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Da Brescia e Torino: rapporti e finalità di potere politico-finanziario

di Gianfranco La Grassa - 05/02/2007

 

 

Due “piccoli” fatti, a loro modo significativi, si sono svolti sabato a Brescia e Torino. Nella prima città, Fini ha affermato che è lecito sospettare un legame tra Prodi e Bazoli (massimo vertice dell’Intesa San Paolo). Sembra sciocco parlare di sospetti dato che persino in questo blog – che non ha i canali di informazione di Fini – si parla da un bel po’ di questo binomio. Per di più, proprio questa settimana, “Panorama” (che forse Fini conosce) ha pubblicato un ottimo servizio sui rapporti e finalità di potere (pressoché assoluto) del “malefico duo”. Solo che da questo luogo in cui sto scrivendo, poco pubblicizzato, noi insistiamo nell’affermare ciò che ci appare essere una verità assiomatica: l’asse è del tutto asimmetrico. Bazoli è l’uomo di potere effettivo (è il Sole); l’altro è il pianeta che vive di luce riflessa, è stato da me più volte definito il “maggiordomo” (politico) del primo. Non perché, in vena di piatto economicismo, io ritenga che sempre l’economia comanda la politica, ma perché è sicuro che tale comando ci sia in Italia nella pessima fase che attraversa attualmente il nostro paese. In ogni caso, la pericolosità del progetto – di cui l’uno è mandante e l’altro mandatario – è estrema, e ho già parlato di “emergenza”, non di sospetti come fa l’ambiguo Fini.

Egli poi, e ciò sollecita i miei più vivaci impulsi all’insulto, ha affermato che “politica e finanza debbono rimanere ai loro posti”; ognuna delle due deve rispettare i rispettivi ruoli. Suoi lontani, più drammatici ma molto più seri predecessori, non fingevano di essere così coglioni; e smantellarono senza pietà la Repubblica di Weimar, covo del malaffare economico-politico sotto il pieno predominio della finanza, il cui vertice si trovava negli USA (esattamente come oggi in Italia). Venire a raccontare che economia e politica debbono restare separate, e non intrecciarsi fra loro, è falso, stupido e non risponde nemmeno agli interessi di un efficiente “sistema-paese”; è necessaria una interazione diversa, non una separazione tra le due). L’unica spiegazione di questa asineria finiana mi sembra essere il tentativo, e la speranza, di poter convincere altri ambienti finanziari e/o produttivi ad opporsi ai progetti della “SanIntesa” – cui rischia di collegarsi l’Unicredit di Profumo se questi si convincesse che ormai Bazoli ha partita vinta – ritrovando un collegamento politico con il centrodestra, magari un giorno liberatosi di Berlusconi (o perfino dei suoi figli, cioè dell’intera azienda), che sono “fumo negli occhi” per l’establishment raccolto nella RCS (pur internamente conflittuale).

 

A Torino, Draghi ha avuto accenti leggermente critici nei confronti della politica economica governativa, soprattutto sul fronte delle tasse (troppo alte, come dice la destra); e ha anche accennato una critica al sistema bancario italiano, nel cui ambito il costo medio per la tenuta di un c/c o un deposito è di 90 euro all’anno contro i 14 (sempre in media) nel resto d’Europa (che mi sembra un po’ grandicella, per cui sarebbe bene avere qualche dato più disaggregato; ma non è questo l’essenziale). Il “Corriere”, ormai giornalaccio inverecondo di proprietà del nostro più miserabile gruppo di dominanti (non proprio unito al suo interno, lo ripeto), ha cercato di smussare tali critiche, del resto blande, con un editoriale (domenica) del “bazolian-prodiano” De Vico (almeno così viene ritenuto, non lo conosco e riferisco quello che si dice). Dopo molti arzigogoli, contortissimi e privi di qualsiasi contenuto informativo (come vuole un giornalismo ormai corrotto e inetto), quest’ultimo sintetizza il suo (“alto”) pensiero: “Le indicazioni che il governatore ha dato, le riforme che ha suggerito non sono un programma alternativo a Prodi. Anzi, si potrebbe azzardare [un vero azzardo!!, ndr] che sono il ‘vero’ programma di un centrosinistra moderno e ambizioso” [ambizioso come i progetti di “dittatura finanziaria” del suo “ispiratore”: Bazoli (“condito con Prodi”), ndr].

E’ inutile dire che i giornali dell’opposizione hanno invece interpretato le parole di Draghi come una aperta, e solo “diplomatica”, sconfessione della politica dell’attuale Governo. In realtà, partiamo sempre dal principio, altro assioma per il sottoscritto, che il vertice della Banca d’Italia è in mano ad un uomo della finanza americana. Non si faccia confusione per il fatto che la presente amministrazione presidenziale statunitense usa la forza militare nel tentativo di schiacciare i suoi avversari; non certo però quelli più forti come Cina, Russia, ecc. (lo si tenga ben presente). La finanza di quel paese, che è quello al momento esercitante il predominio centrale (pur se non esaustivo), può ben essere più “fine”, può suggerire una politica tesa a non annullare ogni posizione contrastante, ma ad assorbirla consentendole modesti “spazi vitali”. Di conseguenza, non è completamente escluso che l’arroganza dei vertici dell’Intesa – scontratisi con la Capitalia mirando a Mediobanca e alle Generali, poi con la Telecom attraverso il piano Rovati (Prodi) per impadronirsi della rete fissa di tale azienda, nel contempo con Autostrade di Benetton impedendole di fondersi con Abertis (ma solo perché si vuol controllare tutta l’operazione relativa alle autostrade, ecc.), e adesso dedita ad ulteriori mosse di avvicinamento alle Generali passando per l’acquisizione della Hopa di Gnutti (tramite la bazoliana Mittel), ecc. – abbia indotto gli “americani” a consigliare al “duo malefico” una certa “calma e gesso” onde non creare sconquassi pericolosi per gli equilibri in Italia, sistema-paese di nuovo essenziale per gli USA ai fini del controllo in Europa (e dei piani verso il vicino oriente, tenuto fra l’altro conto delle resistenze di importanti ambienti francesi all’entrata della Turchia nella UE).

In ogni caso, per concludere, voglio solo sottolineare che i due piccoli fatti qui “raccontati” danno il quadro di manovre oscure e torbide condotte, in mezzo ad inganni e ad avvertimenti “similmafiosi” (“politica e finanza restino ai loro posti”), sia da destra che da sinistra. Certo, per il momento, quest’ultima è di gran lunga la più pericolosa – in particolare per le manovre della finanza bazoliana con i suoi servitori politici dell’ala prodiana – ed è dunque la prima che sarebbe urgente spazzare via, se si desidera conservare minimi spazi “democratico-formali”. Sia però chiaro che nessuna alternativa esiste “dall’altra parte”; solo altri servitori di (forse) altri pezzi dei parassitari gruppi dominanti italiani, da me più volte chiamati GFeID (grande finanza e industria decotta). Stiamo “con le ‘recie’ (orecchie) alte”!