Memoria per legge Le polemiche sul progetto di vietare il negazionismo La proposta del guardasigilli va rifiutata perché punta a legittimare una verità di stato incontrovertibile. Un'intervista con lo storico Marcello Flores
«L'obiettivo era bloccare l'iniziativa del ministro della giustizia Clemente Mastella, che vuole proporre una legge che equipara a reato la negazione della Shoa. Spero che il prossimo consiglio dei ministri respinga quella proposta». A parlare è lo storico Marcello Flores, che dell'appello firmato da centinaia di storici è il primo estensore assieme a Enzo Traverso e Simon Levi Sullam. «Non pensavo - continua Flores - che l'iniziativa raccogliesse cosi tanto e veloce consenso. Se poi pensi che tutto è nato una sera in cui ho sentito la dichiarazione di Mastella, ho preso il telefono, parlato con Enzo Traverso e Simon Levi Sullam e deciso insieme a loro che andava fatto qualcosa di scritto per esprimere il nostro dissenso e che poi quel testo, discusso con altri storici, abbia raccolto tutte quelle firme in così poco tempo, puoi davvero rimanere stupito. Spesso, noi storici per prendere una decisione ci mettiamo molto tempo, ma in questo caso forse il terreno era stato preparato da una lunga discussione che nei mesi scorsi ci aveva coinvolto dopo che in Francia il governo di Parigi aveva decretato per legge che negare lo sterminio degli armeni era da considerarsi un reato. In molti abbiamo espresso i nostri dubbi sulla validità di una legge di questo tipo. Nessuno pensava di rimettere in discussione l'esistenza del genocidio armeno. E tuttavia ritenevamo che andasse respinto il fatto che sia uno stato a stabilire quale sia la verità storica».
Marcello Flores è uno storico che ha affrontato temi controversi - Dal Genocidio degli armeni (Il Mulino) al Secolo-mondo. Storia del Novecento (Il Mulino), dal Sessantotto (il Mulino) a Tutta la violenza di un secolo (Feltrinelli) - con un rigore che è gli è unanimemente riconosciuto. Ultimamente ha curato per la casa editrice Utet, assieme a Marina Cattaruzza, Simon Levis Sullam e Enzo Traverso, una monumentale Storia della Shoah, che sarà presentata nei prossimi giorni in occasione della «giornata della memoria». Parlare con lui è come riannodare i fili di un passato comune che ha avuto le pagine di questo giornale lo spazio pubblico per discutere, ad esempio, di quell'uso pubblico della storia che una nuova generazione di studiosi proponeva negli anni Ottanta come il campo tematico da arare per innovare la ricerca storiografica. Marcello Flores era una firma abituale del manifesto, mentre chi scrive muoveva solo allora i primi passi nella redazione di Via Tomacelli. Poi le strade si sono separate, ma i suoi libri sono comunque una miniera di sollecitazioni, riflessioni talvolta scomode, ma sempre sorrette da basi storiografiche solide.
La proposta del ministro della Giustizia ha incontrato dissensi e approvazioni. Siete intervenuti voi storici, ma anche esponenti politici, esponenti della comunità ebraica, opinion makers. Nel governo poi si sono manifestate anche posizioni divergenti. Rutelli, ad esempio, ha esternato non pochi dubbi sulla legittimità di una legge come quella ipotizzata da Mastella. Che ne pensi?
Sono contento che Rutelli abbia preso posizione. Speriamo che altre personalità politiche del centro sinistra facciano lo stesso e nel prossimo consiglio dei ministri si discuta di altro e non della proposta del ministro Clemente Mastella.
Nel documento ponete con forza due questioni: la libertà di ricerca e il rifiuto di una verità di stato imposta per legge.....
C'è un aspetto per certi aspetti inquietante che viene svelato dalla proposta di Mastella. Lo riassumo così: il Novecento è stato un secolo che ha conosciuto spesso delle grandi tragedie. Non credo che la sua eredità possa essere affrontata da leggi che impongano una verità incontrovertibile su quelle tragedie. Sta infatti prendendo piede un'idea in base alla quale sono i ministeri della giustizia a gestire quella eredità, stabilendo cosa sia lecito e cosa illecito dire rispetto al proprio passato nazionale. Ma così facendo, un paese si mette la coscienza a posto e chiude i conti con il proprio passato. Una deriva che va arginata.
Siamo inoltre abituati a pensare che imporre una verità storica sia stata una caratteristica di regimi autoritari. Ma una legge emanata da un governo democratico che sanziona come reato la negazione della Shoah non risponde a una logica simile, anche se di segno contrario, a quella che muove ad esempio l'attuale governo iraniano che vuole negare per decreto l'esistenza di Israele e lo sterminio degli ebrei compiuto dai nazisti. Va dunque respinta l'idea di una «storia di stato», anche se è mossa da buoni propositi.
C'è inoltre il rischio del blocco della ricerca storiografica, non credi?
La ricerca storiografica non si può bloccare. Prendiamo la Shoah. Sappiamo che c'è stata e come è stata condotta, eppure ci sono alcuni aspetti che devono essere ancora indagati. Mi riferisco ad esempio al riflesso locale delle deportazione e dello sterminio degli ebrei. Una dimensione locale che va indagata, studiata. Allo stesso tempo suscita molta discussione tra gli storici il grado di consenso, di partecipazione attiva o di passività della popolazione. Fattore certamente studiato in passato, ma che recentemente ha dato l'impulso a nuove indagini storiche di indubbio interesse. Oppure il grado di coinvolgimento dello stato o della burocrazia statale nella Shoa o nella persecuzione degli ebrei. Fattori che alimentano filoni di ricerca inediti.
La ricerca storiografica deve infatti misurarsi con gli aspetti controversi del divenire storico. Mi spingo oltre. C'è una grande discussione sul numero dei morti e sulla unicità o meno dell'Olocausto. Sul primo aspetto, credo che il numero dei morti non si saprà mai. Ma sul tema dell'unicità o meno dell'Olocausto entra in campo il legame della Shoa con la storia occidentale. E' una discussione aperta. Ci sono storici che fanno dell'unicità un moloch indiscutibile. Ci sono poi studiosi ebrei che fanno dell'unicità della Shoa un fattore costituivo dell'identità ebraica. Bene, penso invece che sia un tema da discutere a fondo e che la ricerca storica possa aiutare a orientare proprio la discussione, senza che questo significhi rimettere in discussione l'Olocausto.
La Germania, la Francia hanno già leggi che equiparano a reato chi nega la Shoa . Recentemente alcuni esponenti del parlamento europei hanno posto il problema di un dispositivo dell'Unione europea che vada in questa direzione, perché, sostengono, la Shoa un fattore costitutivo dell'identità europea. Che ne pensi?
La discussione, la riflessione sulla Shoa ha avuto un peso rilevante nel processo di costruzione dell'Europa. Mi auguro che il parlamento Europa faccia una dichiarazione dal forte contenuto morale, ma non normativo in cui si afferma che la Shoa è un momento fondante nella storia europea che non si vuol ripetere. Una dichiarazione che abbia la stesso tonalità morale e politica della dichiarazione dei diritti dell'uomo. Nulla a che vedere quindi con una verità storica di stato. Ultima questione. MI sembra che un tema a te caro, l'uso pubblico della storia, sia diventato un uso pubblico della storia per legittimare il presente con i suoi governi e il suo ordine sociale. Non ti sembra uno slittamento verso l'uso politico della storia? Più che a un uso pubblico della storia, ci troviamo di fronte a un uso politico della storia legata a una contingenza spesso triviale. Un processo che va respinto, senza chiudere gli occhi sulle scomode verità che la storia ci propone.
|