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'Una paga da fame' di Barbara Ehrenreich

di Marco Managò - 15/11/2005

Fonte: rinascita.info



L’autrice di questo testo (pubblicato da Feltrinelli Editore - Milano in una prima edizione dell’aprile 2002), giornalista e critico sociale presso i più noti quotidiani statunitensi, scrittrice plurilaureata, affronta la questione dei lavoratori a basso costo nel modo più diretto: abbandonando la propria famiglia e la propria professione, alla ricerca di un alloggio in affitto e un lavoro sottopagato da cameriera o donna delle pulizie.
Il sottotitolo del volume è molto indicativo; quello che la Ehrenreich si chiede è come faccia il 30% della popolazione a tirare avanti con un salario inferiore agli 8,90 dollari, considerato, dagli esperti, come la soglia minima per assicurarsi un monolocale in affitto e una vita al limite del decoro; un’esistenza minacciata ancor più dalla recente riforma del welfare che ha tagliato l’assistenza pubblica, i sussidi agli affitti e il servizio sanitario gratuito. Espedienti vari, doppi lavori, rinunce forzate alle più semplici cure mediche, sembrano essere gli unici antidoti, in un paese che vanta ricchezze e che si propone come depositario di libertà e democrazia.
Nella sua particolare avventura, l’autrice mantiene con sé soltanto l’automobile e il portatile per annotare gli appunti, per il resto parte da zero alla ricerca di un lavoro.
Al termine di ogni esperienza lavorativa a basso salario avrebbe rivelato a parte delle sue colleghe la vera identità, rimanendo sorpresa per le risposte ricevute: le colleghe si sarebbero preoccupate più che altro di non trovarla il giorno successivo sul posto di lavoro; per quanto riguarda lo scrivere, sarebbero state inconsciamente condizionate dalla imperante e qualunquista persuasione che, ormai, chiunque possa esprimere per iscritto le proprie idee. Una cameriera rimane tale agli occhi del prossimo e forse, come ammette l’Ehrenreich, lei stessa aveva esagerato la portata del proprio inganno, dilatando il distacco e la diversità fra i due mondi. Non se la prenda l’autrice se, nell’ammirazione della sua competenza linguistica e della sua attenta analisi sociologica, l’impressione che può suscitare nel testo è quella di essersi considerata, in buona fede, una sorta di essere superiore, di appartenente a un mondo molto più distante di quello che effettivamente sia. A suo onore, in ogni caso, i ricorrenti ringraziamenti al padre minatore e ai parenti di umili origini, che sono riusciti ad alzare la testa e a garantirle la possibilità di studiare e di emergere nella scala sociale.
La prima destinazione di Barbara è Key West in Florida, dove affitta un monolocale in periferia a 500 dollari al mese (!) e inizia ad affrontare i primi colloqui di lavoro, pur con la preoccupazione di esser riconosciuta e smascherata (vano timore) per quello che realmente sia.
Alcuni colloqui di lavoro sono effettuati tramite computer, considerato evidentemente migliore dell’interpretazione umana, molte delle domande, inoltre, sono classici trabocchetti, puerili richieste se ci sia disponibilità a fare la spia, se ci sia volontà di effettuare piccoli furti, se i piccoli incidenti sul posto di lavoro siano da attribuire all’azienda, ecc.
La prima occupazione è quella di cameriera nel ristorante di un albergo dove, per la quantità di lavoro, risulta impossibile, anche nelle pause permesse, una normale conversazione tra colleghi. Risulta subito chiaro quanto, per i lavoratori a basso prezzo, il problema della casa sia quasi irrisolvibile; gli stessi colleghi di Barbara vivono in condizioni precarie, in furgoni, roulotte o in più persone in vani ristretti.
La paga oraria, di poco superiore ai 5 dollari, spinge la protagonista a cercare una seconda occupazione, in un ristorante ben più ampio del precedente, ma in grado di distinguersi notevolmente per l’incuria e la sporcizia dei locali non accessibili ai clienti e per l’affannosa ricerca di sigarette da parte del personale, come se fumare fosse l’unico privilegio, l’unica attenzione per sé dinanzi alla mole enorme di lavoro per gli altri.
Le spese di vitto e alloggio sono ammortizzate da pranzi di fortuna a prezzi molto contenuti e dal soggiorno in una roulotte dalla metratura ridottissima: le distanze dal benessere della vita precedente cominciano a farsi sentire. Sotterfugi, piccole astuzie, calcoli monetari di estrema precisione, assorbono ben presto le energie mentali e fisiche di chi è costretto a ricorrervi, unendovi quelle basse e meschine astuzie per le quali, il timore di perdere qualcosa, impedisce anche di difendere un collega caduto in disgrazia o di intavolare brevi conversazioni con gli avventori del locale sottraendo tempo prezioso. << ... il cliente è l’ostacolo maggiore alla rapida trasformazione delle informazioni in cibo e del cibo in denaro: il cliente, insomma, è il nemico. E la cosa più triste è che io stessa sto incominciando a considerarlo tale. >> spiega l’autrice.
Le ricerche di impiego producono risultati concreti tanto è vero che, in pochi giorni, la Ehrenreich è in grado di sostituire il lavoro al primo ristorante con un impiego come donna delle pulizie.
Le lamentele delle colleghe più anziane, limitate da tempi più lunghi nelle operazioni di pulizia, dinanzi alle giovani e leste straniere, sono piuttosto imbarazzanti; non per il datore di lavoro e per il cronometro, per le sue squallide valutazioni e i suoi umilianti rilievi cronometrici, concorrenziali verso il basso nella stima del costo della manodopera; un malumore che serpeggia anche a causa della frustante condizione di chi, lavorando faticosamente, non raccolga ammirazione o consenso bensì il silenzio assoluto, interrotto esclusivamente da occasionali presunti furti nelle case dei clienti.
Arduo per la Ehrenreich immaginare gratificazioni tipiche della condizione lavorativa nella sua vita “normale”, ora è un semplice contenitore di manodopera a basso costo, notevolmente mobile nell’interscambio lavorativo degli squali padronali. I diseredati in questione hanno alle spalle situazioni difficili, famiglie allargate, mutua assistenza economica per contrastare il caro alloggi e disponibilità immediata a preparare le valigie per nuovi lavori o perché costrette a lasciare monolocali troppo onerosi.
L’autrice affronta, così, un altro viaggio e si trasferisce nel Maine come addetta alle pulizie e come assistente dietetica (articolazione appellativa per “domestica tuttofare”) in una casa di cura per anziani malati.
La dura realtà sferza l’intento conoscitivo << Le persone colte della media borghesia non marciano verso il futuro allo sbaraglio, esposte agli imprevisti. A noi piace pianificare o almeno stilare una lista delle cose da fare; ci piace la sensazione che tutto sia stato previsto, che la vita sia, in un certo senso, pre-vissuta. >> spiega la scrittrice.
I test che affliggono i poveri, e i nuovi poveri generati dalla riforma del welfare, sono ossessivi all’eccesso nella loro ricerca di prove o di ammissione di uso di droghe e, pur stoltamente, avvertendo della possibilità di poter smascherare, sono agevolmente aggirabili da chiunque abbia un minimo di buon senso.
Qualche esempio di crudeltà padronale, livellata alla media nazionale dello sfruttatore tipo nel paese più ricco e civico del mondo? La paga di ben 6,65 dollari orari con il rischio di vederseli limitare a 6, per due settimane, in caso di assenza per un giorno. Non sfugge all’autrice il corrispettivo che il datore di lavoro percepisce, ben 25 dollari a fronte dei 6,65 che deve sostenere per le dipendenti. Una sproporzione vellutata da un’immagine dell’azienda sempre più votata al servizio del cliente, a costo anche di rinunciare ai comodi ritrovati del genio moderno, pur di adornarsi di lavoratrici instancabili e perennemente inginocchiate, a sudare, per meglio presentare l’immagine aziendale.
Il tugurio che aspetta la protagonista è appena sufficiente per dormire ma la sorpresa più grande è nello scoprire che in precedenza ci abbiano dormito in più persone. L’esatta antitesi delle case linde dei clienti dell’impresa di pulizie, tanto da chiedersi << Si rendono conto, i clienti, della sofferenza che costa il dare alle loro case quell’aspetto da motel? E se lo sapessero, ne rimarrebbero turbati, oppure si vanterebbero sadicamente di quello che i loro soldi possono comprare, dicendo per esempio ai loro ospiti: “Guardate i miei pavimenti: vengono lavati con le più pure lacrime umane”?
La povertà si avverte vivendola, osservando il comportamento delle colleghe sempre accorte a riporre con cura una sigaretta non terminata, per riaccenderla successivamente, o alle prese con forti mal di denti da sopportare in virtù di tempi migliori.
Il testo prosegue attraverso la descrizione delle dure condizioni e delle pesanti vessazioni cui è costretta una lavoratrice “a servizio”; disagi del resto abbastanza prevedibili, pur non effettuando verifiche o esperienze immedesimative sul campo; l’autrice rimane sorpresa del distacco della media e ricca borghesia dinanzi ai propri simili che, col lavoro sodo, permettono di avere case pulite e pasti ben preparati.
Provare certe sensazioni di persona ha comunque l’effetto di suscitare risentimento all’istante, poi, a giudicare dalle colleghe, inesorabilmente remissive, genera una sorta di sottomissione, di accettazione del proprio status sino a considerarlo necessario per perpetuare la dicotomia povero-ricco, nella quale il secondo termine mai potrebbe esistere se non ci fosse il primo.
La Ehrenreich prova a ricercare, nelle colleghe e nei clienti, nicchie di umanità e cultura ma, nel freddo marasma apatico del proprio impiego, a esempio, sebbene incuriosita dai libri che nota sulle mensole delle case dove si reca, sa che l’unico pensiero è contarli, in quanto, se superiori a dodici deve spolverarli in blocco, altrimenti deve pulirli uno per uno.
Nessuno si accorge del lavoro oscuro di chi, a rischio della propria salute e a basso prezzo, allevia la vita della gente normale, quella che va a scuola, in ufficio e il sabato si reca a vedere le vetrine dei negozi.
<<... i poveri sono scomparsi dalla nostra cultura, dal linguaggio politico e dall’elaborazione intellettuale come dai programmi televisivi. >> osserva l’autrice che, per fronteggiare meglio il triste bilancio di fine mese, decide di recarsi nel Minnesota e di cercare un’occupazione più redditizia. Ad accompagnarla, nella ricerca del posto di lavoro, la solita sequela dei test preliminari e del successivo esame delle urine. Il contenuto dei test è sempre lo stesso: mirato a escludere l’uso delle droghe, dei furti nell’impresa e all’incondizionata accettazione della superiorità indiscussa del datore di lavoro. Compilare i test nel modo che questi sia pienamente soddisfatto è la soluzione migliore, stemperare la falsità con risposte meno ruffiane significa essere sottoposti a ulteriore approfondimento: lo scarto è sottile, come spiega la Ehrenreich che, nel replicare all’affermazione “le regole vanno seguite sempre alla lettera”, ha osato dichiararsi semplicemente “d’accordo” anziché “nettamente” o “pienamente d’accordo”.
L’altro ostacolo significativo è rappresentato dall’esame delle urine, per il quale le tracce di eroina e cocaina sono aggirabili in un paio di giorni mentre quelle di marijuana hanno bisogno di più tempo. L’autrice stessa è in apprensione per una leggera imprudenza di qualche giorno prima, ma non è la sola: attraverso Internet si possono consultare siti che spiegano come aggirare i controlli attraverso l’acquisto di alcuni prodotti; le stesse erboriste, che espongono anche tali sostanze, sono avvezze ad ascoltarne le richieste delle lavoratrici domestiche, delle cameriere e delle commesse.
L’indottrinamento operato inizialmente dalla grande catena di grandi magazzini, dove si è rivolta la Ehrenreich, è davvero pervicace e, attraverso l’ausilio di audiovisivi e accolito personale, è perfettamente in grado di sedurre il potenziale lavoratore sull’inutilità dei sindacati e riguardo l’importanza, invece, della figura familiare dell’azienda. Discorso a parte merita il crimine più feroce: il furto del tempo, ossia lo sperpero di energie, durante l’orario di lavoro, in attività non propriamente pertinenti all’azienda; nulla è indicato, però, per il furto di tempo all’inverso, quello perpetrato dall’impresa e non riconosciuto al dipendente.
La vita scorre duramente in camere di motel davvero minuscole e in condizioni fatiscenti, dove due persone che vi soggiornano insieme sono costrette a effettuare i turni per poter dormire; in queste condizioni di disagio non viene meno la solidarietà tra poveri e, per l’autrice, anche l’offerta di un semplice panino può mitigare l’asprezza della solita scatoletta di cibo. La stanza del motel è sprovvista anche di serratura e, paradossalmente, pur possedendo il niente, una donna povera si rende conto di quanto sia più pericoloso vivere rispetto alle donne ricche o mediamente agiate, confortate da porte blindate, cani da guardia, sistemi di allarme e mariti premurosi.
L’assunzione al grande magazzino avviene in modo rapido, subito dopo aver espletato in maniera positiva i test tossicologici e l’autrice apprende bene come l’idoneità da dimostrare, da parte dell’aspirante dipendente, collochi questo in una inevitabile condizione di inferiorità, per nulla supportata da una fase intermedia di contrattazione e dialogo con l’impresa.
E’ questa la chiave di forza di questo e degli altri grandi magazzini: soffocare il dipendente estirpandogli ogni velleità e riducendo, anche con meschini mezzucci (il televisore nello spogliatoio), le possibilità di conversazione tra dipendenti. Questi ultimi finiscono per non credere più in un mondo diverso al di fuori di quello della grande distribuzione, attorniati come sono dai grandi centri commerciali. << Dovunque ti giri, non esiste alternativa all’ordine delle megaimprese, le cui sedi lontane hanno eliminato ogni creatività e spirito di iniziativa locali. >>
<< ... è l‘unico mondo esistente o l’unico mondo rimasto qui, nel regno della vita globalizzata, totalitarizzata, cementificata, multinazionalizzata. >> scrive la Ehrenreich.
Se ci si sofferma a osservare le targhette dei capi in vendita, si nota la provenienza dai paesi orientali e dell’estremo oriente che non lascia intendere nulla di esotico bensì ha sentore di sfruttamento. Né più né meno dello status delle commesse del grande magazzino, condannate dal caro affitti (per qualche esperto legato necessariamente a un fattore di prosperità del paese), destinate a sorridere e a infondere fiducia nei clienti che non immaginano la condizione di povertà e di fame che si cela dietro quei sorrisi forzati, di là dai denti in cattive condizioni, incurabili per necessità economiche; i clienti non comprendono quanto per le dipendenti sia un lusso comprare quelle stesse camicie in saldo che espongono e mostrano.
Le clienti sembrano disinteressarsi di ciò che, con un occhio poco più attento, sembrerebbe già chiaro; per loro il grande magazzino risulta essere il luogo profano dove scaricare i bassi istinti e sfogare la voglia inespressa, in casa propria, di rovistare e curiosare rovinando l’ambiente originariamente immacolato.
Il grande magazzino beneficia, altresì, di un ricambio continuo della forza lavoro, che gli consente uno sfruttamento migliore anziché un esborso maggiore.
Le vessazioni continue, subite in proprio e dalle colleghe, spingono l’autrice ad attivarsi per proporre quello che manca nel grande magazzino: il sindacato. Per fare ciò approfitta delle pause e dei luoghi per fumare, potenziali centri di sedizione, per far crescere il seme della coscienza di sé e della propria condizione.
L’ultimo capitolo del volume è dedicato alle conclusioni e ai bilanci: positivi per ciò che riguarda l’impegno profuso e il lavoro effettivamente elargito, meno lusinghiero, invece, il rapporto deficitario con gli affitti onerosissimi e le retribuzioni modeste. Anche negli Usa il divario ricchi-poveri aumenta, nonostante il fiorire di nuove posizioni agiate e di “squali” beneficiati dalla Borsa e dalla finanza; anche negli Usa i ricchi proprietari comprano i terreni fuori dei centri abitati per edificarvi condomini destinati alla propria manovalanza.
Spiega la Ehrenreich << Nella propaganda a favore della riforma del welfare, si dava semplicemente per scontato che l’avere un lavoro rappresentasse il rimedio automatico alla povertà e che l’unico ostacolo al miglioramento economico fosse la riluttanza degli assistiti a darsi una mossa per trovarsene uno, ma in materia di sopravvivenza la mia pagella è molto meno encomiabile. >>
A ciò deve aggiungersi la ritirata del pubblico nell’edilizia popolare e nel sussidio per gli affitti.
I datori di lavoro sono in grado di spremere i propri dipendenti utilizzando un comodo e vorticoso ricambio occupazionale e mascherando in modo paternalistico la propria funzione sociale. Gli stipendi modesti che offrono sono a volte accompagnati da esborsi extra, mai da un corrispondente aumento salariale, per il semplice assioma che l’extra, a differenza del fisso, si possa sempre revocare.
L’impegno richiesto ai lavoratori a basso reddito è gravoso e comporta sacrifici enormi nonché un’oculata gestione delle energie, al fine di resistere svendendo quotidianamente il proprio tempo, la propria vita.
In queste condizioni, vincolati dal costo della benzina, dal tempo perso in quanto pendolari, dalla difficoltà nell’accompagnare i figli a scuola, i lavoratori sottopagati hanno molte remore nel cambiare posto di lavoro e nel dar preferenza a quello più remunerativo.
Il sentimento di oppressione e sfruttamento è abilmente contraffatto dal datore di lavoro che inventa una sorta di collaborazione a tutto tondo, coinvolgendo, nelle difficoltà imprenditoriali, il lavoratore sfruttato.
Esami della personalità ed esami tossicologici, effettuati dinanzi ai responsabili dell’azienda, snaturano ulteriormente la coscienza del lavoratore relegandolo a quanto di più impersonale possa esistere. Le capacità umane e professionali del lavoratore cedono la priorità a un bicchiere pieno di pipì.
Un’organizzazione sindacale ha stimato in 10.000 unità il numero dei licenziati per attività sindacali, anche se l’imprenditore si guarda bene dal citare la vera causa del licenziamento adducendo altre motivazioni del tutto infondate. Soffocare i timidi vagiti di ogni attività sindacale e organizzativa è l’arma subdola e infame che distrugge definitivamente il lavoratore.
L’imprenditore invita i consumatori a confrontare i propri prezzi pubblicizzandoli il più possibile, nulla dice sulle paghe che permette ai propri dipendenti, facendo venir meno la possibilità del confronto, della valutazione, poggiando altresì sull’umana omertà di nascondere i propri redditi pur confessando tutto della propria vita. Per questo il lavoratore sottopagato si differenzia dall’Homo economicus, il quale si muove per cercare condizioni lavorative migliori.
La dignità segna il passo se il datore di lavoro ha la possibilità di disporre dei diritti civili del lavoratore, di sottoporlo ai propri controlli, di poter verificare, in ogni momento, il contenuto di borse ed effetti personali. La sottile e latente venatura di disonestà, di dipendenza dalle droghe e di condizione di inferiorità che viene indotta nella mente del lavoratore, può facilmente tradursi in effettiva condizione e accettazione di disagio. Si spende molto per repressione, carceri e forze di polizia non per salari e servizi pubblici, si alimenta così un circolo pericoloso nel quale a beneficiarne solo soltanto gli autori della repressione.
Si legge testualmente << Quando entri in fabbrica o nelle cucine di un ristorante o in altri posti di lavoro del genere, devi depositare all’ingresso le tue libertà civili, ti lasci alle spalle l’America e tutti i valori che in teoria essa rappresenta e impari a cucirti la bocca... >>
<< Come facciamo a vantarci di essere la più grande democrazia del mondo quando milioni di nostri cittadini trascorrono metà delle loro ore di veglia in condizioni, detto senza mezzi termini, da regime dittatoriale? >>
I poveri, ignorati dal welfare e dall’assistenza pubblica, sono invisibili agli occhi dei ricchi. Attraverso i media i poveri sanno molto dei ricchi, non avviene invece il contrario: nessuno si interessa del diseredato. In questo ha rilevanza anche il fatto che occasioni di contatto tra le due condizioni diventano sempre più rare: diversi sono i luoghi di residenza, diverse le scuole dove i ragazzi studiano, diversi i luoghi di lavoro, i mezzi di trasporto utilizzati (il povero usa i mezzi pubblici e il borghese l’automobile) e così via.
La disinformazione gioca il suo rilevante ruolo sia involontariamente, ignorando i disastri della riforma del welfare, sia volontariamente offrendo ai propri utenti borghesi le notizie che vogliono leggere.
La vergognosa dipendenza lamentata dall’autrice è quella del borghese nei confronti del lavoro sottopagato dei poveri, la dipendenza da coloro che, spezzandosi la schiena, permettono di far studiare meglio i figli dei genitori agiati, di crescerli in luoghi puliti con tutte le attenzioni possibili trascurando i figli propri.
Una nota a margine. Si apprende come anche gli Usa evidentemente siano un po’ fascisti, come riportato a pagina 17 in cui si scrive << ... dato l’uso fascista della chimica in America... >>
Durante la lettura del volume mi sono rallegrato del fatto che lo stesso non nasconda la condanna per la stupidità delle domande dei testi di personalità, dal contenuto ambiguo e per di più vincolanti nella scelta del proprio dipendente. I lettori maschi non possono dimenticare l’altrettanta insulsaggine dei test di personalità (di origine americana) ai quali si è stati costretti a rispondere in occasione delle visite preliminari del servizio militare: domande assurde e puerili tra loro falsamente combinate, dalle quali si ha la pervicace presunzione di discernere il carattere e la personalità umana. Nessuno può obliare, di quei test, la celeberrima domanda “ti piacciono i fiori?” tramandata oralmente e ben aggirata dagli aspiranti (e dai forzati) militi italiani, considerata dagli esperti come la suprema chiave per decifrare l’omosessualità dell’intervistato (!). E la scelta tra pallina nera e bianca per decifrare il carattere grigio o solare dell’intervistato?
Incredibile ma vero, riflettiamo.
Ottimo libro questo della Eherenreich, l’analisi finale, inoltre, è arguta e riassume tutte le riflessioni snocciolate nel testo e provate personalmente. Una voce in più, autorevole, a mettere a nudo le contraddizioni di un paese osannato in tutto il mondo, soprattutto dall’altra parte dell’Oceano Atlantico.