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La parabola politica di Hezbollah (recensione)

di Michelangelo Cocco - 06/02/2007


Al «partito di Dio» due giornalisti, Walid Charara e Fédéric Dumont dedicano un libro, edito da DeriveApprodi, che ne ripercorre la storia e l'ideologia

Se c'è un movimento che, più degli altri, rappresenta oggi l'avanzata dei musulmani sciiti in Medio Oriente, questo è senz'altro l'Hezbollah, il Partito di Dio libanese. Dalla sua nascita, durante l'invasione israeliana del Paese dei cedri nel 1982, fino alla recente guerra d'estate contro le truppe dello Stato ebraico, i seguaci dello sceicco Hassan Nasrallah sono passati per le esperienze della guerra civile, della resistenza, del governo e infine dell'opposizione.

Hezbollah. Storia del partito di Dio e geopolitica del Medio Oriente, (Derive e approdi, pp. 156, euro 14) ne ripercorre la storia e l'ideologia politica. Per gli autori del libro, nato dall'incontro di due giornalisti, il libanese Walid Charara e Fédéric Dumont, corrispondente da Beirut per Radio France internazionale, il tratto distintivo del partito, a dispetto del nome, sta più nel suo nazionalismo che nella sua ideologia religiosa.

Charara e Domont vedono il Partito di Dio come un'esperienza unica e irripetibile all'interno di quella galassia di movimenti e formazioni politiche che comunemente chiamiamo islamisti, che cioè fanno della religione musulmana uno strumento di lotta politica. Alla sua cornice ideologica, scaturita dalla forza propulsiva della rivoluzione khomeinista in Iran, si somma la concreta esperienza della resistenza all'occupazione israeliana nel Libano del sud. È dalla sintesi di questi due elementi che è nato Hezbollah, «un movimento nazionale di ispirazione religiosa», come gli autori amano definirlo, molto diverso - secondo l'analisi di Charara e Domont - dalla vecchia Fratellanza musulmana, (sunnita) il più celebre dei partiti islamisti e ancora il più diffuso, con decine di «filiazioni» in gran parte del mondo musulmano.

Il conflitto con Israele «non compariva tra le priorità della Fratellanza, che privilegiava l'azione sociale, culturale ed educativa come strumento per islamizzare la società». Un movimento, quello fondato nel 1929 in Egitto da Hassan al Banna, che, al contrario del Partito di Dio, non ha mai mirato ad avvicinare altri settori importanti della società del proprio paese. Come ricordano gli autori, «il suo scontro con il regime di Nasser, l'ostilità verso il nazionalismo arabo e il suo viscerale anticomunismo lo avrebbero portato a una stabile comunanza di vedute con i regimi conservatori, prima fra tutte l'Arabia Saudita, e gli Stati Uniti». Hezbollah, invece, lo troviamo - dopo una breve parentesi - al governo, a realizzare un'unità con una parte dei cristiani e delle sinistre libanesi, perseguendo l'obiettivo comune di far cadere un esecutivo visto come rappresentante degli interessi occidentali nel Paese dei cedri. Per gli autori questo piccolo miracolo è stato possibile perché «assumendo il carattere intercomunitario del Libano, Hezbollah ammette l'impossibilità dell'edificazione di uno Stato islamico in quel paese, ristrutturando di conseguenza il proprio programma politico». Un esempio che sarebbe stato seguito dal palestinese Hamas, rivelando «la potenza della dinamica innescata dalla sintesi tra islamismo e nazionalismo, in particolare in quei paesi sottoposti a un'occupazione militare diretta». Quella potenza, tuttavia, è ancora interamente da valutare. In Palestina, dopo un anno di assedio economico e di isolamento internazionale, Hamas sembra mostrare segni di cedimento verso uno scontro inter-palestinese. Hezbollah da parte sua, non è ancora riuscito a tradurre in vittoria politica il consenso capitalizzato con la resistenza all'avanzata israeliana durante la guerra dei trentaquattro giorni nell'agosto scorso. Forse per Hezbollah, come per Hamas, è ancora presto per valutare la potenza di questa sintesi.