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Georgia, parole di fuoco.

di Enrico Piovesana - 01/02/2007

Dal presidente Saakashvili, quasi una dichiarazione di guerra ai separatisti abkhazi e osseti
Giovedì scorso, 25 gennaio, il presidente georgiano Mikheil Saakashvili ha tenuto un focoso discorso in occasione del terzo anniversario del suo insediamento. Un discorso che proietta inquietanti ombre sul futuro di questo paese, diventato il fronte più caldo della “nuova guerra fredda” in corso in tra Usa e Russia. Un paese che dal 2004 significa per Mosca quello che Cuba è sempre stata per Washington: il nemico nel “cortile di casa”.
 
Mikheil Saakashvili "Una nuova Dodgori". “Quando tre anni fa sono diventato presidente – ha detto il giovane presidente nazionalista e filo-occidentale – la Georgia era un paese in ginocchio. Da allora ci siamo rialzati in piedi e abbiamo imparato a stare ben saldi sulle nostre gambe. Ora è impossibile farci cadere. Ora abbiamo riacquistato le forze e siamo pronti a metterci in cammino verso l’obiettivo finale: la riunificazione nazionale. Noi saremo la generazione che farà una nuova Dodgori (l’epica vittoria militare delle armate georgiane con cui nel XII secolo il paese riconquistò l’unità nazionale, ndr). Noi saremo una generazione che verrà ricordata nei secoli futuri. Una generazione che non si tira indietro davanti ai titanici e quasi impensabili ostacoli che la Georgia dovrà affrontare per prevalere”.
 
Checkpoint dei separatisti a TskhinvaliI nemici da combattere. Quali siano questi ostacoli, Saakashvili lo ha detto chiaro e tondo.
“L’Abkhazia, la più bella parte del nostro paese, è sempre nella nostra mente: l’80 percento delle case sono state distrutte e bruciate e la gente che ci dovrebbe vivere è stata scacciata da coloro che adesso governano la nostra Abkazia: personaggi che, in maniera oltraggiosa, dichiarano che non consentiranno mai a quella gente, che ha i suoi avi sepolti in Ablhazia, di ritornare. Noi non tollereremo mai questa situazione! Lo stesso vale per la nostra amata regione di Tskhinvali (l’Ossezia del Sud, ndr), la cui popolazione è tenuta in ostaggio da una banda di criminali”.
Un discorso che assomiglia molto a una dichiarazione di guerra contro i separatisti abkhazi e osseti, sostenuti dalla Russia – che tramite loro tenta di mantenere il controllo sulla sua “Cuba caucasica”. Un discorso che arriva in un periodo di preoccupante escalation della tensione, provocata dalla Georgia e rilanciata dai separatisti.
 
Truppe speciali georgiane addestrate dagli UsaIntanto si torna a sparare. Tre giorni dopo le parole del presidente georgiano, la mattina del 28 gennaio, si è tornato a sparare in Ossezia del Sud. Soldati georgiani provenienti dal villaggio di Nikozi hanno attaccato un posto di blocco delle milizie separatiste ossete, ferendo tre persone. Una è in fin di vita. La notte successiva c’è stato un violento scontro a fuoco, senza vittime, tra militari georgiani e miliziani osseti nel villaggio di Ergenti, sempre nei pressi di Tskhinvali: non è chiaro chi abbia sparato per primo, ma pare certo che quello georgiano fosse un commando di forze speciali addestrate dai consiglieri militari Usa presenti in Georgia.
Tensione alle stelle anche in Abkazia, in particolare nel distretto di Gali, dove il 5 gennaio un poliziotto georgiano è morto e un altro è rimasto ferito in un attacco delle milizie separatiste contro il villaggio di Ganmukhuri. Un’azione di rappresaglia seguita all’uccisione, il 25 e 26 dicembre scorsi, di tre separatisi abkhazi, tra i quali due noti comandanti.