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I voti del Bodhisattva

di Robert Aitken - 07/02/2007

 


I Grandi Voti, noti come i Voti del Bodhisattva, sono nati probabilmente in Cina intorno al sesto secolo come derivazione di un precedente "gatha" (canto) sanscrito. Alla fine dell'VIII secolo li troviamo spiegati dal maestro zen cinese Hui-Neng. Oggi sono recitati alla fine delle funzioni religiose nella maggior parte dei centri Mahayana.

 

 

I Grandi Voti, noti come i Voti del Bodhisattva, sono nati probabilmente in Cina intorno al sesto secolo come derivazione di un precedente “gatha” (canto) sanscrito. Alla fine dell’VIII secolo li troviamo spiegati dal maestro zen cinese Hui-Neng. Oggi sono recitati alla fine delle funzioni religiose nella maggior parte dei centri Mahayana.

Composti di sette caratteri cinesi per verso, i Grandi Voti sono poeticamente espressi in rime, reiterazioni e analogie. Le traduzioni inglesi contemporanee dei Grandi Voti si rifanno massicciamente alla versione di D. T. Suzuki, pubblicata per la prima volta nel 1935. Egli usò il titolo “I quattro grandi voti”, abbreviazione di quello utilizzato da Hui Neng, “I quattro grandi voti larghi”, dove “larghi” significa “per una larga diffusione”. Nakagawa Soen Roshi (1908-83) coniò il titolo “I Grandi Voti per Tutti” nella sua traduzione del 1957, e due anni dopo, al Diamond Sangha – una comunità appena formatisi a Honolulu – usammo questo titolo nel nostro primo libro sui sutra. Oggi le nostre traduzioni si sono fatte molto più precise, e tale titolo è praticamente l’unica parte dei voti a non essere cambiata.

I Quattro Grandi Voti esprimono le aspirazioni nei confronti dei Tre Tesori del buddismo: redimere la “sangha”, smettere di svilire i Tre Tesori, comprendere chiaramente il dharma e conseguire la buddhità. In quanto tali, i Voti sono la versione Mahayana della “Ti-sarana-gamana”, la cerimonia con cui si prende rifugio nei Tre Tesori, presente in tutte le tradizioni buddiste.

Shu jo mu hen sei gan do
I molti esseri, senza limite, voto, portare attraverso.

Gli esseri viventi sono infiniti; faccio voto di salvarli.

“Shu” vuol dire i molti o tutti. “Jo” è letteralmente nascita o germogliare, ed è il termine per un essere o esistenza. Il termine composto “shujo”, i molti esseri, è una traduzione allargata del sanscrito “sattva”, che a sua volta vuol dire un essere o esistenza. “Shujo”, i molti esseri, include il regno vegetale, come sottolineano Soothill e Hodous nel loro dizionario buddista, ma io includerei ne i molti esseri tutto ciò che esiste.

In altri contesti si trova una parola composta pronunciata “ujo”, senziente, usata come traduzione di “sattva”. “Ujo” limita il significato di esseri al regno animale, o più probabilmente alla sola umanità. Ma nei Grandi Voti troviamo “shujo”, i molti esseri, non “ujo”. I nostri antenati asiatici intendevano sicuramente includere ogni cosa; usare esseri senzienti in tale contesto, come fanno alcuni centri occidentali, pone limiti antropocentrici al nostro spirito di bodhisattva.

“Do” è una traduzione del sanscrito “paramita”, che ha due possibili significati. Il primo è perfezione – lo stato e la pratica – mentre il secondo è attraversare. “Do” segue questa seconda interpretazione, ed è causativo: render(li) in grado di attraversare. Alcuni centri del dharma usano illuminarli, e – benché i cespugli e le erbe si stiano evolvendo verso l’«anuttara-samyak-sambodhi» – la parola illuminazione, riguardando gli esseri umani, sembra escludere ancora una volta tutto ciò che non è umano.

Gli studenti alle prime armi chiedono spesso come sia possibile fare sinceramente voto di salvare tutti gli esseri. Un simile voto ricorda l’arroganza missionaria. Hui-neng offre una risposta: “Li stai salvando nella tua mente”. Stai coltivando la “bodhichitta”, ovvero l’aspirazione alla saggezza e alla compassione, oltre che alla determinazione di mettere queste ultime in pratica al meglio delle tue possibilità.

Bon no mu jin sei gan dan
Dolore, angoscia, senza esaurimento, voto, concludere.
Odio, avidità e ignoranza sono inesauribili; faccio voto di abbandonarli.

La parola giapponese “bonno” traduce il sanscrito “klesha”, dolore, afflizione, angoscia, e questo termine è interpretato dai buddisti cinesi come “illusioni, prove o tentazioni delle passioni che disturbano e angosciano la mente”; più brevemente, è interpretato come “I Tre Veleni”. I Tre Veleni sono “l’odio, l’avidità e l’ignoranza”, e noi ci siamo basati su questa interpretazione, in quanto più precisa. Ostacoli sembra una traduzione generica, mentre termini come passioni o veleni ricordano il calvinismo più che il buddismo. Senza passioni sembreremmo dei morti che camminano, e senza desideri non cammineremmo neanche. “Dan” significa concludere, terminare, tagliare, e in alcune versioni occidentali è reso con sradicare. Un membro della comunità ha sostenuto che sradicare sembra un termine troppo “macho”, almeno nella sua traduzione inglese (“cut”), per cui abbiamo scelto “abbandonarli”. Questo termine implica che tali azioni venivano prima giudicate positivamente, cosa che corrisponde alla realtà.

Come il primo, anche il secondo verso riguarda la propria mente. Esso esprime l’aspirazione a “sradicare la via della mente”, per usare le parole di Wu-men, la volontà di tagliare il nastro dell’incessante chiacchierio, il monologo interiore vertente esclusivamente su “ciò che ero, ciò che sono e ciò che sarò”. Nel silenzio che segue, ci si dedica naturalmente al benessere agli altri, così come il Buddha ha rivolto la mente ai cinque discepoli di Benares, quando ha tagliato il suo nastro incessante.

Ho mon mu ryo sei gan gaku
Le porte del dharma, senza misura, voto, imparare.
Le porte del dharma sono infinite; faccio voto di risvegliarmi a esse.

Quando la nostra sangha cominciò a studiare la terminologia dei voti, sedici anni fa, Stephen Mitchell (che all’epoca stava traducendo Il libro di Giobbe), ci suggerì di usare l’espressione “vasto e insondabile”, che appare nella prima risposta di Giobbe a Bildad il Suchita. Omettemmo il problematico “porte” e traducemmo: “Sebbene il dharma sia vasto e insondabile”. Ma nella nostra nuova versione abbiamo ripristinato il termine “porte”, perché questi sono davvero gli accessi al dharma – la nostra possibilità di realizzare le tantissime realtà che abbiamo davanti a noi – quando siamo aperti a essi.

Un’altra difficoltà di questo verso è data dalla parola “gaku”, imparare o studiare. Questo carattere si trova nei composti significanti scuola, istituto e studente. Di solito, viene tradotto con comprendere o padroneggiare, ma nessuno di questi due termini dà l’idea di un essere ricettivi a, che “gaku” sembra suggerire. Dopotutto, come è possibile padroneggiare o comprendere un’opportunità? Questo verso richiama la sfida del maestro zen Bassui: “Chi sta udendo quel suono?”. Quando sei ricettivo e non sei prigioniero dei pensieri, quel suono, tocco, bagliore o aroma è la tua grande possibilità.

Butsu do mu jo sei gan jo
Buddha, via, senza paragoni, voto, diventare.
La via del Buddha è insuperata; faccio voto di incarnarla completamente.

“Butsu” è Buddha, mentre “do” è Tao; quindi “Butsudo” è il Tao o il dharma del Buddha, la via del Buddha, e la pratica del buddismo. A un livello più basilare, si tratta della pratica perenne, così come è stata esposta dal Buddha e i suoi successori.

“Mujo” vuol dire letteralmente niente di superiore, dove “jo” significa superiore. Gary Snider traduce così questo verso: “La via del Buddha è senza fine; faccio voto di seguirla fino in fondo”. Nel nostro primo seminario, abbiamo avuto delle difficoltà con “jo”. Dopo alcune discussioni, abbiamo optato per “incarnare”, aggiungendo “completamente” per dare ai Voti un aspetto di completezza.

Questo verso finale è il nostro voto a percorrere l’Ottuplice Sentiero del Buddha, con lo stesso rigore e la stessa nobiltà di quest’ultimo. Questa è la Via che comincia dalle Rette Opinioni: la chiara intuizione della natura insostanziale dell’io e di tutte le cose, l’armonia innata dell’organismo universale e l’unicità di ciascun essere individuale. La Via si estende poi all’applicazione di queste Opinioni nei pensieri, le parole, la condotta, i mezzi di sussistenza, lo stile di vita, il raccoglimento e la meditazione.

Robert Aitken è direttore della Diamond Sangha di Honolulu. Tra i suoi libri, ricordiamo Taking the Path of Zen e The Mind of Clover (North Point Press).

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Copyright originale: Robert Aitken, per gentile concessione.
Originalmente pubblicato su Tricycle magazine, www.tricycle.com
Traduzione di Gagan Daniele Pietrini
Copyright per l'edizione Italiana: Innernet.