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L'uomo contemporaneo nella società contemporanea. I limiti antropocentrici

di Mario Spinetti - 05/02/2007

 

“Libertà significa essere in grado di controllare tutti gli aspetti relativi alla propria vita-morte..... Libertà significa avere il potere; non il potere di controllare altre persone ma il potere di controllare le circostanze della propria vita” (Kaczynskj, 1997). La borghesia, uscita trionfante dalla rivoluzione dell’89, s’innalzò sulle rovine fumanti del feudalesimo per porre mano alla costruzione di una nuova società. Compito arduo e immane! Ma essa fu all’altezza del compito che la storia umana le assegnava e, appropriatasi delle conquiste scientifiche che spaziavano dal campo della matematica a quelli della fisica, della chimica e della biologia, sembrò dominare gli elementi per piegarli alla propria volontà. Fu una grande rivoluzione che non incise soltanto sulle cose, ma fu anche un sconvolgimento che lacerò e distrusse un tessuto sociale ancor prima che ne sorgesse un altro. Tutto fu posto a servizio di inesorabili leggi economiche che ignoravano l’uomo e la sua centralità (rispetto a se stesso, si intende), sì che l’umanesimo apparve come un’era felice non più ripetibile. Questo fu il prezzo che l’uomo sociale dovette pagare allo spietato avanzare della rivoluzione industriale. Poco diversa è la condizione umana nella società odierna. Poco diversa, e non meno travagliata da una dialettica storicistica che ripropone ogni giorno la dissacrazione delle mete appena conseguite. Tuttavia ogni cittadino ha acquisito la consapevolezza del proprio destino, ha analizzato le forze che esercitano spinte contrastanti nel tessuto sociale, ed è divenuto - entro certi limiti - protagonista della storia (almeno nelle forme apparenti). I nuovi mezzi di informazione e di comunicazione riescono ormai a raggiungere finanche la coscienza di un qualsiasi povero ‘Ntoni che, attraverso i multiformi aspetti della vita associata, è in grado di udire la propria voce e le proprie speranze (ma non le proprie certezze). La democrazia apparente, creatura degli “immortali” principi dell’89, è penetrata in ogni aspetto formale della società moderna che, tuttavia travagliata da contraddizioni interne e dalle logiche di potere, è alla perenne ricerca di nuovi traguardi e di nuovi perfezionamenti di conquiste. Gli odierni sistemi di produzione, frutto delle nuove tecnologie, hanno legato l’uomo alla falsa necessità di beni inutili e alla catena di montaggio, dalla quale si è generata un’alienazione diversa ma più drammatica di quella delle epoche passate (oggi quasi tutte le attività lavorative “inventate” dagli uomini possono essere assoggettate a vere e proprie “catene di montaggio”). Ma occorre ricordare che gli aspetti traumatici della “civiltà” umana contemporanea colpiscono anche, e direi soprattutto, gli equilibri ecologici della terra ponendo in serio pericolo le prospettive future della biosfera. E’ impossibile sottrarsi all’alienazione della disperazione sociale ed ecologica, perché la coscienza dell’uomo moderno è ormai intrisa di una fede apocalittica: la certezza che non può più sorgere una nuova stagione, in cui l’uomo riconnesso nella natura torni ad essere protagonista di una storia olistica sublime quanto affascinante. Capra citando la filosofia di vita buddhista scrive (1997): “A causa dell’ignoranza noi dividiamo il mondo delle percezioni in oggetti separati che consideriamo transitori e continuamente mutevoli. Cercando di rimanere aggrappati alle nostre categorie rigide invece di cogliere la fluidità della vita, siamo destinati a sperimentare una frustrazione dopo l’altra”.