Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Ecco l’inferno che verrà. È colpa nostra

Ecco l’inferno che verrà. È colpa nostra

di Domenico Quirico - 05/02/2007

 
Il rapporto choc del congresso di meteorologi Temperature in aumento, siccità e inondazioni

Sono i primi ecorifugiati, gli abitanti di Loha Chara, terre alluvionali del Golfo del Bengala sommerse nel dicembre scorso. Gli isolani dell’arcipelago di Tuvalu nel Pacifico contano i giorni: anche loro sono vittime di un destino da nuova Atlantide, l’oceano sta per inghiottirli. Poi toccherà alle pianure alluvionali del Bangladesh che sfamano milioni di persone. Tra oggi e il 2010 saranno oltre venti milioni i rifugiati del clima, il nuovo incubo del secolo. Quanti sono quelli che oggi pagano guerre e spropositi politici. Tra cento anni se il riscaldamento del pianeta non si fermerà, con le siccità, le canicole infernali, il sollevarsi dei mari, l’esodo arriverà a duecento milioni. A rischio il delta dei fiumi e le terre costiere che sono le aree più popolate della terra. Ma non solo: l’Africa centrale muore giorno dopo giorno con il rinsecchirsi del lago Ciad, il deserto dei Gobi sommerge la Cina di sabbia al ritmo di diecimila chilometri quadrati l’anno, l’erosione uccide già il suolo coltivabile in Turchia, il sale avvelena le terre dell’Egitto, duecento comunità in Alaska sono sotto la minaccia dell’Oceano. Nessuna carità internazionale riuscirà mai a gestire un simile scompiglio. Si scateneranno allora apocalittiche lotte tra le vittime del clima e coloro che rifiuteranno di dividere la loro acqua e la loro terra ancor fertile. Per questo evo tetro bisognerà riscrivere i trattati internazionali, la stessa carta dell’Onu, perché lo status del rifugiato per effetto serra ancora non esiste.

Mai un rapporto scientifico è stato così implacabile nell’accusare la rivoluzione industriale di ecodelitto quanto il rapporto sul clima stilato dai climatologi dell’IPCC, reso noto ieri a Parigi. Riferirsi alle fatali curve secolari delle temperature non è più, da ieri, alibi praticabile. «Tutto porta a indicare nell’uomo la causa essenziale del riscaldamento del pianeta»; vale una sentenza la sintesi di Susan Salomon presidente del comitato scientifico dell’IPCC. Le cifre, pur spalmate di precauzioni, impressionano. Da oggi alla fine del secolo la terra vedrà aumentare la temperatura da 1’8 a 4 gradi rispetto al periodo 1980-1999. E' una previsione media nel quadro di sei scenari che vanno dai più ottimistico ai più catastrofici. Ma non si esclude, se i governi e le economie resteranno inerti, che l’aumento possa arrivare fino a 6,4 gradi, il doppio ai Poli. Dalla loro catastrofica liquefazione deriverà un ispessirsi di un metro degli oceani. Per la prima volta le conseguenze della apocalisse climatica non sono rinviate al limbo della fantascienza. Non saranno «le generazioni future» a pagare, ha seminato lo sgomento Jean Jouzel climatologo francese, «sono i bambini che oggi frequentano l’asilo e la prima elementare che stiamo condannando al disastro». Il rapporto dell’ICCP è l’ultima parola della comunità scientifica. Achim Steiner responsabile dell’Ambiente delle Nazioni Unite: «le prove sono là, indiscutibili. Ora l’unica strada è assumersi l’onere del costo ecologico dell’energia. Tutto questo deve diventare dibattito politico». Quanto tempo abbiamo? Jouzel ha provocatoriamente risposto: «tre ore!». Una scadenza incombe: entro la fine dell’anno si deve decidere che fare del protocollo di Kyoto contro l’effetto serra: i virtuosi, i promossi saranno pochi, i recalcitranti e perfino i disertori, come gli Stati Uniti che non lo hanno firmato, troppi.