Amazzonia. Per rappresaglia, una catastrofe
di Stefano Ronconi - 13/11/2005
Fonte: ilmanifesto.it
Un disastroso incendio devasta la foresta amazzonica: le cause sono sociali, legate al possesso e allo sfruttamento della terra.
Un disastroso incendio sta devastando una grande porzione di foresta amazzonica nei dipartimenti del Beni e del Pando, nell'Amazzonia boliviana, a ridosso della riserva forestale brasiliana «Chico Mendes».
La foresta brucia ormai da tre settimane, oltre mille famiglie sono state costrette a un'evacuazione senza ritorno, i morti sono decine, mentre l'incendio continua ad avanzare su un fronte di oltre cento chilometri, diretto verso nord: si parla di 150mila ettari distrutti, ma qualcuno azzarda un milione di ettari tra Bolivia e Brasile. Il danno ambientale ed economico è incalcolabile. Nelle cittadine di Riberalta, Berlìn e Candelaria, circondate dal fuoco, l'aria è irrespirabile, i voli aerei sospesi, la cenere ha coperto ogni cosa e inquinato le fonti d'acqua potabile. Oltre 3.200 persone sono ricoverate per difficoltà respiratorie.
Il governo boliviano ha dichiarato di non avere mezzi per far fronte a tale disastro, chiede aiuti alla comunità internazionale. Il presidente ad interim della Bolivia, Sandro Giordano, ha parlato di «un disastro senza precedenti» e ha visitato le zone colpite, anche se il suo aereo ha avuto difficoltà ad atterrare per il fumo persistente.
E' un disastro ambientale: ma le cause vanno cercate nello scenario di violenza e scontri sociali attorno al possesso e allo sfruttamento della terra. Sotto accusa sono i latifondisti che ogni anno appiccano incendi durante la stagione secca per allargare le zone di pascolo abusivo. Questa volta però due fattori importanti hanno aggravato le cose: l'incendio è stato innescato di proposito durante un violento scontro sociale, e in una situazione ambientale degradata a causa del cambiamento globale del clima.
Da mesi in quella regione della Bolivia erano in corso scontri tra latifondisti e contadini proprio in merito allo sfruttamento insostenibile della foresta. Da settimane campesinos, braccianti agricoli, raccoglitori di noci dell'Amazzonia e gli operai forestali, con le loro famiglie, tenevano blocchi stradali non-violenti (blòqueos) per protestare contro il degrado ambientale e per le loro condizioni di vita, spaventosamente povere. La polizia ha più volte attaccato i blocchi con lacrimogeni, manganelli e pallottole di gomma, arrestando decine di persone. Questo non ha fermato la protesta, che si è fatta più decisa.
A questo punto alcuni possidenti terrieri, per rappresaglia, hanno appiccato 25 focolai d'incendio, pur sapendo che nella zona non pioveva da sei mesi - il bacino amazzonico soffre di siccità (vedi Terraterra, 14 ottobre). Le conseguenze sono state devastanti. I focolai si sono riuniti in un unico fronte d'incendio, che ha raggiunto uno sviluppo di oltre cento chilometri. Più di mille famiglie sono state costrette ad abbandonare le loro case di legno e i loro campi, perdendo tutto. Undici comunità forestali e il centro turistico di Tumichucua sono andati distrutti. Il fuoco ha lasciato dietro di sé il deserto, con carcasse di animali morti, fonti inquinate e alberi secolari distrutti.
L'area interessata, composta da foresta primaria pregiata e in minor parte da piccole coltivazioni familiari e piantagioni arboree, è un ecosistema estremamente delicato e vulnerabile. Già danneggiato nel passato da incendi e deforestazioni, è situato al margine di terre che, una volta, erano foresta, ma nel tempo sono state inaridite dall'allevamento estensivo praticato dai latifondisti. L'equilibrio naturale della zona è stato così alterato, e il ciclo delle piogge, una volta quasi quotidiane, si è ridotto a brevi e intense precipitazioni «monsoniche» per pochi mesi all'anno, seguite da lunghi periodi di siccità. La foresta è divenuta più vulnerabile, piena di materiale vegetale infiammabile, facile preda degli incendi provocati dall'uomo. Secondo lo stesso presidente boliviano, originario di quelle zone, non si è mai verificata a memoria d'uomo una tale situazione climatica. Ci avviciniamo al punto di non ritorno, in una foresta irrimediabilmente alterata dalla siccità e dall'uomo.