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Dossier su Energia. I Biocarburanti

di Giampaolo Persoglio - 29/01/2007

 

 


 
 
 
Avevamo lasciato pochi numeri fa la Punto alimentata con olio di colza con il motore rotto e qualche dubbio sull’effettiva utilizzabilità del biodiesel, almeno in tempi brevi, e ci troviamo adesso tra le mani una novità se vogliamo ancora più interessante, quella del bioetanolo, che promette di essere una innovazione di veloce attuazione. Piccola lezione di chimica: l’etanolo, che altro non è che il comune alcool,  ha una struttura in tutto e per tutto simile ad un idrocarburo, con la differenza che contiene anche atomi di ossigeno che lo rendono un combustibile migliore della benzina. Un comune motore a benzina, se alimentato con etanolo, guadagna tra il 10% e il 15% di potenza e coppia, in virtù del maggior numero di ottani. Quello che non migliora è il consumo, perché l’alcool ha un minore potere calorifico e richiede miscele più “grasse”, cioè con una quantità maggiore di carburante rispetto all’aria per ottenere la combustione desiderata. Questo si traduce in un consumo maggiore del 25/30% e comporta anche delle difficoltà nella messa in moto alle basse temperature, ovviata o dalla presenza nell’automobile di un piccolo serbatoio di benzina utilizzato solo per lo start, o di un impianto elettrico per il riscaldamento del motore. Negli ultimi 2 anni tutte le case automobilistiche hanno prodotto prototipi e auto circolanti con etanolo, su tutte Saab, Ford e Fiat con modelli specifici per i mercati sudamericani, dove l’etanolo (o la “gasolina”, miscela di alcool e benzina) è utilizzato da anni e viene ricavato dalla coltivazione della canna da zucchero. Attualmente in Europa sia in Svezia che in Francia sono disponibili negli impianti di rifornimento colonnine che erogano l’E85 e l’E95, carburanti con l’85% o il 95% di alcool e la restante parte di benzina. Dal 2007 in Francia l’etanolo sarà distribuito in almeno 500 stazioni di servizio, decisione presa dal ministro dell’economia Breton conseguentemente ai risultati portati da una commissione presieduta dall’ex campione del mondo di formula 1 Alain Prost. Lo studio ha evidenziato che oggi la Francia esporta cereali e zucchero di barbabietola sufficienti per produrre il 70% del combustibile necessario al fabbisogno del proprio parco auto alimentato a benzina, inoltre i Francesi intervistati si sono detti disposti a pagare di più per il carburante pur di essere liberati dalla dipendenza dalle fonti fossili.
 
Produzione mondiale di benzina
Produzione mondiale di bioetanolo
1236
Miliardi di litri/anno
36,5
Miliardi di litri/anno
Produzione mondiale di diesel
Produzione mondiale di biodiesel
1087
Miliardi di litri/anno
3,5
Miliardi di litri/anno
 
 
L’alcool fa bene
 
Ma veniamo a quello che più ci interessa, ovvero il miglioramento del bilancio ecologico procurato dall’utilizzo dell’etanolo al posto della benzina. E’ evidente, da una prova effettuata dal mensile Quattroruote con una Ford Focus 1.8 alimentata con E85,  come tre delle principali sostanze inquinanti presenti allo scarico vengano drasticamente abbattute, in special modo il monossido di carbonio (CO) risultante è solo il 14% rispetto ai valori imposti dalla normativa Euro 5, che entrerà in vigore presumibilmente nel biennio 2009-10.
 
 
 
CO
(monossido di carbonio)
HC
(idrocarburi incombusti)
NOx
(ossidi di azoto)
Limite EURO 5
1,000
0,075
0,060
Ford Focus 1.8 con E85
0,141
0,041
0,021
 
Dalla prova emergono però anche altri dati: il consumo dell’auto aumenta circa del 22% e le prestazioni diminuiscono del 3% per l’accelerazione e del 6% per la ripresa ma solo perché il motore è aspirato, in presenza di un motore turbocompresso, capace di sfruttare a pieno i vantaggi dell’aumento di ottani, le prestazioni aumenterebbero, come già accennato in precedenza, di un valore compreso tra il 10 e il 15%.
La nuova tendenza della case automobilistiche, infatti, è quella di produrre nei prossimi anni motori con cilindrate contenute dotati di turbine, da una parte per ridurre gli attriti (pistoni più piccoli hanno bisogno di meno lubrificante), dall’altro per controllare le emissioni (le turbine “riciclano” e “purificano” in parte i gas di scarico) e, in ultima analisi, per poter sfruttare i vantaggi dell’etanolo.
I motori attuali potrebbero tranquillamente funzionare ad alcool aggiungendo poche modifiche in fase di progettazione per ovviare allo scarso potere lubrificante dell’alcool e al problema delle partenze con basse temperature, modificando le sedi valvole, la centralina (tempi di anticipo e gestione degli scoppi) e alcuni materiali nell’impianto di alimentazione.
Si parla di modifiche che comporterebbero un aggravio di costi contenuto in circa € 500,00, costo che verrebbe via via assorbito nel momento in cui la tecnologia si diffondesse e diventasse normale standard produttivo.
 
 
I costi
 
Come abbiamo visto per poter pareggiare il costo della benzina il bioetanolo dovrebbe costare circa il 25% in meno, valore che potrebbe essere tranquillamente decurtato dalle accise statali sotto forma di incentivo ecologico. Dal punto di vista economico per lo Stato non sarebbe comunque un investimento a fondo perduto, in quanto, se sviluppasse la filiera produzione-distribuzione di biocarburanti, vi sarebbero nuovi settori economici in crescita e di conseguenza nuovi redditi da tassare. Ma il vero vantaggio sarebbe, è proprio il caso di dire, sotto il naso di tutti, in termini di aria migliore da respirare. Per non parlare della possibilità di uscire dalla dipendenza dalle fonti fossili e dalle spire del relativo mercato, legato a vicende geopolitiche sempre più critiche e complesse.
Si aprirebbero a questo punti nuovi scenari di approvvigionamento e produzione: negli Stati Uniti, oggi particolarmente interessati alla produzione di bioetanolo, non vi è sufficiente terreno per le coltivazioni necessarie alla sostituzione della benzina e lo stesso vale per l’Europa e in special modo per l’Italia. Con un parco auto di circa 35 milioni di veicoli, anche convertendo tutti i terreni agricoli alla produzione di biocarburanti (13 milioni di ettari), nel nostro Paese potremmo soddisfare solo un terzo della domanda di carburante per autotrazione. Fortunatamente però i biocombustibili possono essere ricavati anche da altri materiali organici, come prodotti di scarto dell’industria agroalimentare, chimica, biologica, cosmetica, medica. Esistono anche progetti per produrre biocombustibili da alghe, in modo da trasformare i bacini idrici in “campi energetici”.
 
 
 
 
 
 
 
Ma a questo punto una riflessione è doverosa e ci porta giocoforza a tornare prepotentemente sul principio d base: sobrietà e diminuzione dei consumi. Per poter soddisfare bisogni sempre crescenti o continuiamo ad affidarci alle fonti fossili in attesa di un loro esaurimento, pagando sempre più a caro prezzo il costo ecologico che ne consegue, o dobbiamo convertire le colture, modificare i nostri paesaggi con i “mulini a vento” e addirittura trasformare spiagge in “campi energetici”. Ma ne vale davvero la pena? E’ proprio questo il futuro che vogliamo imporre a noi stessi e ai nostri figli? La risposta DEVE essere diversa e deve prendere in considerazione, primo fra tutti, il cambiamento delle nostre abitudini in modo da diminuire il più possibile la richiesta che facciamo al pianeta di energia e risorse.
 
 
In Italia
 
Il comune di La Spezia si è distinto negli ultimi mesi come il più attento ai vantaggi dell’etanolo. A gennaio verranno consegnati dalla Scania 12 autobus che potranno essere alimentati a E95, verranno installati 2 distributori di etanolo ed è in previsione un piano di incentivi fiscali per la diffusione di auto ad etanolo.
Tutto questo all’interno del progetto europeo chiamato BEST (BioEtanolo per un Trasporto Sostenibile), in cui La Spezia ha giocato il ruolo di Comune pilota per l’Italia. Alla presentazione svoltasi lo scorso luglio, Massimo Marsoni, rappresentante dell’Associazione Italiana giovani consumatori, ha detto che già oggi, scegliendo le opportune varietà di mais e i processi produttivi del bioetanolo, il bilancio energetico chiuderebbe in attivo: per produrre un litro e mezzo di alcool se ne consuma un litro, con una efficienza pari al 50%, davvero non male. E la situazione migliorerà ulteriormente quando, invece di partire dal grano o dal mais, saranno disponibili processi più efficienti capaci di utilizzare l’intera pianta, sfruttando non solo i chicchi, ma anche la cellulosa. Proprio per questo motivo il bioetanolo viene considerato più promettente del biodiesel, che della pianta può utilizzare solo l’olio ricavato dai semi.
Da parte sua il ministro Bersani si dice attento alla questione e pronto, in collaborazione con il collega De Castro delle Politiche Agricole, a definire un programma-quadro per favorire da una parte la produzione di biocarburanti, dall’altra una facilitazione del processo di distribuzione, con relative politiche fiscali a vantaggio dei consumatori e delle società che si dovranno occupare delle modifiche agli impianti di rifornimento. Dopotutto ci sono regole europee da rispettare: entro il 2010 i biocombustibili dovranno soddisfare almeno il 5,75% del fabbisogno energetico nel settore trasporti di ogni Stato membro.
 
 
Il biometano
 
Da che mondo è mondo diamo per scontato che il metano debba essere di origine fossile, invece oggi sappiamo che è possibile produrne anche per via biologica, attraverso processi di digestione aerobica e anaerobica di sostanze organiche, o con processi termochimici a elevato rendimento, detti di massificazione. Il biometano ottenuto con questi processi ha caratteristiche energetiche eccellenti e un grado di purezza spesso migliore rispetto al gas di origine fossile. Può essere ottenuto dai rifiuti solidi urbani di origine organica (umido), da scarti di lavorazioni agroalimentari, dalle deiezioni degli animali negli allevamenti, dagli impianti di depurazione delle acque. Processi semplici, a volte riconducibili alla sola posa di un tendone di raccolta al di sopra della vasca di depurazione, che permettono di avere accesso a un eccellente combustibile.
Biocarburanti a confronto: pregi e difetti
 
PREGI
DIFETTI
BIODIESEL
·         Varietà e rinnovabilità delle risorse di partenza
·         Biodegradabilità
·         Assenza di zolfo, riduzione delle emissioni di CO2, CO, HC, particolato
·         Utilizzabile senza modifiche negli attuali motori diesel
·         Costi maggiori rispetto al gasolio petrolifero
·         Potere solvente e corrosivo
·         Emissioni di NOx da tenero sotto controllo
·         Altri usi industriali e alimentari delle risorse di partenza più redditizi
BIOETANOLO
·         Varietà e rinnovabilità delle risorse di partenza
·         Biodegradabilità
·         Maggiori potenze e maggiori coppie ottenibili a parità di cilindrata
·         Riduzione delle emissioni di CO2, CO e particolato
·         Utilizzabile senza modifiche negli attuali motori in miscela al 5% con benzina
·         Costi maggiori della benzina
·         Assenza di potere lubrificante
·         Difficoltà di partenza a freddo
·         Emissioni di idrocarburi incombusti e NOx da tenere sotto controllo
·         Altri usi industriali e alimentari delle risorse di partenza più redditizi
BIOMETANO
·         Varietà e rinnovabilità delle risorse di partenza
·         Possibilità di produzione locale
·         Minore necessità di gasdotti
·         Riduzione delle emissioni di CO2 e metano in atmosfera
·         Utilizzabile senza modifiche negli attuali motori e per la produzione di elettricità e calore
·         Costi maggiori del gas naturale fossile
·         Necessità di raccolta differenziata delle risorse organiche
·         Necessità di realizzazione di impianti di produzione
·         Necessità di pressurizzazione per uso veicolare
·         Altri usi agricoli delle risorse di partenza più redditizi
 
 
Su strada
 
A questo punto abbiamo la consapevolezza che alimentare i nostri motori a con combustibili diversi da benzina e gasolio è possibile. A volte la possibilità è vicina e concreta, come con il metano, l’etanolo e il biodiesel, a volte è più problematica e lontana, come nel caso dell’idrogeno. Per quanto riguarda i primi tre casi quindi, la tecnologia automobilistica mette già a disposizione i veicoli per poter risparmiare ed inquinare di meno, la scelta a questo punto diventa politica, ovvero implica la volontà o meno di dotare la rete distributiva degli ammodernamenti per l’erogazione dei nuovi carburanti. Per ogni singolo distributore di benzina è stato calcolato che la modifica costi dai 30 ai 40 mila euro, un prezzo tutto sommato modesto se fosse a carico delle compagnie, molto più oneroso se se ne dovesse occupare in toto il gestore. Qui è fondamentale, quindi, che lo Stato intervenga con politiche di incentivi e di finanziamenti per poter imboccare decisamente la strada del cambiamento, a tutto vantaggio degli utenti e dell’ambiente.
Negli Usa la distribuzione del bioetanolo è in forte crescita, spinta anche dalle tre grandi Case automobilistiche (Ford, GM e Daimler-Chrysler) che hanno già messo in circolazione 4 milioni di vetture predisposte per l’alimentazione a E85; si calcola che nel 2008 almeno 12.000 delle 167.000 stazioni di servizio presenti sul territorio siano dotate di una cisterna per lo stoccaggio di etanolo che, miscelato alla benzina, possa erogare E85, E95 e, cosa ancora più interessante, E95 additivato in sostituzione del gasolio e idrogeno creato da un impianto di trasformazione chimica partendo dall’alcool.
 
Vediamo nella pratica quali sono le autovetture alimentate a carburanti alternativi presenti oggi sul mercato o di prossima introduzione:
 
 
Fiat Siena TetraFuel
 
Creata per il mercato Brasiliano la Fiat Siena è dotata di un serbatoio “normale” che può essere rifornito di benzina, alcool o una miscela dei due, in più nel bagagliaio è presente una bombola per il metano compresso. La centralina di gestione decide di volta in volta autonomamente il tipo di combustibile in base alle necessità di guida, al volante non si notano differenze sostanziali, se non una leggera diminuzione delle prestazioni con l’utilizzo del metano. La tecnologia è applicabile con un sovrapprezzo totale di circa 2000 euro (il costo è determinato per il 75% dall’impianto a metano) a tutti i modelli Fiat e l’introduzione di tale tecnologia sul mercato italiano è prevista per l’anno prossimo.
 
 
Volvo V50 FlexiFuel
 
Come già accennato la Svezia è il paese europeo (presto seguito dalla Francia) dove l’utilizzo dell’etanolo è più avanzato. La Volvo ha introdotto quest’anno sul mercato questa versione speciale della sua station wagon media con le modifiche necessarie a motore (1800 cc) e centralina per far funzionare il veicolo a E85; completano le modifiche un sistema di riscaldamento per il motore, per poter ovviare al problema delle partenze alle basse temperature. Il sovrapprezzo rispetto al modello normale è di circa € 500,00, l’introduzione al di fuori della Svezia verrà valutata in base alle richieste nei vari mercati.
 
 
Opel Zafira CNG
 
Questa Opel familiare sfrutta invece le potenzialità già ben conosciute del metano, con il vantaggio però di aver collocato le bombole speciali sotto il pianale, mantenendo così la stessa abitabilità del modello “normale”, cioè 5 + 2 posti a scomparsa, ricavati con il sistema Flex7 nella parte posteriore dell’abitacolo. Le prestazioni sono naturalmente plafonate ma l’economia di esercizio è notevole, permettendo a questa vettura di percorrere i 500 km di autonomia con un costo pari ad 1/3 rispetto al corrispondente modello a benzina. La Zafira CNG è già presente sul nostro mercato da ottobre di quest’anno.
 
 
Mercedes classe A  F-Cell
 
I modelli sperimentali Mercedes alimentati a idrogeno hanno percorso già circa 2 milioni di chilometri, rendendo evidenti ai progettisti i potenziali, i limiti e i difetti di questo tipo di alimentazione. Il modello in questione è una “classe A” con motore elettrico alimentato da un sistema ibrido composto da fuel cell a idrogeno e batterie Ni-Mh, che ha elargito prestazioni tutto sommato buone ma una autonomia ancora modesta, di circa 150 km, causata dalla durata ancora troppo breve delle fuel cell. E’ difatti in questo senso che si dirigerà la ricerca, verso apparati di fuel-cell che dovranno per forza avere una durata triplicata rispetto agli attuali. Si prevede che una tecnologia evoluta in questo senso non possa essere disponibile su larga scala prima del 2025. Nel frattempo consoliamoci con i dati sulle emissioni inquinanti: dallo scarico esce solo acqua.
 
 
E per chi non volesse aspettare l’introduzione dell’etanolo o non fosse convinto del metano? Vediamo come si sono comportati in termini di economia di esercizio e di emissioni inquinanti tre veicoli dotati delle migliori tecnologie ad oggi disponibili per massimizzare l’efficienza dei motori.
 
La prova è stata effettuata dal mensile Quattroruote su un percorso misto urbano-extra, simulando il classico tragitto casa-ufficio-casa di chi abita fuori e si reca al lavoro in città. Le protagoniste del test sono state la Peugeot 307 1.6 16v HDi SW turbodiesel con filtro antiparticolato, la Toyota Prius a propulsione ibrida (termica + elettrica) e la Volkswagen Golf Plus 1.6 16v FSI a iniezione diretta di benzina. Vediamo nello schema i risultati:
 
 
PEUGEOT 307 1.6 16v HDi FAP
Percorrenza media
13,7 km/l
Emissioni di CO2
194 gr/km
 
TOYOTA PRIUS
Percorrenza media
13,0 km/l
Emissioni di CO2
184 gr/km
 
VOLKSWAGEN GOLF PLUS 1.6 16v FSI
Percorrenza media
12,3 km/l
Emissioni di CO2
194 gr/km
 
 
Quella che doveva essere la vincitrice annunciata, con un gran margine sulle concorrenti, in realtà porta a casa una vittoria di misura. La Toyota Prius ci si aspettava che stracciasse le rivali con un consumo davvero basso ed emissioni esigue, invece è stata fortemente penalizzata dal tipo di percorso, con molteplici ostacoli causati dal traffico e quindi pieno di “stop and go” che non hanno giovato al funzionamento del motore elettrico. In più questa prova è stata effettuata in agosto e il funzionamento ininterrotto e a pieno regime del climatizzatore ha aggravato il bilancio finale. In altre parola, gran parte dei vantaggi della tecnologia ibrida sono sfumati.
 
 
Motori e ambiente
 
Ma a questo punto veniamo alla domanda-clou: quanto incidono gli scarichi delle automobili per il trasporto privato sul totale delle emissioni inquinanti presenti in città?
In Germania, l’associazione dei consumatori FAT ha pagato di tasca propria una ricerca medico-scientifica per calcolare a chi attribuire le quote di responsabilità sull’inquinamento dell’aria da PM10 nelle principali città tedesche.
Si evidenzia che il trasporto urbano incide per il 26%, mentre il 47% è causato da fonti esterne alla città, quali il traffico pesante su autostrade e tangenziali, industrie e agricoltura. Il restante 27% è responsabilità dei riscaldamenti domestici e delle attività produttive interne alla città.
 

10% automobili
  6% veicoli commerciali
11% riscaldamenti domestici
  6% impianti di produzione urbani
  6% abrasione e polveri disperse
  4% altro
16% industria
  9% traffico stradale    (autostrade e tangenziali)
11% centrali elettriche
  5% agricoltura
  6% altro

 
 

6%    veicoli commerciali
5,5% automobili
3%    aerei
2%    altri mezzi di trasporto
1,5% navi

 
 
 
                                                              
 
Anche il dato inerente la produzione di CO2 nel mondo vede il settore dei trasporti incidere per una parte minoritaria sul totale, rispetto alla produzione di energia e all’industria.
 
Certo, viene in mente un paradosso: se pensiamo che le automobili sono costruite dalle industrie e che quindi gran parte dell’energia elettrica che produciamo serve a far funzionare queste industrie, ci accorgiamo che la costruzione di nuovi modelli di vetture “meno inquinanti” lo paghiamo sulla bilancia ecologica con la produzione delle stesse. Quindi acquistando il nuovo modello “euro 5” ci sentiamo anche con la coscienza a posto, pensando di contribuire alla diminuzione dell’inquinamento, non rendendoci conto che diventiamo responsabili dell’esatto contrario.
 
 
L’aria che si respira in città – il monitoraggio dei Comuni
 
Milano: lieve miglioramento
La qualità dell’aria è in miglioramento: anche se i superamenti dei livelli di guardia dei PM10 sono frequenti, lo smog è in calo. Rispetto al 1997 si è registrato un – 7% del articolato, - 43% del benzene e – 48% dell’ossido di carbonio. In città non possono circolare i veicoli non catalizzati in alcune fasce orarie. La Regione, inoltre, ha stabilito tre domeniche di blocco preventivo dal quale sono escluse le Euro 4, i mezzi elettrici, ibridi e a gas. Le caldaie a carbone sono vietate ma purtroppo ne esistono ancora (nel 2002 erano 82, ciascuna di esse inquina come 3500 auto Euro 3).
 
Torino: stabile
La posizione della città, chiusa tra le montagne, non aiuta, ma negli ultimi anni anche a Torino sono calati i livelli di benzene, biossido di zolfo e piombo, ossidi di carbonio. Stabili rimangono invece il biossido di azoto, l’ozono e le polveri sottili. Secondo l’ARPA il 56% di queste è dovuto al traffico. In città ci sono ancora 30.000 veicoli diesel Euro 0. Il Comune ha stabilito alcune domeniche di blocco della circolazione, dal quale sono esentate le auto a gas e le Euro 4. Migliorie ci sono state anche per i mezzi pubblici: su 1.000 bus, 800 sono “puliti”.
 
Bologna: stabile
I valori di PM10 sono in lieve calo, ma una ricerca dell’Università di Bologna mette in luce una situazione non salubre: in una passeggiata di 2 ore in centro, si inalano 170 microgrammi di PM10 e 85 dei più pericolosi PM2,5. Fino alla fine dell’anno sono state previste limitazioni al traffico: ogni giovedì blocco totale per auto e moto, tranne le Euro 4, motocicli Euro 2 e mezzi elettrici, ibridi e a metano. Tutti i giorni, inoltre, non possono circolare le non-cat e i diesel Euro 1 dalle 8:30 alle 18:30. Il Comune punta sulla conversione a gas di auto e mezzi pubblici: 400 sono stati dotati di filtri anti-particolato.
 
Roma: miglioramento
L’aria è migliorata: sono scesi i valori di benzene, monossido d carbonio e ozono. Le polveri sottili restano un problema: sono in calo in alcune aree, ma sono cresciute in altre: in città le auto non catalizzate non possono circolare. Per l’emergenza smog sono state fissate tre domeniche di blocco della circolazione (esentate Euro 4 e gas) e le targhe alterne il giovedì, almeno per la prima metà di quest’anno. Lotta anche alle due ruote che inquinano: dal 2004 è obbligatorio il controllo dei gas d scarico e dal 2007 non potranno più circolare le Euro 0. Entro la fine di quest’anno il 64% dei mezzi pubblici sarà stato sostituito o aggiornato per inquinare meno, il problema è che rimane ancora un 36% altamente inquinante.
 
Napoli: lieve miglioramento
Dal 2003 i superamenti dei valori di PM10 si erano ridotti di oltre tre volte, ma l’inizio del 2006 ha visto una nuova crescita causata dal freddo intenso ed inusuale che ha fatto aumentare i consumi in termini di combustibile per riscaldamento. E sono scattati provvedimenti di blocchi totali e targhe alterne che si sono protratti fino a primavera inoltrata, fino a quando la situazione si è normalizzata. Nel frattempo sono state messe definitivamente al bando le caldaie a carbone ma il Comune non ha personale sufficiente per eseguire i controlli.
 
 
Parola di Gordon
 
Gordon Murray è un simpatico signore inglese con folti baffi brizzolati che per circa un decennio si è occupato di progettare le McLaren di Formula 1 che hanno permesso ad Ayrton Senna di diventare per tre volte campione del mondo. Questo signore, forse per la mania della prestazione, forse per la convinzione che leggerezza è sinonimo di efficienza, scrive da mesi sui più autorevoli mensili di auto inglesi contro la mania dilagante dei Suv e delle auto oversize. Recentemente, dopo la visita all’ultimo salone di Ginevra, ha elargito critiche a piene mani a tutte le nuove Suv introdotte sul mercato, dando la poco ambita palma dell’”auto più inutile” alla mastodontica Audi Q7. Le sue convinzioni sono quelle che tutti conosciamo ma che a volte non vogliamo ammettere: queste auto NON sono più sicure, sono solo molto pesanti e consumano ed inquinano di più, e non risolvono né i personali problemi di trasporto quotidiano per i proprietari né i problemi di intasamento delle nostre strade, anzi….. In più, dato non trascurabile, la stessa fabbricazione di questi autoveicoli implica un maggiore consumo di risorse energetiche. Insomma, l’equazione è fin troppo banale: maggiore peso = maggiore consumo = maggiore inquinamento = MINORE EFFICIENZA. Ci voleva un ingegnere-genio per farcelo capire….
Ma non è finita qui, per dare un contributo fattivo alla questione delle tasse che questi mezzi dovrebbero pagare come scotto alla loro intrinseca inefficienza, propone che il calcolo venga fatto sulla base dei seguenti parametri: cilindrata (in litri) del motore, lunghezza del veicolo, peso del veicolo, emissioni di CO2, più un moltiplicatore di 1,2 nel caso in cui il veicolo sia 4x4, che in soldoni vuol dire che consuma di più.
Non sono soltanto i 4x4 a meritare la condanna; è tutta le tendenza generale verso veicoli sempre più grandi e pesanti in tutte le categorie. Governanti e legislatori dovrebbero capire l’impatto ambientale che ha il problema del peso, anche rispetto ad altre iniziative più complesse come quella dei veicoli ibridi…. Ma in fondo la colpa è la nostra, di noi che compriamo le auto. Se solo fossimo meno egoisti rispetto al futuro del nostro pianeta e non fossimo così decisi a imitare il jet set anche quando facciamo la spesa, le case costruttrici non venderebbero queste auto.”
Ipse dixit.