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Fronte africano. Gli Usa creano Africom, un comando militare dedicato all'Africa

di Alessandro Ursic - 08/02/2007

Spesso considerata fuori dai giochi di potere internazionali e dimenticata dal resto del mondo, l’Africa tra breve avrà la stessa importanza degli altri continenti. Almeno agli occhi del dipartimento della Difesa statunitense, che il prossimo anno istituirà l’Africom: un centro di comando militare regionale comprendente i 53 paesi africani tranne l’Egitto, che va ad aggiungersi ai cinque comandi già esistenti.
 
Militari di Gibuti addestrati dagli UsaL’avallo presidenziale. Due giorni fa il presidente George W. Bush ha dato l’ok al progetto delineato a dicembre dal Pentagono, ordinando che Africom venga istituito entro il 30 settembre 2008. La sede deve ancora essere decisa ma sarà comunque in Africa, cosa che farebbe del comando l’unico non basato in territorio statunitense. Finirà così l’era in cui la competenza sul continente era divisa tra il Comando Europeo, quello Centrale (che coordina gli sforzi militari in Medio Oriente e Asia centrale) e quello del Pacifico, una divisione dei compiti che il segretario alla Difesa Robert Gates ha definito “una strutturazione superata, lasciata in eredità dalla Guerra Fredda”.
 
Contenimento dell’estremismo islamico. Gli analisti concordano che il crescente interesse degli Stati Uniti verso l'Africa è dovuto in particolare a due fattori, uno dei quali è l’espansione del terrorismo islamico. I recenti raid aerei statunitensi sulla Somalia, effettuati con lo scopo di uccidere tre sospetti terroristi di Al Qaeda coinvolti negli attentati alle ambasciate statunitensi in Kenya e Tanzania nel 1998, testimoniano la crescente presenza di Washington nel Corno d’Africa. Un’area su cui il dipartimento alla Difesa ha messo gli occhi da tempo: dal 2002, 1.500 soldati Usa sono stanziati a Gibuti, centro delle operazioni Usa nella regione, tanto che il Pentagono programma di estendere la superficie della base Camp Lemonier da 88 a 600 ettari (anche per questo, Gibuti sembra essere la candidata più credibile per ospitare la sede dell’Africom). Nel recente conflitto in Somalia, le truppe etiopi che hanno cacciato le milizie islamiche sono state addestrate e armate dagli Usa, così come accaduto in Algeria, Ciad, Kenya, Nigeria, sempre in funzione anti-terrorismo.
 
I ribelli del Delta del Niger hanno causato un taglio della produzione petrolifera nigerianaPartita a scacchi per il petrolio. Oltre al contenimento dell’estremismo islamico, gli Usa saranno sempre più legati all’Africa dal punto di vista energetico. Oggi gli Usa importano da qui quasi il dieci percento del petrolio che consumano, in particolare da Nigeria e Angola; nel 2005 il 17,6 percento delle importazioni statunitensi di greggio sono venute dall’Africa, una quantità maggiore rispetto a quella proveniente dal Medio Oriente. E dato che l’amministrazione Bush non ha nascosto di volersi smarcare sempre più dalle forniture dei Paesi mediorientali, entro il 2015 è previsto che l’Africa fornisca agli Usa il 25 percento delle loro importazioni di gas e petrolio. Washington deve però fronteggiare la crescente penetrazione economica in Africa della Cina, assetata di risorse energetiche per far girare un'economia,che da un decennio cresce a tassi intorno al dieci per cento all’anno.
 
Il primo ministro etiope Meles ZenawiIl punto di vista africano. Dal punto di vista africano, le preoccupazioni però sono altre. “La creazione dell’Africom ha portato un certo nervosismo nel continente”, spiega a PeaceReporter Patrick Smith, direttore di Africa Confidential, un osservatorio specializzato sull’Africa. “La preoccupazione è che, come ai tempi della Guerra fredda, in Africa venga combattuta una ‘guerra per procura’, questa volta tra gli Usa e gli stati mediorientali. E i musulmani in Africa percepiscono la ‘guerra al terrorismo’ in realtà come una ‘guerra all’Islam’: anche per questo, un’accresciuta presenza Usa nella regione è potenzialmente destabilizzante”. C’è poi anche la questione del rapporto tra Stati Uniti e regimi corrotti, nonché autori di violazioni di diritti umani. In un editoriale pubblicato sul quotidiano Mail and Guardian, l’analista politico Charles Cobb ha scritto che “non c’è combinazione più pericolosa di quella tra un potere militare sostenuto da un altro Paese e l’allineamento di questo Paese con gli obiettivi politici dei regimi locali. Le peggiori oppressioni vengono compiute in nome della sicurezza e della stabilità”. Come capitò per esempio nel 2005, quando il primo ministro Meles Zenawi fece reprimere nel sangue le proteste post-elettorali dell’opposizione, provocando 193 morti. Il timore è condiviso da Smith: “C’è il rischio che, se stai dalla parte della guerra al terrorismo, hai poi mano libera su come gestisci il tuo Paese”.