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Cronache coloniali: i generali statunitensi scarseggiano in ascari

di lastampa.it - 15/11/2005

Fonte: lastampa.it

I GENERALI AMERICANI AMMETTONO DI NON ESSERE FINORA RIUSCITI AD ADDESTRARE LE FORZE IRACHENE

Era il 29 settembre scorso, quando gli americani scoprirono una brutta verità: al momento un solo battaglione iracheno è pienamente operativo. Il generale John Abizaid, capo del Central Command che dirige le attività militari Usa nell’intera regione del Golfo Persico, era stato chiamato a testimoniare in Congresso. Ebbe un battibecco col senatore repubblicano McCain, che andò letteralmente così: «Generale Abizaid, nel giugno del 2005 ci fu spedito un rapporto secondo cui solo il 3% dei battaglioni iracheni erano pienamente addestrati, equipaggiati e capaci di operare in maniera indipendente. Quanti sono ora?». Risposta di Abizaid: «Se stiamo parlando di battaglioni di primo livello, il numero è uno». Stupore di McCain: «Uno?». Costernazione del generale: «Esatto». Sconcerto del senatore: «Il rapporto precedente diceva tre. Adesso siamo retrocessi ad uno?». Durante quella stessa sessione, il senatore repubblicano Lindsey Graham si rivolse così al generale George Casey, comandante delle truppe sul terreno in Iraq: «L’ultima volta che ci trovammo qui, diceste che l’insurrezione rappresentava un decimo dell’1% della popolazione irachena. Rimasi stupito dalla precisione del numero e scettico sulla possibilità di stabilirlo con tanta accuratezza. Ancora credete che sia così?». Riposta di Casey: «Anche se adottiamo le nostre stime più pessimistiche, pensiamo che l’insurrezione sia meno di un decimo dell’1% della popolazione totale». Stizza del senatore: «E il mio commento è che non avete modo di saperlo, e nessuno può farlo. Non ho alcuna fiducia in quel numero».

Ecco le due questioni strategiche fondamentali da chiarire, prima di stabilire il calendario per il ritiro delle truppe, che l’amministrazione Bush vorrebbe almeno avviare entro le elezioni di medio termine del novembre 2006: primo, quanti soldati iracheni sono effettivamente pronti a difendere il loro Paese; secondo, quanto è forte la guerriglia. Il calcolo di Abizaid, che aveva gettato nello sconforto un veterano del Vietnam come McCain, è stato corretto il 6 ottobre scorso dal presidente Bush: secondo lui, in realtà, i battaglioni addestrati sono 80. Forse hanno ragione entrambi, perché il generale intendeva i reparti operativi al massimo livello e capaci di agire in autonomia, mentre il capo della Casa Bianca si riferiva a quelli che hanno ricevuto qualche addestramento e sono in grado di supportare le truppe americane. Resta il fatto che, da quando nel maggio del 2003 l’amministrazione provvisoria guidata dall’inviato americano Paul Bremer sciolse l’esercito iracheno, Baghdad non ha più recuperato la sua capacità di autodifesa. Circa 400.000 soldati persero il lavoro e molti finirono nei ranghi della guerriglia. Le reclute inquadrate nelle nuove forze armate non hanno superato la soglia di 200.000 uomini, e sulla loro preparazione ci sono opinioni divergenti. Nel maggio del 2005, invece, gli americani occupavano 106 basi in Iraq, dove al momento hanno schierato circa 160.000 soldati, che resteranno al loro posto almeno fino alle elezioni parlamentari di metà dicembre. L’obiettivo finale del Pentagono, secondo le rivelazioni fatte cinque mesi fa dal Washington Post, è ristrutturare la sua presenza di lungo termine in quattro «Contingency Operating Base», che dovrebbero nascere a Tallil nel sud del Paese, Qayyarah nel nord, al Abad ad ovest e Balad nel centro. Qui si concentreranno i soldati americani rimasti in Iraq, quando le forze locali diventeranno abbastanza forti da badare da sole alla sicurezza. Saranno lontani dagli occhi della popolazione, per non aizzare il risentimento, ma pronti ad intervenire quando diventasse necessario.

Al momento, secondo le statistiche del Pentagono, il 35% degli attacchi degli insorti avviene a Baghdad, il 20% nella provincia di al Anbar, il 16% in quella di Nineve e il 12% in quella di Salah ad Din. Queste, ovviamente, sono le zone in cui si concentrano i reparti americani, che da un lato cercano di fermare la guerriglia, ma dall’altro attirano le sue aggressioni. Il sud sciita e il nord curdo sono più sotto controllo, mentre il centro sunnita resta rovente. Fino a ieri, secondo il calcolo dell’Associated Press, 2.065 soldati Usa sono morti dall’inizio della guerra, e questa è una delle ragioni che spiegano come mai nell’ultimo sondaggio di Newsweek la popolarità di Bush sia crollata al 36%. Le sue possibilità di ripresa dipenderanno dall’addestramento delle nuove forze irachene, la riduzione degli attacchi, e un ritiro almeno parziale dei militari americani nei prossimi mesi.