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L'Urbanesimo

di Mario Spinetti - 07/02/2007

 

L’umanesimo, affermando la centralità dell’uomo all’interno della socialità, è nella sua essenza un fatto rivoluzionario che, non solo modifica profondamente la struttura della società nella quale si afferma, ma rappresenta anche la premessa di quel rinnovamento radicale del pensiero che attraverso l’illuminismo pone le basi della società moderna. La rottura che l’umanesimo provoca tra mondo medievale e mondo moderno appare non solo con evidente contrapposizione nella pittura che, liberatasi dagli immobili archetipi dell’arte bizantina, spazia in visioni, a volte drammatiche, della vita e del destino dell’uomo, non si afferma solo nella letteratura che, riappropriatasi dei modelli classici, si libera dei condizionamenti del misticismo, ma è forse nel tessuto urbanistico della città che esso irride in modo più innovatore e determinante. Si pensi a Siena, a Firenze, si pensi alla serenità e all’essenzialità delle loro piazze, delle loro strade, fatte per l’uomo e a misura d’uomo, ai loro monumenti, ai palazzi e alle chiese in cui l’arte non è sovrapposizione di elementi estranei all’uomo e al cittadino ma è l’espressione stessa dei valori più alti di una società civile e concorde.

Quale contrasto tra quel mondo, pur non tanto remoto, e le metropoli che, sorte dalla rivoluzione industriale, si ergono oggi come monumenti di una civiltà alienata! E’ l’alienazione che Marcuse ravvisa sia nelle società di tipo capitalistico che in quelle di tipo marxista, ed è un’alienazione da cui non si esce se non si riafferma la centralità dell’uomo (sempre in senso sociale e non naturale), se non si pone la tecnologia a servizio dell’uomo e non l’uomo a servizio della tecnologia (cosa purtroppo del tutto improbabile). Le metropoli, le megalopoli sono disumane filiazioni degli accentramenti produttivi, e i grattacieli che esse innalzano, quasi a rinnovare la sfida che i titani lanciarono a Giove, incombono su di noi come se volessero annullare la nostra misura di uomini, e le allucinanti strade sopraelevate sembrano schiacciare la città sotto il peso delle loro imponenti strutture. La natura mortificata e oppressa dall’asfalto, il verde dei prati e lo stormire delle foglie ricacciate sempre più indietro da una colata di cemento che avanza come un Moloch mai sazio di vittime sacrificali. La distruzione sembra inarrestabile. Occorre fermarsi finché si è in tempo, e l’impegno deve essere di tutti: politici, industriali, ingegneri, architetti. Ah, se si fosse ascoltata la lezione di Wright! Essa aveva indicato, con profetica tempestività, la via che poteva salvarci dalle mostruosità urbanistiche: costruire a misura d’uomo, adeguare la struttura degli edifici agli elementi del paesaggio, sin quasi a realizzare una mimesi della natura stessa. Quale il modello di una città che si riappropria dei valori umani? E’ certo quello che ci ha indicato l’umanesimo, ma cadrebbe nell’utopia chi pensasse di poterlo ripetere e imitare senza che addivenga a profonde trasformazioni del modello sociale. Chi ci ridarà altrimenti il verde soffocato dal cemento, chi si assumerà il compito di abbattere gli enormi caseggiati, desolati ed anonimi? Forse l’inizio della rinascita di una città più umana potrebbe essere conseguito anche attraverso la riappropriazione dei valori di civiltà portati da una società contadina, che nel secolo trasscorso sono stati annientati da altri valori che nutrono nel proprio seno le forze che li distruggono.