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Iraq: si scrive pretoriani si legge mercenari

di Giuseppe Zaccaria - 06/02/2007



L’Iraq dei pretoriani. Mercenari provenienti da tutto il mondo sbarcano a Baghdad
Un esercito fantasma fuori controllo e più potente della polizia
 
BAGHDAD - Quando la mole di Keen invade l'ascensore dell'albergo Rimal i clienti possono solo tentare un sorrisetto schiacciandosi contro la parete. Il gorilla avrà una quarantina d'anni, è pelato, molto alto, grosso e grasso come l'eroe del wrestling da cui ha preso il nomignolo. Però ha modi gentili, si scusa per l'ingombro e se domandi notizie del mitragliatore che impugna come un giocattolo spiega con smorfia soddisfatta: «Ha un caricatore da 250 pallottole che si può vuotare in quindici secondi».
Keen viene dal Sudafrica, provincia del Nataal, e sulla maglietta verde militare porta scritto Roos, nella hall lo aspettano altri contractors con giubbetti antiproiettile, caschi e armi imbracciate. Escono in gruppo come un reparto di incursori con l'aria di chi sta dicendo: eccoci Baghdad, anche oggi te la facciamo vedere noi.
In teoria di questi tempi il Rimal è uno dei posti più sicuri della capitale, da ogni lato lo circondano muri di cemento armato e containers imbottiti di sabbia, all'ingresso i controlli sono minuziosi. Tranne qualche giornalista e pochi funzionari civili, il luogo è destinato ai civil contractors, alle «forze di sicurezza», insomma ai mercenari.
Altri cinque o sei alberghi in città hanno subìto trasformazioni analoghe e fungono da caserme non ufficiali, come del tutto non ufficiali sono le attività di questo esercito privato. A forza di raccontare il mattatoio iracheno e di descrivere conati di democrazia sommersi da fiumi di sangue ci eravamo dimenticati dei soldati di ventura, che nel frattempo hanno raggiunto la consistenza di almeno 48-50 mila uomini e oggi rappresentano la seconda forza armata del Paese. Un esercito privato e segreto, ben addestrato e straordinariamente armato, fornito di jeep blindate e piccoli elicotteri blu che sorvolano Baghdad con gli uomini che si sporgono dai portelloni puntano mitragliatori verso il basso.
All'inizio i soldiers of venture erano cileni, serbi, australiani più gli onnipresenti gurkha nepalesi che avevano appena concluso il servizio militare per Sua Maestà Britannica. Adesso in questo esercito parallelo ci sono ancora molti nepalesi ma anche maroniti del Libano, sudafricani, filippini, ucraini, georgiani esperti di antiguerriglia, più qualche italiano, pare. Sono tanti, efficienti e soprattutto incontrollabili e non esiste autorità che possa esercitare controllo sulle loro azioni.
La cosa appare chiara fin dal momento in cui sbarchi all'aeroporto e la prima domanda che ti rivolge il doganiere è: «Badge o passaporto»?. Se sei un visitatore, diciamo così, normale, devi essere in possesso di visto e sarai sottoposto a ogni genere di controllo compreso un teorico esame del sangue prima di lasciare l'Iraq. Se possiedi un badge, tessera rilasciata dalla Blackwater o da una delle società affiliate (a volte con foto ma senza il nome del proprietario) puoi passare senza che ti si importuni. Ormai in Iraq l'armata mercenaria si muove come orda di lanzichenecchi, il regime ha accordato a questo esercito segreto impunità e spazi di manovra. «In certe situazioni, racconta il colonnello di polizia Basem El Bahadjli, le guardie private danno ordini ai nostri uomini».
El Bahadjli è funzionario dell'Interpol e dunque parla con tono distaccato, la sua è semplice analisi tecnica di come si può privatizzare una guerra. Se George Bush ha difficoltà nell'incrementare il numero dei soldati americani, Blackwater e affiliate sono ben felici di incrementare il numero dei contractors. Fra l'altro un soldato di ventura costa 135 mila dollari l'anno, meno di quanto fra armamento, assistenza e logistica costerebbe un combattente regolare.
«Nel 2004, racconta El Bahadjli, il governo provvisorio autorizzò in pochi mesi la nascita di 283 compagnie di sicurezza, oggi sono 303 ma in realtà le principali rimangono una trentina e tutte dipendono dalla capofila. Le autorizzazioni possono essere concesse solo dall'autorità all'interno della green zone, ovvero dalla Blackwater, e poi le singole compagnie possono affidare servizi ad altre».
Parliamo proprio di subappalti, del vecchio universale sistema mafioso. «Inizialmente - ricorda un altro funzionario iracheno - ai privati era stato affidato il compito di sorvegliare i pozzi petroliferi, poi l'impiego si allargò alle scorte, poi alla messa in sicurezza di palazzi o intere zone. Adesso intervengono anche in azione e nessuno può sindacarne l'operato».
Non solo, da tempo l'élite di questa armata mercenaria controlla le operazioni dal centro mentre truppe di seconda scelta si muovono sul terreno, almeno nelle attività quotidiane. Gli iracheni non potevano lasciarsi sfuggire il business: Mudar Shounkate, già portavoce della Iraqi National Conference di Ahmed Chelabi è oggi responsabile di un esercito privato, e lo stesso vale per Ghazi Akyaweh, ex speaker del parlamento di Allawi.
Dell'armata mercenaria sono entrati a fare parte anche 3000-3500 iracheni, quasi tutti sunniti dei vecchi reparti speciali di Saddam. Le forze che non hanno scelto la guerriglia vengono recuperate dall'iniziativa privata e anche i partiti si dividono in quota la «segnalazioni», ovvero i certificati di affidabilità degli aspiranti iracheni. Come tutti in questo Paese, anche i lanzichenecchi sunniti devono sottoporsi a taglieggiamento.
La paga di un mercenario bene addestrato può arrivare ai 1500-2000 dollari al giorno, quella di un mercenario iracheno non supera i 120 però l'organizzazione ne trattiene la massima parte e versa al miliziano solo 30 o 40 dollari più la promessa di cure mediche in caso di ferimento, ma nella devastazione attuale anche simili cifre possono diventare interessanti.
Si valuta che fino ad oggi almeno 7 mila iracheni, guerriglieri o no, siano stati uccisi da contractors ma il patto stretto dal governo con la Blackwater esclude i soldati di ventura da qualsiasi responsabilità verso la legge. Alcuni gruppi si sono dati nomi di fantasia che rendono l'idea: Barbarians, War Dogs, Terminators». I sudafricani dell'albergo Rimal fra loro si chiamano Pretorians.

(Da la Stampa del 2 febbraio 2007)