Bandiere e voglia di libertà per l’Isola verde che non c’è
di a cura di Antonella Giuli e Tommaso Della Longa - 07/02/2007
Derry 35 anni dopo: ragazzi, padri di famiglia e giovani madri hanno sfilato per le vie del centro
ricordando il massacro del “Bloody Sunday”. All’insegna del grande mito di Bobby Sands.
Derry. Non c’era neanche
un poliziotto la
scorsa domenica
pomeriggio a controllare il corteo
cattolico per le strade del
Bogside di Derry, in ricordo
della Domenica di Sangue
(Bloody Sunday), di quel 30
gennaio 1972 quando un battaglione
di parà inglesi aprì il
fuoco su una manifestazione
non violenta uccidendo 14 persone.
E pensare che proprio di
forze dell’ordine si parlava lo
stesso giorno al congresso
straordinario a Dublino dello
Sinn Fein (tradotto dal gaelico
“noi soli”), braccio politico
dell’Irish Repubblican Army
(IRA), esercito repubblicano
irlandese firmatario del cessate
il fuoco e ormai quasi totalmente
in pace.
Nell’assemblea straordinaria si
dibatteva, infatti, della proposta
di accettare la polizia
biconfessionale in Irlanda del
Nord (PSNI), proposta approvata
in tarda nottata che aveva
suscitato non poche polemiche
e spaccature all’interno del
Sinn Fein stesso. Contestazioni
ben visibili anche durante il
percorso del corteo, dove si
potevano vedere sui muri dei
palazzi scritte come “SF/PSNI
OUT” o “Stop Sinn Fein sellers”
(stop alla svendita del
Sinn Fein). Alcune delle varie
anime del movimento repubblicano,
infatti, non hanno preso
di buon grado l’ingresso
nelle forze dell’ordine inquadrate
sotto l’egida britannica. Il
Repubblican Sinn Fein, partito
nato alcuni anni fa da un costola
del Sinn Fein, la Continuity
IRA, unica parte dell’esercito
repubblicano a non aver accettato
la fine delle ostilità, e l’INLA,
ala marxista dell’IRA,
sono i soggetti che più di tutti
hanno contrastato il processo
di pace e soprattutto l’ultima
decisione del partito di Gerry
Adams.
La maggioranza della popolazione,
però, la guerra non la
vuole più. Bambini, giovani
donne, adolescenti, ragazzi,
padri di famiglia e anziani hanno
marciato per le vie di Derry
sfilando lungo lo stesso percorso
di trentacinque anni fa esatti.
Composti, dritti, fieri. Ciò
che la “verde isola” ha ospitato
l’altroieri è insomma molto più
che non una semplice manifestazione
per ricordare chi, in
nome della libertà dall’invasore
londinese, ha sacrificato tutto,
perfino la vita. Una sorta di
promessa rinnovata. Un modo
per riallacciarsi a una memoria
che non può e non deve essere
storicizzata, almeno fino a
quando il diritto a esistere
come libera nazione continuerà
a essere negato. O comunque
negoziato. “Tell the truth”, cioè
“raccontate la verità” diceva
uno striscione a fondo blu e
scritta bianca sorretto da un
gruppo di donne più o meno
alla testa del corteo. Subito prima,
a condurre i manifestanti,
una ragazza dai capelli rossi e
vestita di nero, familiare stretta
di una delle vittime di quel 30
gennaio del ’72.
Il tricolore irlandese ben saldo
in mano, era seguita dalla fila
silenziosa e molto composta di
altri familiari dei caduti durante
il Bloody Sunday, marcianti
con lo sguardo sempre dritto e
reggendo ognuno la foto del
proprio caro scomparso quel
giorno. Poco dietro, uno stendardo
srotolato della comunità
irlandese in America, giunto a
testimoniare profonda solidarietà
proprio come gruppi di
giovani italiani, baschi, catalani,
palestinesi. Sfilavano insieme,
sorridenti ma raccolti. La
fierezza dei più grandi era unita
al coraggio e alla spontaneità
dei più piccoli. Era facile
intravedere tra le file del corteo
gruppetti di “aspiranti militanti
nazionalisti” tra gli otto e i dieci
anni, “armati” di bottiglie
vuote e bastoni di legno. Evidentemente
anche l’ultima
generazione ha vissuto la tragedia
dell’occupazione e della
repressione inglese, e anche i
bambini, forse, sono già pronti
al combattimento. Oltre a loro,
uno striscione verde con l’icona
di Bobby Sands, icona e
martire irlandese morto nel
1981 durante lo sciopero della
fame nei famigerati “Blocchi
H”, carceri inglesi dove venivano
reclusi i patrioti dell’Ira.
A portarlo sono i ragazzi del
movimento giovanile del Sinn
Fein del Bogside, futuro di
questa città che ha visto scorrere
troppo sangue, giovani che
non dimenticano però il loro
passato, la loro tradizione. E
ancora, lo striscione “Ban Plastic
Bullets”, dell’associazione
che lotta contro i letali proiettili
di plastica “made in London”
che sono stati usati per decenni
dall’esercito occupante e che
hanno mietuto centinaia di vittime
e di feriti gravi.
In mezzo al corteo, guardato a
vista da un servizio d’ordine
ombra che ad un occhio attento
non poteva sfuggire, il picchetto
d’onore con il tricolore
irlandese e le bandiere delle
contee occupate e dietro la
banda che dava il tempo alla
marcia. Tutti rigorosamente
con il basco nero, occhiali scuri,
maglione verde militare,
pantaloni e anfibi neri. Una
sorta di riedizione soft della
banda d’onore dell’Ira. Che
però non tradisce la sua provenienza,
anche fosso solo per le
persone che la scortavano. Si
diceva all’inizio che non c’era
l’ombra della polizia.
Ad ogni angolo sempre il servizio
di sicurezza fantasma
regolava il traffico, l’afflusso
delle persone, il corretto svolgimento
della manifestazione.
E proprio nel giorno in cui i
cattolici decidono di entrare a
far porte delle forze dell’ordine,
è paradossale pensare che
se fosse stata avvistata una delle
camionette della polizia o
peggio i corpi speciali dell’esercito
di sua maestà, la manifestazione
non sarebbe di certo
stata pacifica. Non per volontà
cattolica, ovviamente. La presenza
continua, oppressiva, di
forze armate, telecamere,
repressione violenta ha sempre
portato necessariamente all’autodifesa
dei nazionalisti irlandesi.
Dopo quasi tre ore e mezza
di marcia, si arriva al famoso
muro della Free Derry, porta
d’entrata simbolica nel quartiere
cattolico, in realtà quella che
resta di una casa demolita
durante gli scontri negli anni
’70. Davanti al famoso murales
“You are now entering Free
Derry”, un camion faceva da
palco. Dopo il portavoce dell’associazione
dei familiari
delle vittime, si sono alternati
vari oratori, ma l’attenzione è
catturata dalla leader locale del
Sinn Fein, Martina Anderson,
ex prigioniera politica dell’Ira,
in carcere per 14 anni, oggi
punta di diamante nei colloqui
con i protestanti. Anche le possibili
contestazioni si sono
risolte in un piccolo striscione
esposto da alcuni ragazzini.
Nessun fischio, nessun grido,
solo uno scroscio di applausi
per la Anderson che poco dopo
riusciamo ad avvicinare. Le
chiediamo cosa pensi dei gruppi
di contestatori, “sono solo
una minoranza che noi rispettiamo
e che vogliamo assolutamente
riavvicinare per aprire
un nuovo dialogo.
Il giorno del Bloody Sunday
avevo nove anni e abitavo proprio
nel Bogside. Ricordo
ancora oggi la paura e il panico
lungo le strade del quartiere,
ma anche la fierezza del nostro
popolo. Capisco le proteste
dopo il nostro accordo per la
polizia biconfessionale: esiste
un’emotività diffusa che muove
la gente comune contro le
forze dell’ordine. Ma solo così
potremo portare avanti il processo
di pace”. Occhi di ghiaccio,
tono della voce deciso,
polso forte. Una donna che ha
vissuto in prima persona l’oppressione
britannica e non ha
abbassato la testa. Un simbolo
di questo popolo che continua
a non rinunciare ad un sogno di
libertà e di giustizia.