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Italia, provincia della televisione

di Carlo Sartori - 30/01/2007

Carlo Sartori: “Italia, provincia della televisione”



intervista di Ruggiero Capone - da Off

Carlo Sartori, presiede Rai Sat, da studioso del settore, a distanza di quasi vent'anni dalla sua opera “La Grande Sorella”, ora sta scrivendo “la Grande Sorella due, vendetta della Tv”. Ma Sartori è anche l'autore del noto testo che nel 1993 analizzava la qualità della televisione, prevedendo in largo anticipo i fenomeni (e forse le patologie) che oggi affiggono la qualità dei programmi.

Professor Sartori, aderirebbe all'iniziativa lanciata da Sandro Curzi, una conferenza in cui gli addetti ai lavori parlano di programmi televisivi ed i politici ascoltano soltanto?

E' una bella idea. Mi piace e speriamo che dia i suoi frutti. E confido che non sia solo un luogo di lamentele rispetto alla troppa invadenza della politica, ma l'occasione per pensare ad un nuovo rapporto con la politica. Che includa la politica non più come strumento di prevaricazione.

La qualità del prodotto televisivo, alla luce della sua esperienza, come s'è evoluta o involuta dal giorno in cui lei diede alle stampe il suo volume in materia?

Io ho scritto il mio libro nel 1993, dopo il programma “ Supertelevisione, caccia alla tivù di qualità nel mondo”. All'epoca c'era ancora una differenziazione nei modelli televisivi. C'era ancora la tv pubblica divisa da quella commerciale. La tivù pubblica coniugava il mercato con il servizio mentre la commerciale coniugava il mercato con il trash. Oggi è marmellata indistinta. E' difficile fare qualche differenziazione. Siamo alla tv marmellata.

C'è però lotta tra i modi di fare tivù?

Diciamo che c'è un salvataggio della tv generalista, che pur non morente, è comunque sulle difensive rispetto a quella tematica che ha un target di riferimento. Dallo scontro emerge che la tv non ha bisogno di grandi numeri. Pensiamo a History Channel o al National Geografic: fanno della preparazione dei programmi di qualità il loro punto di forza anche commerciale. Fanno anche un raffinato business di qualità. Ma noi in Italia tendiamo a non comprendere queste raffinatezze, perché siamo ancora televisivamente provinciali. Crediamo ancor oggi che la qualità si coniughi con l'insuccesso commerciale. Le grandi esperienze europee e mondiali sconfessano le nostre credenze televisive. L'Inghilterra coniuga qualità e successo. Ed anche se la nostra è un lingua minoritaria rispetto all'inglese, dovremmo comunque seguire gli esempi stranieri.

Un signore era entrato in coma nel 1970, s'era addormentato con il Mulino sul Po scritto da Bacchelli e trasformato in sceneggiato Rai da Bolchi, ed oggi si risveglia con i reality show: cosa risponde al poveretto che si dichiara scioccato?

Rispondo che ha parzialmente ragione a dichiararsi sgomento. Lui s'è addormentato quando la televisione era un elettrodomestico al pari della lavatrice. Gli sceneggiati hanno rappresentato la grande esperienza creativa italiana, erano pari alla letteratura ed alle altre forme artistiche. Ma oggi la televisione ha un linguaggio autonomo dalla letteratura. Ha elaborato un linguaggio suo, e che piaccia o non piaccia, non sarebbe democratico lasciare fuori il trash dalla tivù. Certo la qualità è scaduta molto, ma la società è in continuo divenire. Soprattutto non bisogna dimenticare che lo stesso processo degenerativo era stato attribuito ad altre forme d'arte, come il melodramma etichettato come scarto rispetto alla musica classica. E' toccato anche al romanzo popolare ottocentesco ritenuto da determinate scuole inferiore alla letteratura classica. E poi pensiamo al cinema, etichettato come fenomeno da baraccone, relegato ai “nichel odeon”, dove la gente s'eccitava dinnanzi al confuso scorrere delle immagini. Anche a metà anni '50 gli intellettuali snobbavano la tivù ritenendola, ingiustamente, un fenomeno da baraccone.

Ma la tivù degli anni '50 non era anche sperimentazione, pensiamo ai documentari di Nanni Loy e Soldati, oggi non le sembra che regni il vuoto nella sperimentazione?

Non si fa più sperimentazione. La tv didattica non c'è più da anni. Oggi sarebbe impossibile una televisione che mostra le mondine o i lavori antichi. Quella tivù Soldati la faceva in regime di monopolio, lontano dai pericoli dei critici. Gli stessi che oggi richiedono sempre più qualità, però appena un programma picchia sugli ascolti parlano fallimento senza entrare nei contenuti.

Viva o abbasso l' Auditel?

Il servizio pubblico non può disconoscere gli ascolti quale strumento di democrazia. Certamente l'indice d'ascolto non dovrebbe essere usato per andare a becero rimorchio del trash, come invece fanno i pubblicitari meno accorti. Eppure Rai Notte o programmi come quelli di Renzo Arbore dimostrano che esiste un folto pubblico di nicchia. I programmi di Arbore hanno un target di riferimento ben preciso, un target di secondo livello che dovrebbe essere scevro dall'analisi brutale. L'analisi brutale degli ascolti può andare bene solo per il programma di prima serata del sabato sera. Nel quotidiano ci vorrebbe un sistema più raffinato.

E come si potrebbe migliorare la cernita?

Il servizio pubblico dovrebbe recuperare anche in Italia i centri d'eccellenza produttiva. E penso alle scuole che hanno fatto il grande servizio. Penso all'eccellenza orizzontale: come la fiction , il varietà e tutti i generi d'eccellenza. Penso ad una Rai come scuola, ed in linea con la grande produzione multimediale.

Professore, la guerra ormai è galattica, siamo allo scontro tra piattaforme. L'Italia televisiva ha astronavi capaci?

Lo scontro è tra piattaforme, e noi siamo ancora fossilizzati sull'etere. Il digitale ormai è vicino ad imporsi per la qualità dei suoi servizi pubblici, e reclama la sua legittimità. I servizi pubblici ormai hanno, ed in abbondanza di mezzi trasmissivi, la loro ragion d'essere. Quindi il servizio pubblico è la filosofia di base ma anche la grande eredità della civiltà occidentale, e questo può fare la differenza. Perché la televisione non è un bene di consumo paragonabile ad un computer o ad un detersivo. Io sono contrario alla censura, ma la tivù entra direttamente nella case, e la gente ne rimane influenzata. Per la società la tivù è pari alla scuola, alla magistratura, alla sanità, e non può essere lasciata al solo mercato.


di Ruggiero Capone
da Off - quotidiano di spettacolo