Ludwig Klages. La realtà delle "immagini" e la potenza degli “idoli” pagani
di a cura di Luca Leonello Rimbotti - 07/02/2007
Il più convinto assertore della necessità di ritornare alle facoltà istintuali del corpo e della mente. Quelle stesse che sono state represse dalla modernità.
P
roviamo perun attimo a
uscire dalla
nostra abituale
maniera di
ragionare, ereditata
dall’Illuminismo.
Per una volta, niente
concetti astratti, nessun “buon senso”
universale. Entreremo allora
nel regno dell’intuizione, dell’immagine
che si apre per via intuitiva.
È l’ora del simbolo, che unico
pervade la mente. Questa dimensione
di assenza di peso, sgravata
dal macigno della ragione, ci conduce
direttamente a quella facoltà
di percepire le cose per via immaginativa,
che presso i nostri popoli
arcaici era un segno sicuro di vicinanza
con i segreti della vita e con
la verità del dio vivente che è in
noi: mito e contemplazione, gli
antefatti dell’azione eroica.
Il filosofo Ludwig Klages è stato
nel Novecento forse l’unico, certamente
il più convinto assertore
della necessità di operare un ritorno
alle facoltà istintuali del corpo
e della mente che la modernità ha
duramente represso. I guasti del
razionalismo sono sotto gli occhi
di tutti: uccisione dell’anima dei
popoli, essiccamento della spontanea
facoltà di accedere ai luoghi
del fantastico e del meraviglioso,
morte del mito, trionfo della meccanizzazione
dei riflessi umani. Se
la nostra morente civiltà vuole
arrestare il moto che la conduce
alla rovina, deve trovare dentro di
sé la capacità di restaurare il sentimento
magico della vita. E ritornare,
quindi, alla gnosi mistica che
permise agli antichi di erigere
immortali monumenti di sapienza
popolare. Secondo Klages, l’ossessione
modernista di alimentare
il progresso tecnologico sovvertendo
i poteri irrazionali ha condotto
all’attuale catastrofe dell’uomo:
estraneo alla natura, nemico
anzi delle sue leggi, assertore di
concetti inumani come “diritto
universale” o “uguaglianza”, l’uomo
sta distruggendo la propria
anima e il proprio mondo. Non
sente più la voce dei suoi istinti
vitali.
Nel mondo dei valori arcaici, invece,
ciò che dominava con naturalezza
era il contatto immediato
con le energie della vita, magari
invisibili, ma non per questo meno
reali. Quando ripensiamo, ad esempio,
ai ricchi patrimoni di cultura
popolare che sono stati soppressi
dalla modernità, noi vediamo quale
enorme sopruso è stato compiuto ai
danni dell’uomo. Durante molti
secoli, il razionalismo dogmatico ha
spento – anche con l’uso della violenza
– la convinzione ancestrale di
un contatto tra uomo e presenze
arcane: questi retaggi vennero allora
chiamati “superstizione”, “magismo”,
“idolatria” e perseguiti come
demoni malvagi. Erano, invece, sia
pure decaduti, i segni dell’antichissima
sapienza naturale legata alla
potenza dell’Anima.
Una potenza che era essenzialmente
natura. Prendiamo un caso esemplare:
il
genius dei Romani. Quisiamo nel regno delle immagini
naturali. Si pensi che, a Roma, il
genius
era l’anima occulta dellastirpe, il centro più profondo dell’identità
individuale e collettiva, a
diretto contatto con la divina trascendenza
e, al tempo stesso, con la
sacralità del suolo. I Romani sapevano
evocare questa magica forza
del
genius. La natura era presentenella forma del corpo come in quella
della psiche, e ne regolava le
scelte. Nessuna interferenza intellettuale,
nessun programma di principio.
E Klages, nel suo libro
Larealtà delle immagini. Simboli elementari
e civiltà preelleniche
– cheè l’ultima parte del suo gigantesco
libro del 1929 sullo
Spirito comenemico dell’Anima
– non fa cheporre l’accento sul significato originario
del termine: il
genio comepotenza che
genera l’identità, divenutopoi lo
spirito protettore, ilLare, la forza arcana che protegge.
Genius
e gens, anima e razza, sidicevano trasmessi dal
pater familiasall’erede, attraverso l’ultimo
respiro del morente inalato dal
figlio. Questa che a noi moderni
può sembrare solo un’allegoria, in
antico era invece ritenuta una
sostanza reale della massima
importanza, immagine simbolica
della realtà vera. Un popolo, come
quello Romano, così sviluppato
nella tecnica e nel pensiero razionale,
ma allo stesso modo così attento
a proteggere le verità ultime della
sua identità, riconosceva come
essenziale qualcosa che non si
vede, non si tocca, non è apparentemente
da nessuna parte, ma al tempo
stesso è vitale: proprio questo
ruolo di ombra, di riflesso, in cui si
collocava il simbolo, era il segno
della sua decisiva gravità. Il
geniusera dunque lo spirito sacrale del
ceppo, il progenitore della
genìa,custodiva la capacità generativa di
assicurare continuità alla propria
forma, garantendo i retaggi genealogici.
Riprendendo questi potenti atavismi,
Klages formulò tutta una filosofia
dell’anti-modernità, incentrata
proprio sul culto primordiale delle
immagini, viste come reali e non
arbitrarie rappresentazioni della
vita. Secondo lui, i nostri antenati
proto-storici, che chiamava Pelasgi,
avrebbero conservato questa capacità
di vivere a contatto con i
simbolielementari
, e la loro virtù piùgrande sarebbe stata quella di saper
penetrare i segreti della vita attraverso
qualità di percezione istintuali
e immaginali. Entro queste atmosfere,
il sapere diventava sapere
mistico, qualcosa che cresce in
situazioni di coscienza dilatata,
quasi una gnosi estatica: «
si trattapur sempre di spezzare il mondo
diurno nel suo semplice percepire
oppure di immergerlo nella notte
per adeguarsi alla verità delle
immagini attraverso la potenza della
contemplazione che si libera
».Notte, sogno, apparizioni, riflessi,
visioni, ombre: questo il momento
in cui sorge l’immagine primitiva,
che si ripercuote nel simbolo.
Si trattava propriamente di
idoli insenso etimologico, cioè prospettive
superiori legate alla sfera del sacro.
Ma nulla di bizzarro o di banalmente
“delirante”. I simboli erano
la matrice anche di eventi reali, di
situazioni concrete. Ad esempio,
presso i Greci – che come i Romani
non smarrirono il culto per i simboli
– la comunità della
polis era perl’appunto considerata un
eidolon,un’effigie, come un centro su cui
quegli antichi vedevano convergere
il sacro, il destino e il segreto stesso
della vita. Riandando al mito,
Klages, come prima di lui aveva
fatto Bachofen, collocò proprio nella
dimensione del notturno la vera
via della conoscenza e dell’esser
desti. Ecco che allora si rianima «
laconcezione che l’età pelasgica
ebbe del sogno: suprema saggezza,
scienza iniziatica: ispirazioni significative
non toccano all’anima nello
stato di veglia normale, bensì
ora nelle profondità del sonno, ora
in un’estasi affine al sogno; e soltanto
negli stordimenti spirituali
fioriscono le immagini
».È questo il mondo dell’ombra
avvolgente, l’oscuro e caldo grembo
materno, il luogo cioè in cui,
insieme ai corpi di carne, si generano
le menti illuminate, le aperture
divinatrici. Klages alle concezioni
solari preferiva quelle telluriche,
legate alla nascita e alla sfera
materna: è qui, tra umide pieghe
lunari, nel silenzio che feconda la
psiche nel momento della generazione,
che si decide il segno sotto il
quale l’uomo viene avviato al proprio
destino. Dimenticare questa
liturgia enigmatica, in cui la natura
compie il miracolo della trasmissione
dell’identità, in cui occultamente
si ripete ogni volta il segreto
dell’eredità fisica e psichica, significa
per Klages non essere più
uomini in senso pieno, ma automi
privi d’anima. La cura dell’
idoloebbe il potere di condizionare
anche la filosofia razionale. Persino
dopo la “rivoluzione filosofica”
della Grecia ionica – che pure
smarrì nell’idea di
concetto logicouna parte della forza originaria dell’
immaginearcaica – si ebbe secondo
Klages la riconferma dell’energia
simbolica, ad esempio nella
dottrina delle idee
di Platone.Tutto questo non è astrazione né
sterile erudizione, come potrebbe
apparire ad una coscienza sgretolata
dalla superficialità progressista.
Al contrario, una simile filosofia
misterica sa sposarsi assai bene con
vedute propriamente storiche e
anche politiche. Dopo tutto, la storia
ha dimostrato che, a certe condizioni,
il mito può convivere con la
modernità. Klages fu un geniale
elaboratore moderno della mistica
pagana, incentrata sull’elevazione
del dèmone visionario che inabita i
recessi di Psiche, e seppe alla fine
individuare nel monoteismo giudaico-
cristiano l’uovo da cui si dischiuse
lo spirito calcolante, il razionalismo
che soffoca l’Anima, spegnendone
i balzi d’illuminazione
atavica. Al vittorioso dio unico dei
profeti «
riuscì lo straordinario giocodi prestigio di elevare a “signore”
personale del mondo intero
l’infinito odio verso la divinità per
eccellenza
», cioè l’Anima che allevaimmagini, simboli, segni perenni
del sublime, donando identità,
diversità, unicità di tipi. Tutta l’opera
di Klages esprime questa lotta
«
fra una volontà di pura distruzionee l’anima fertile di immagini
».E, in ogni sua pagina, è come se
fosse implicita l’irrazionale, ma
viscerale nostalgia per una mitica
rivoluzione
, il ritorno a un futurogravido del più lontano passato.