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Verso un concetto di lavoro per la realizzazione personale e l’utilità sociale. Dall’idea all’azione

di Fabio Alessandri - 30/01/2007

Fonte: NaturaOlistica.it

 

 

 

La mentalità che si è affermata in Occidente nell'ultimo secolo ci ha abituato a considerare il denaro come strumento indispensabile per l'affermazione personale. Nella maggior parte dei casi noi lavoriamo per guadagnare dei soldi, convinti di potere con essi realizzare ciò che vogliamo. Anche se il denaro - come dice il proverbio - non fa la felicità, continuiamo a inseguirlo con la nostra attività lavorativa, per potere dare spazio nel tempo libero ai nostri interessi e alle nostre inclinazioni.

Una simile visione sembra essere del tutto normale. La maggior parte delle persone considera la polarità "lavoro/tempo libero" una condizione umana ineluttabile. Osservando meglio le cose però si può vedere che questa dicotomia non è caratteristica della vita umana, ma solo della nostra epoca, e che è possibile superarla, a patto di sviluppare un diverso concetto di lavoro. Ma come?

La civiltà del consumo ha promosso il punto di vista secondo cui il valore della vita è dato dalla quantità di piacere che riusciamo a procurarci. Questo punto di vista fa del tempo libero la sola sfera nella quale possiamo essere davvero noi stessi, e ci spinge insensibilmente a considerare i concetti di dovere, responsabilità, impegno, sacrificio (che appartengono alla sfera lavorativa) come qualcosa di imposto da fuori, che non ci corrisponde e che perciò è indesiderabile. Da questa logica deriva il senso di lacerazione interiore che sperimenta l'uomo d'oggi. Il continuo richiamo alla contrapposizione tra dovere e piacere, ragione e sentimento ne è l'evidente manifestazione, caratteristica del nostro tempo. Sembra di dover ammettere che quando l'individuo esprime davvero se stesso (seguendo cioè quello che Freud chiamò "principio di piacere"), lo fa senza tenere conto di responsabilità, doveri, impegno e così via e che di conseguenza ha bisogno di essere costretto ad operare tenendo conto del benessere degli altri da un principio a lui estraneo (da Freud chiamato "principio di realtà"). In altri termini la concezione secondo cui la vita è tanto più bella quanto più è piena di cose piacevoli (il consumismo) porta ad affermare che l'uomo lasciato libero di sviluppare le proprie inclinazioni non combina niente di buono per la comunità. (Il che equivale a dire che se convinci un uomo del fatto che la vita è tanto più bella quanto più si corre in tondo, quando lo lascerai libero correrà in tondo senza andare da nessuna parte...).

Per uscire dal vicolo cieco in cui questa visione della vita ci pone bisogna trasformare il nostro modo di pensare il lavoro, cominciando col rimettere al centro dell'attenzione lo sviluppo del talento individuale e la sua sana espressione in ambito sociale. Solo se riconosciamo in noi e negli altri i talenti di cui siamo portatori possiamo immaginare il lavoro come il senso più vero del nostro essere nel mondo, anziché come un semplice mezzo per ottenere risorse economiche spendibili nel tempo libero. Il valore della vita, infatti, non è dato dalla quantità di piacere che si sperimenta, ma dalla possibilità di darsi da sé degli obiettivi che corrispondano alle nostre capacità e di perseguirli superando le difficoltà che impediscono la loro realizzazione.

Così come a livello individuale dobbiamo trasformare il nostro modo di intendere la vita e il lavoro, allo stesso modo dobbiamo imparare a pensare diversamente anche la vita sociale.

Tre grandi ideali esprimono profonde esigenze interiori che vivono in ciascuno di noi e di cui si parla molto da due secoli a questa parte: libertà, uguaglianza e fraternità. Questi tre principi appartengono a tre sfere diverse dell'organismo sociale. La libertà è necessaria per poter sviluppare il proprio talento. I talenti sviluppati in piena libertà diventano poi la ricchezza della comunità, quando vengono messi al servizio degli altri secondo il principio di fratellanza (o di solidarietà). Questo in pratica significa lavorare e produrre per i bisogni degli altri invece che per la propria retribuzione e il proprio profitto. Produrre, come si fa oggi, per un mercato cosiddetto "libero" (solo per citare una delle tante contraddizioni che caratterizzano il nostro tempo) significa applicare alla vita economica un principio - quello della libertà appunto - che non le appartiene, con conseguenze negative che stanno sotto gli occhi di tutti. Dunque libertà nella vita culturale per lo sviluppo dei talenti e fratellanza in quella economica per il soddisfacimento dei bisogni.

La terza sfera che appartiene alla vita dell'organismo sociale è quella nella quale deve farsi valere il principio di uguaglianza, vale a dire la sfera politico-giuridica. In essa dobbiamo godere di uguali diritti e il nostro parere deve valere quanto quello degli altri.

Imparando a poco a poco a distinguere queste tre sfere si può anche riconoscere come il denaro acquisti caratteristiche e significati diversi in ciascuna di esse. Nella sfera economica io scambio il denaro con le merci, in quella giuridica presto denaro e acquisisco il diritto di riceverlo in restituzione, in quella culturale regalo denaro per consentire lo sviluppo di talenti e di iniziative. Queste diverse forme di esistenza del denaro, per operare in modo sano, devono essere però accompagnate da pensieri adeguati.

Prima di tutto è di fondamentale importanza cominciare a considerare il denaro che spendiamo, prestiamo o regaliamo in una prospettiva sociale, cioè non solo in relazione al vantaggio personale che ne possiamo trarre, ma anche dal punto di vista del vantaggio di chi lo riceve. Dovremmo domandarci se le persone e le organizzazioni a cui diamo i nostri soldi hanno comportamenti trasparenti, se rispettano la dignità umana e l'ambiente, se contribuiscono all'affermazione di libertà, uguaglianza e fraternità negli ambiti culturale, politico ed economico e così via. Per riuscire a considerare in questo modo l'effetto del denaro che utilizziamo è necessario - come abbiamo detto - impegnarsi a trasformare la mentalità utilitarista che abbiamo assorbito dalla nostra cultura. Questo significa molto semplicemente sviluppare pensieri, sentimenti e azioni che trasformino la nostra prospettiva egoistica legata alla salvaguardia del nostro benessere personale in una prospettiva nella quale i nostri sforzi siano rivolti alla salvaguardia del benessere delle persone con le quali viviamo e lavoriamo. Ancora una volta, ciò vuol dire recuperare un rapporto più sano col mondo, con noi stessi e con gli altri e contribuire significativamente al progresso sociale di cui abbiamo urgente bisogno.

Di certo questa è un'impresa molto impegnativa, che richiede la mobilitazione di grandi forze interiori, oltre che di notevoli risorse economiche. Ma se avremo il coraggio di cercare la strada che porta in questa direzione, potremo anche a poco a poco sperimentare la ricomposizione del conflitto interiore tra ragione e sentimento, tra senso del dovere e ricerca del piacere. Quando avremo liberato i nostri talenti e quelli delle persone con cui lavoriamo, potremo finalmente scoprire il piacere di amare il nostro lavoro e di scegliere in piena libertà la responsabilità che riconosciamo come nostra, senza farci dire da altri qual è il nostro dovere.

 

Fabio Alessandri,

per NaturaOlistica.it

 

 

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