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Nessuna via d'uscita

di Democracy Now! - 13/11/2005

Fonte: nuovimondimedia.com

 
Nella trascrizione per la stampa di questo colloquio, Amy Goodman – la conduttrice del programma radiotelevisivo statunitense Democracy Now! – intervista l’avvocato Joshua Colangelo-Bryan in merito ad una recente visita alla prigione militare Usa di Guantanamo 
L’amministrazione Bush ha deciso di non autorizzare incontri tra gli osservatori delle Nazioni Unite e i detenuti rinchiusi nella prigione di Guantanamo. Da tre anni gli osservatori dell’ONU tentano di visitare il campo di prigionia. Sembrava ci fosse stato un varco la settimana scorsa quando il Pentagono aveva invitato tre esperti dell’ONU a visitare Guantanamo, ma la condizione era che gli osservatori non vedessero i detenuti. Manfred Nowak, il Relatore Speciale delle Nazioni Unite sulla Tortura, ha affermato che non ha senso inviare esperti dell’ONU a Guantanamo a queste condizioni. Ha detto: “Dicono di non avere nulla da nascondere. Se non avessero nulla da nascondere perché non dovremmo poter parlare con i detenuti in privato?”

Finora ai detenuti è stato impedito di ricevere comunicazioni dall’esterno con l’eccezione di visite occasionali da parte degli avvocati. Parliamo con uno di questi avvocati, Joshua Colangelo-Bryan. Rappresenta sei uomini del Bahrain che sono trattenuti a Guantanamo senza capi d’accusa. Due settimane fa è stato testimone del tentato suicidio di uno dei suoi clienti, Jumah Dossari. Oltre venti detenuti hanno tentato di suicidarsi, ma si pensa che questo sia il primo caso di cui si ha testimonianza esterna alla prigione. I legali e gli avvocati per i diritti umani sostengono che questo evidenzi la crescente disperazione esistente tra gli oltre 500 detenuti.


AMY GOODMAN: "Abbiamo raggiunto Joshua Colangelo-Bryan martedì in Ecuador. Gli ho chiesto di spiegare chi sono i suoi clienti e cosa ha visto quando è andato a trovarli".


JOSHUA COLANGELO-BRYAN: "Il mio studio legale ha rappresentato sei cittadini del Bahrain che sono stati detenuti a Guantanamo negli ultimi sette anni. Abbiamo iniziato il lavoro durante l’estate del 2004 e da allora siamo stati a Guantanamo diverse volte per incontrare i nostri clienti. A ottobre di quest’anno ero a Guantanamo per incontrare ognuno dei nostri sei clienti, incluso Jumah-al-Dossari. Jumah ha 32 anni, divorziato, padre di una bambina di 10 anni. Solitamente è una persona molto affabile, di bella presenza. Conversiamo in modo piuttosto informale su diversi argomenti e sicuramente abbiamo sviluppato una certa comprensione e confidenza durante il corso delle mie visite".
"Il 15 ottobre di pomeriggio durante il nostro incontro lui ha detto di aver bisogno di andare in bagno e, senza entrare nei dettagli delle elaborate procedure di Guantanamo, questo richiede una chiamata alle guardie che arrivano e lo portano dalla sala dell’incontro in una cella adiacente dove c’è il bagno. Sono arrivate le guardie. Io ho lasciato la stanza. Parecchi minuti dopo le guardie sono uscite dopo aver portato Jumah nella cella. Dopo alcuni istanti ho deciso di verificare se avesse finito per poter rientrare e parlare di nuovo con lui".
"Ho aperto la porta che dà sia sulla stanza dell’incontro sia sulla cella. La prima cosa che ho visto è stata una pozza di sangue sul pavimento, e stranamente di primo acchito ho pensato che avesse vomitato sangue, un sintomo che accusava, e ho avuto lo strano pensiero che forse volesse convincermi che si trattava non di qualcosa che si era inventato. Un secondo dopo ho guardato attraverso l’area della cella e ho visto Jumah pendere dalla parte superiore di una parete a struttura metallica che circondava la cella. Aveva anche quello che sembrava essere un taglio molto grave all’interno del braccio sinistro, che provocava il sanguinamento sul corpo e sul pavimento".
"Ho subito urlato in direzione delle guardie che erano accorse con rapidità. Ho chiamato parecchie volte Jumah ma non rispondeva, e per quanto ne potessi sapere, sembrava incosciente. Arrivarono le guardie, lo tirarono giù dal cappio che lo teneva e lo misero sul pavimento. Sembrava ancora incosciente e ho visto anche che non sanguinava. Dopo poco tempo mi chiesero di lasciare la stanza o, per essere più precisi, mi ordinarono di lasciare la stanza. Mentre me ne andavo ho visto Jumah ansimare, e la cosa mi sembrò di buon segno".
"Mi è stato detto che lo avevano operato al braccio, che l’operazione era andata bene e che si stava riprendendo. Non mi è stato permesso vederlo di nuovo durante quella visita, e sono state ignorate tutte le mie richieste di avere informazioni sulle condizioni di Jumah nei dieci giorni successivi. Al momento non ho idea di come stia e di quali siano le sue condizioni. Nemmeno la mia richiesta di ritornare a Guantamano per una visita la settimana successiva è stata accettata. A questo punto l’esercito non mi dà informazioni sulla sua salute e non mi permette di andare a trovarlo. Per questa ragione a breve dovrò andare in tribunale per fare la richiesta e la relativa assistenza, che speriamo alleggerirà le condizioni che crediamo lo abbiano portato vicino al suicidio".


AMY GOODMAN: "Aveva avuto sentore che il vostro cliente, che Jumah avrebbe tentato il suicidio?"


JOSHUA COLANGELO-BRYAN: "Jumah ha tentato il suicidio parecchie volte a Guantanamo. Uno dei tentativi di suicidio, infatti, era stato descritto in un libro di Erik Saar che, so, è intervenuto nel Suo programma e che è un ex soldato dell’intelligence dell’esercito a Guantanamo. Nel suo libro Saar dice di essere stato chiamato sulla scena di un tentativo di suicidio, dove gli fu chiesto di leggere le parole scritte con il sangue sul muro di una doccia dove era avvenuto il gesto, le parole dicevano, 'Ho commesso suicidio a causa della brutalità dei miei oppressori'. Quello era il mio cliente, Jumah. E lui, di fatto, mi ha descritto l’incidente sei mesi prima che uscisse il libro. È stato piuttosto agghiacciante leggere il libro che descriveva quel fatto".
"Ci sono stati anche altri tentativi di suicidio. Il problema è che la risposta dell’esercito a quei tentativi di suicidio è stata quella di tenere Jumah in isolamento effettivo per quasi due anni. In questo momento è detenuto in una cella da cui non può vedere nessuno. È detenuto in una cella da cui può occasionalmente comunicare con un altro detenuto urlando, ma molto spesso non lo può fare. Gli è concesso approssimatamene un’ora di esercizio alla settimana e al momento non gli è nemmeno permesso avere altri libri a parte il corano".
"In base a quanto posso capire delle sue condizioni non sorprende il fatto che abbia tentato di commettere di nuovo suicidio. Nonostante questo non c’erano indizi durante il nostro incontro che ci sarebbe stato o potuto essere un tentato suicidio nell’immediato. Di fatto, mentre uscivo dalla stanza per permettergli di essere portato nella cella, ci siamo scambiati una veloce battuta. Di sicuro non avevo la più pallida idea che stava per succedere una cosa simile, ma non sorprende alla luce del trattamento che ha ricevuto, in particolare negli ultimi due anni".


AMY GOODMAN: "Di che cosa è accusato Jumah?"


JOSHUA COLANGELO-BRYAN: "Jumah, come tutti gli altri 750 detenuti o giù di lì che sono passati da Guantanamo, con l’eccezione di quattro di loro, non è accusato di niente. Non è nemmeno accusato in modo evidente di essere coinvolto in alcun tipo di violenza. Quello che il governo dice è che lui era, cito, “presente a Tora Bora”. Fine citazione. Il governo non dice quando era a Tora Bora. Non dice cosa stava facendo, nel caso in cui stesse facendo qualcosa, a Tora Bora. Non dice con chi era a Tora Bora, se c’era qualcuno. Quello che possiamo fare è semplicemente indovinare quale sia la vera natura delle affermazioni contro di lui. Devo dire che abbiamo altri clienti in situazioni molto simili contro cui, di fatto, ci sono affermazioni che descriverei come addirittura inferiori".


AMY GOODMAN: "Può riferire di altri detenuti che hanno tentato il suicidio? Ci sono altri casi di cui Lei è a conoscenza? Cosa è stato fatto a tal proposito?"


JOSHUA COLANGELO-BRYAN: "L’esercito ha stilato periodicamente rapporti sui tentativi di suicidio, anche se a volte ha scelto di riferire di tali tentativi quali comportamenti manipolativi autolesionisti o qualcosa del genere. Non conosco personalmente altri casi di tentativi. Avrei alcune domande riguardo la figura delle guardie, considerando che non ci mezzi indipendenti per verificarli".


AMY GOODMAN: "Cosa ci può dire dello sciopero della fame? Jumah vi ha preso parte, e Lei sa quante persone sono coinvolte?"


JOSHUA COLANGELO-BRYAN: "Jumah ha preso parte a parecchi scioperi della fame che sono avvenuti negli anni passati e a uno avvenuto in giugno e luglio di quest’anno. Ancora una volta le uniche cifre che abbiamo del numero complessivo di detenuti che hanno preso parte allo sciopero della fame deriva da fonti militari, e non abbiamo mezzi per verificarli in modo indipendente. Vedo una relazione tra quelli coinvolti nello sciopero e quelli che hanno tentato di commettere suicidio. Abbiamo uomini detenuti da quattro anni senza accusa, a volte nemmeno accusati di violenza; sono stati sottoposti a una serie di violenze confermate da personale americano. È stato loro proibito di parlare con le famiglie, e gli è stato detto, in molti casi, che rimarranno a Guantanamo per il resto della vita. Per quello che posso vedere, questi uomini esercitano quello che ritengono essere la sola forma di controllo sulle loro vite di cui sono capaci, per cui se da una parte è stata sicuramente una vista scioccante quella di essere testimone, non posso essere particolarmente sorpreso se si considera Guantanamo nella sua totalità".


AMY GOODMAN: "Vorrei che rispondesse rapidamente al Tenente Colonnello Jeremy Martin, portavoce della Joint Task Force di Guantanamo, che ha detto che le affermazioni secondo cui gli scioperanti sono quasi prossimi alla morte è falsa. Ha detto che le proteste iniziate l’otto agosto, che hanno raggiunto i 130 partecipanti, e adesso molto inferiori. Ha detto, cito, 'Questa tecnica, lo sciopero della fame, è in linea con l’addestramento di al-Qaeda e riflette il tentativo dei detenuti di attirare l’attenzione dei media e di fare pressione sul governo degli Stati Uniti'".


JOSHUA COLANGELO-BRYAN: "L’esercito sostiene di trattare tutti i detenuti umanamente, eppure il personale militare a Guantanamo ha riportato di essere stato testimone proprio del contrario. La tesi del governo americano è che gli uomini di Guantanamo siano della peggior razza, eppure ne hanno rilasciati 250. Alla luce di queste affermazioni ovviamente imprecise, prendo con le molle tutto quello che dice l’esercito. Ho un cliente che, quando sono andato a trovarlo a ottobre, aveva un sondino per l’alimentazione inserito nel naso, e penso che abbia perso tra i 15 e i 20 chili dalla volta precedente. Che lo si voglia o meno considerare pericolosamente vicino alla morte, vede, questo dipende da considerazioni personali, ma non ci sono dubbi sul fatto che la sua salute ne abbia risentito fortemente e che questo sia il diretto risultato del suo coinvolgimento nello sciopero della fame".


AMY GOODMAN: "So che deve andare ma vorrei chiederLe dei tre esperti di diritti umani dell’ONU che hanno rifiutato l’invito di visitare Guantanamo fino a quando il governo americano non avesse rinunciato al divieto di farli incontrare con i detenuti in privato. Manfred Nowak, il Relatore Speciale delle Nazioni Unite sulla Tortura, ha detto, cito, 'Dicono di non avere nulla da nascondere. Se non hanno niente da nascondere, perché non possiamo parlare con i detenuti in privato?' Cosa significa? Perché è così importante il fatto che parlino con loro privatamente?"


JOSHUA COLANGELO-BRYAN: "Ho incontrato queste persone e sono convinto della loro sincerità nel voler scoprire cosa sta succedendo a Guantanamo. Di sicuro una pubblicità preconfezionata di un giro dove le persone sono guidate nei diversi reparti e si mostrano i pranzi tipo ma non si parla mai con i detenuti è, a mio avviso, un esercizio senza valore, se si cerca di capire cosa sta succedendo esattamente a Guantanamo. Per fare questo devi andare alla fonte, e con questo intendo le persone che sono detenute e anche il personale americano, i militari, gli agenti dell’F.B.I. che hanno lavorato a Guantanamo e che hanno riportato di orrendi abusi".


AMY GOODMAN: "Dalla Sua esperienza, in conclusione, con il Suo cliente, cosa pensa, ha mai sperimentato niente di simile nella Sua pratica, nella Sua carriera di avvocato?"


JOSHUA COLANGELO-BRYAN: "Ho fatto volontariato post-bellico. Ho lavorato in processi per crimini di guerra. Ma non ho mai visto niente di simile a quello successo quando sono entrato in quella cella il 15 ottobre. Ciò evidenzia la disperazione della situazione a Guantanamo. Il bisogno disperato di una legge che regolamenti e il fatto che, credo, le persone detenute a Guantanamo possano ripetere questo tipo di atto in futuro, se le cose non cambianeranno drasticamente".


Sul caso di Guantanamo Nuovi Mondi Media ha pubblicato 'PRIGIONIERI DI GUANTANAMO – QUELLO CHE IL MONDO DEVE SAPERE' , di Michael Ratner e Ellen Ray

 Fonte: http://www.alternet.org/rights/27737/
Tradotto da Elena Mereghetti per Nuovi Mondi Media