequieta e inaffidabile sulle cose minori ma poi alla fine resta la più obbediente sulle primarie esigenze americane. Gli sfoghi anti-Usa della sinistra e la prevedibile rinuncia Usa al raddoppio della base di Ederle offriranno una divertente cornice di realismo a questa mistificazione e terranno a bada le squadracce beote dei centri-sociali.

I Paesi deboli e impotenti sono costretti a mettersi sotto la protezione di quelli grossi e potenti. Noi sempre di più. Incapace di arrestare il collasso istituzionale della Penisola italica il nostro establishment ci ha portato ad una fase più avanzata del processo di sudditanza imperiale iniziato con i primi tradimenti del 1941-42. Ed è pronto a cedere gli ultimi brandelli di sovranità interna in cambio di quell’avallo politico di Washington che sembra diventato determinante per la sopravvivenza di qualsiasi governo. Di questo avallo ebbe bisogno Berlusconi, camuffandolo sotto la triste etichetta di una volontaria scelta ideale (la vostra bandiera è la mia” disse il Cavaliere a Bush nel suo momento di massimo abbandono yankee”). E dello stesso avallo avrà bisogno qualsiasi esecutivo che intenda restare in piedi sia con l’attuale insufficiente maggioranza parlamentare sia con una più ampia maggioranza di emergenza istituzionale.

Ecco perché bisogna considerare Romano Prodi come il candidato numero uno alla successione di se stesso. Solo l’intuito di Bossi ha captato che il professore “durerà cinque anni”. Il motivo è che il premier ha individuato nell’attuale quadro internazionale la sostanza cruda degli interessi americani, che sono esclusivamente strategici, militari e di sicurezza. E come nei patti del dottor Faust con Mefistofele, sembra pronto a offrirsi come terminale di fiducia di tali interessi. Non è un caso se l’unica riforma che questo governo è riuscito a varare procede tranquilla con il tacito consenso di tutte le forze politiche. Ed è la riforma dei servizi segreti che, sul “modello Negroponte” garantirà un coordinamento operativo tra i due Paesi assai facilitato rispetto al passato. Se poi questo coordinamento sarà gestito dalla stessa Cia sotto processo a Milano, o dal FBI o da altre agenzie Usa oppure direttamente dal Consiglio per la sicurezza nazionale di Washington, anche questi sono dettagli trascurabili.

Qualcuno può chiedersi perché mai gli Usa dovrebbero affidarsi ad un personaggio logoro e screditato come Romano Prodi, invece di puntare su un governo trainato da un altro cavallo. La risposta è semplice. Il perdente Berlusconi è stato abbandonato come un Noriega qualsiasi. Il suo soprassalto di accuse alla politica estera “anti-americana” del governo rivale rivela la furente gelosia dell’amante scaricato. Massimo D’Alema è ancora utile per sofisticate operazioni diplomatiche come la missione in Libano a copertura della frontiera israeliana. Ma un suo ruolo guida a Palazzo Chigi, con le nuove guerre in arrivo in Medio Oriente, sarebbe una ripetizione rispetto al mandato di bombardamento già svolto nel 1998-99 nell’attacco alla Serbia. Giuliano Amato, vecchia cortigiana di ampi servizi, va ancora bene per gestire il Viminale. Rutelli, Veltroni, Fassino hanno tutti l’handicap di un partito dietro le spalle, cui dover dare giustificazioni. Ma Prodi ha due virtù preziose di questi tempi: non ha la palla al piede di un partito ma un piccolo sistema di potere personale, banche, telefoni e generali, che sta ampliando. E soprattutto è disposto alle soluzioni più spregiudicate pur di conservare il potere. Perché mai l’uomo che da giovane regalò l’Alfa Romeo ad Agnelli non dovrebbe regalare adesso l’Italia agli americani?


Claudio Lanti
La Velina Azzurra N. 2 del 15.1. 2007

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