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Gas naturale? Una scelta energetica poco risolutiva.

di Giancarlo Terzano - 29/01/2007

 
 
 
L’avvicinarsi dell’esaurimento del petrolio ed i suoi costi crescenti spingono ad una progressiva sostituzione dell’oro nero con altre fonti, prime fra tutti carbone e gas naturale.
L’Italia, in particolare, sembra puntare sul gas, che oggi costituisce la seconda fonte energetica nazionale, impiegata soprattutto nel settore civile ed in quello della produzione di energia elettrica, e che presto diventerà la fonte principale (il sorpasso è previsto per il 2015-2020). La tabella 1, dove è riportato uno scenario energetico fino al 2030, mostra chiaramente questa tendenza, fondata sulle attuali politiche energetiche.
 
Tabella 1 - Bilancio di sintesi dell'energia in Italia nello scenario tendenziale (2010-2030, Mtep)
 
 
2000
2010
2020
2030
rinnovabili
12,9
7%
17,4
8%
19,1
8%
19,3
8%
carbone
12,9
7%
15,5
7%
17,5
8%
20,4
9%
gas
58,4
31%
75,3
36%
92,6
41%
100,7
43%
petrolio
91,5
49%
85,7
41%
83
37%
82,1
35%
Importazioni energia elettrica
9,8
5%
15,3
7%
14,2
6%
12,7
5%
TOTALE
185,5
100%
209,2
100%
226,4
100%
235,2
100%
Fonte: Gracceva F. e Cataldi M., Scenari Energetici Italiani. Valutazioni di misure di politica energetica, ENEA 2004
 
Una scelta lungimirante, quella della transizione petrolio – gas naturale? Riteniamo di no. Premesso che non si tratta di una sostituzione netta, ma piuttosto di un affiancamento (le quantità di petrolio consumato registrerebbero infatti solo un minimo calo), non vediamo nel maggior ricorso al gas naturale l’auspicato miglioramento, né sul piano ambientale né su quello strategico-economico.
Intanto, partendo da quest’ultimo aspetto, permane la nostra dipendenza dall’estero. E’ dai primi anni ‘90 che la nostra produzione nazionale di gas (localizzata soprattutto nel bacino adriatico) è il calo, e la domanda viene soddisfatta per un buon 85-90% da importazioni, soprattutto da Algeria e Russia. Gli scenari futuri accentuano tale dipendenza (la produzione nazionale si dimezza, mentre il fabbisogno globale aumenta) per cui resteremo altamente dipendenti da paesi esteri.
Si rimane poi nell’orizzonte delle fonti fossili, quindi in un quadro di non rinnovabilità della risorsa. Le previsioni dell’ASPO (Association for the Study of the Peak Oil) pongono intorno al 2030 il picco nella produzione mondiale di gas naturale, circa 20 anni dopo il picco del petrolio, che l’ASPO prevede proprio nel 2007 (Lepic, Le riserve di gas naturale, su L’Ecologist Italiano n. 5, 2006). Si tratta tuttavia di stime su riserve teoriche, che potrebbero rivelarsi anche inferiori. E’ evidente, quindi, che il ricorso al gas naturale costituisce una soluzione di breve-medio termine, e che comunque non esclude i problemi di accesso a fonti esauribili. Compreso il continuo rialzo del prezzo, per cui si prevede una crescita, a moneta costante, dell’1% medio annuo fino al 2020 e del 2% dal 2020 al 2030 (Gracceva – Contaldi, Scenari Energetici Italiani, ENEA 2004).
Ma anche sul piano ambientale le prospettive sono poco incoraggianti. Intanto, va ricordato che nonostante lo slogan pubblicitario, il metano non è “energia pulita”. Si tratta comunque di una fonte fossile, che produce energia tramite combustione e quindi sprigiona CO2, quel biossido di carbonio che costituisce il principale responsabile dell’effetto serra. Certo, a parità di energia prodotta, sprigiona meno emissioni delle altre fonti fossili (petrolio e soprattutto carbone), ma anch’esso incide, in misura rilevante, sull’effetto serra, a differenza delle vere fonti pulite.
Per considerare il suo vero impatto ambientale, vanno considerate le emissioni prodotte durante tutto il ciclo di vita. Non solo, quindi, in fase di combustione ma anche, più a monte, nelle fasi di estrazione, trasporto, distribuzione. Dal confronto complessivo, il gas naturale rimane meno impattante, ma tutt’altro che trascurabile.
Tramite combustione in impianti convenzionali, si stimano in 510 gCO2/kWh le emissioni prodotte da gas naturale, contro le 700 del petrolio e le 900 del carbone; emissioni che si riducono a 380 (e a 780 per il carbone) utilizzando le migliori tecnologie disponibili. La netta convenienza ambientale del gas rispetto al carbone (il petrolio è fuori della stima, in quanto comunque considerato in via d’esaurimento) viene però a ridursi considerevolmente se si tiene conto delle perdite legate all’estrazione e alla distribuzione: uno studio della Stazione sperimentale per i combustibili (SSC) porta infatti fino a 670 gCO2/kWh le emissioni prodotte dal gas naturale, ipotizzando lo scenario peggiore di estrazione e trasporto da terra.
Nel conteggio, vanno considerate anche le perdite nelle fasi di trasporto e distribuzione, che rilasciano nell’aria metano (CH4), altro micidiale gas serra, anche più pericoloso del biossido di carbonio, ma fortunatamente meno presente nell’aria (ai fini del meccanismo di Kyoto, gli impegni di riduzione sono quantificati in termini di CO2 equivalenti: ai fini di tale equivalenza, una molecola di CH4 corrisponde a 21 molecole di CO2).
Il risultato finale è che, nonostante il passaggio ad una fonte relativamente meno inquinante, le emissioni di gas serra non diminuiranno, anzi. Il citato scenario pubblicato dall’ENEA vede infatti un costante aumento, nei prossimi decenni, dei consumi di energia e delle emissioni di CO2 (tab. 2). Aumento in parte causato dalla maggior quantità di carbone utilizzato, ma dovuto anche al quasi raddoppio delle quantità di gas naturale consumato. E ciò nonostante la migliore efficienza energetica, soprattutto nel campo della produzione di elettricità, grazie alle nuove centrali turbo-gas. Altro che Protocollo di Kyoto!