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Home / Articoli / Ultime notizie dal mondo 15 - 31 Gennaio 2007

Ultime notizie dal mondo 15 - 31 Gennaio 2007

di redazionale - 08/02/2007


 

a) Libano. Fondi esteri per mantenere un governo compiacente. Per Washington, Parigi e Roma la democrazia si compra, ma non si pratica. Sindacati e forze politiche d’opposizione hanno paralizzato il paese. Numeri impressionanti quanto a partecipazione. E la protesta continua. Sul tappeto: governo d’unità nazionale per nuove elezioni. Per uno scenario senza ingerenze. Cfr 18, 20, 23, 24, 25, 26, 30, 31

b) Irlanda del Nord. Lo Sinn Féin mette sempre più politicamente alle corde gli unionisti di Ian Pasley e mantiene l’iniziativa. Il riconoscimento di una nuova polizia nordirlandese, in passato connubio repressivo/criminale di paramilitari e forze d’occupazione britanniche (cfr 23 gennaio), è stato un passaggio significativo e contrastato. La strategia, spiegata dallo stesso Adams, tra la carrellata di notizie al 19, 23, 28, 31. Resta l’obiettivo dell’Irlanda unita. In tale contesto lo Sinn Fein apre ai gruppi repubblicani dissidenti invitandoli alla compartecipazione politica e, anche sulla questione dei prigionieri, punta a mantenere unita l’area politica nazionalista e repubblicana.

c) America Latina. Iraq e Afghanistan impantanano gli USA. E in America Latina, in nome della sovranità nazionale e di una prospettiva sociale di liberazione, si approfitta del (relativo) vuoto e si avanza. In Nicaragua registriamo le prime mosse del neo eletto presidente sandinista Daniel Ortega (15, 17). In Venezuela (19, 20, 26, 31) si è allargata la fase di nazionalizzazioni ad investire altri settori strategici, oltre quello petrolifero. La Casa Bianca sbotta e minaccia. In Ecuador (15, 26) il processo è agli inizi: scarrellata di notizie al 15 e, al 26, la strana morte di una neoministra.  In Bolivia aggiornamenti al 22 e 23. Situazione più conflittuale in Uruguay (25).

 

Sparse ma significative:

·        Iraq. Tra le notizie al 22, 26 e al 27, la prima, sul petrolio, è molto indicativa.

·        Israele / Palestina. Tel Aviv continua ad investire sulla guerra civile in Palestina con blocchi economici e sostenendo anche militarmente, insieme a Washington, certi gruppi dell’Al Fatah di Abu Mazen contro Hamas (cfr 21, 28, 29, 31). Significativo in tal senso il rafforzamento dell’ex ministro Mohammed Dahlan (cfr 30). Intanto, mentre un sopravvissuto dei campi di concentramento esprime indignazione per le angherie quotidiane subite dai palestinesi (25), “l’unica democrazia del Medioriente” proroga la legge che nega la cittadinanza ai palestinesi che sposano arabi-israeliani (cfr 16).

·        USA. Continuano a registrarsi inquietanti segnali di guerra contro Teheran. Cfr 22, 27, 29.

 

Tra l’altro:

Scozia (16 gennaio)

Afghanistan (17, 25, 27, 31 gennaio)

Paraguay (18 gennaio)

Russia (22 gennaio)

Giappone (26 gennaio)

USA / Israele (30 gennaio)

Cina (31 gennaio)

 

 

  • Nicaragua. 15 gennaio. Il FSLN riformerà la Costituzione per creare le Assemblee del Potere Cittadino. Per portare avanti le riforme che propone o convocare un’assemblea costituente, il FSLN (Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale) necessiterà dell’appoggio parlamentare del Partito Liberale Costituzionalista (PLC). Il FSLN ha 38 seggi e il PLC 25, per un totale di 63, sufficienti per riformare la Costituzione totalmente o parzialmente e per convocare un’assemblea costituente. Ortega, in più occasioni, ha detto di avere come riferimento assemblee popolari come quelle esistenti a Cuba e Venezuela.

 

  • Nicaragua. 15 gennaio. Una riforma urgente per controllare Polizia ed Esercito. Il nuovo presidente del Nicaragua, il sandinista Daniel Ortega, l’ha formalizzata oggi e ne caldeggia con urgenza l’approvazione di fronte alle «inquietudini» di chi andrebbe contro la Costituzione. Il progetto mira a ridimensionare le funzioni dei ministeri della Difesa e dell’Interno e a prefigurare una capacità d’intervento maggiore della figura del presidente dello Stato. Lo riferisce all’agenzia Efe il primo segretario dell’Assemblea Nazionale, il liberale Wilfredo Navarro.

 

  • Ecuador. 15 gennaio. Una consulta per un’altra Costituzione. Oggi, nello stesso giorno della sua investitura, il neo presidente dell’Ecuador, Rafael Correa, ha convocato una consulta popolare per il 18 marzo perché il popolo decida se desidera un’Assemblea Costituente per redigere una nuova Carta Magna. Nella consultazione, la domanda di fondo verterà sulla possibilità di costituire o meno un’Assemblea «di pieni poteri». Il fine, ha detto Correa, è quello di arrivare a rifondare tutto un sistema politico che faccia emergere dalla marginalizzazione sociale indigeni, gruppi sociali sfavoriti ed immigrati. Sulla legittimità o meno della convocazione la parola passa ora al Tribunale Supremo Elettorale (TSE) che, ha dichiarato il suo presidente, Jorge Acosta, verterà solo sui requisiti di procedura e di «accessibilità», cioè che «la richiesta contempli tutto quel che dice la legge». Al Congresso e nello stesso TSE non mancano gli oppositori all’indirizzo politico-sociale simil-chavista (Hugo Chávez, presidente del Venezuela) di Correa. Intanto il neo presidente ha già firmato il decreto di nomina dei 17 ministri del suo Gabinetto (tra i quali 7 donne) e quello per la riduzione della metà dello stipendio del presidente del paese e in generale dei funzionari pubblici e parlamentari, al fine, ha detto, di iniziare a predisporre i fondi per i progetti sociali che intende mettere in atto.

 

  • Ecuador. 15 gennaio. Sovranità nazionale per il socialismo. Questo il senso delle parole del neo-eletto presidente dell’Ecuador Rafael Correa. «Basta con la democrazia di plastilina, oggi non inauguriamo l’epoca del cambiamento, ma l’inizio del cambiamento di un’epoca, quella che passa attraverso l’abbandono del neo-liberismo, per il socialismo del XXI° secolo». Questo uno dei passaggi del suo discorso d’insediamento, oggi, di fronte ad una platea entusiasta che ha gremito l’emiciclo del Congresso di Quito. Le parole del Presidente circa l’andare oltre il “dogma neoliberale” e le democrazie “di plastilina” (che sottomettono le società alle illusioni del mercato) ricordano i discorsi fatti da Chávez, presidente del Venezuela. Correa attacca le istituzioni finanziarie internazionali, il peso insostenibile del debito estero, le élite corrotte. Parla il linguaggio della giustizia sociale, intreccia citazioni di Simon Bolivar e del grande eroe nazionale Eloy Alfaro, la Populorum Progressio inframmezzata ad una lectio magistralis sui danni provocati dal neo-liberismo nelle ultime decadi. Promette un governo dei cittadini, lotta alla corruzione e recupero della sovranià nazionale.

 

  • Ecuador. 15 gennaio. Molte le sfide e le incognite che il neo-presidente ed il suo governo, composto per il 40% di donne, si troveranno ad affrontare fin dai primi giorni di mandato. Il futuro è pieno di insidie. Avendo deciso di non candidare suoi esponenti al Congresso, Correa, che mantiene un indice di popolarità intorno al 73%, si trova in una situazione di delicato equilibrio, con un sostegno conseguito a livello popolare, ma non sostanziato nella elezione di alcun deputato. Ha comunque inaugurato un suo programma per parlare con il paese. Intitolato El presidente dialoga con el pueblo, il programma verrà trasmesso ogni sabato via radio (la radio è l’unico mezzo che giunge alle comunità indigene); speciali linee telefoniche permetteranno agli ecuadoriani di mettersi in contatto con il capo dello Stato. Lucio Gutierrez, espressione della destra economica e politica, eletto presidente nel 2004, cacciato a furor di popolo nel 2005 e riemerso, pur sconfitto, alle ultime elezioni, lavora già al dopo-Correa, ha un rapporto tesissimo con il presidente, che non ha gli lesinato accuse. Punta a spostare le alleanze in parlamento e non è escluso che tenti la carta del processo di impeachment contro Correa. I militari per ora tacciono e potrebbero scendere in campo qualora la situazione diventasse ingestibile in caso di un conflitto aspro presidente-parlamento.

 

  • Ecuador. 15 gennaio. «Dobbiamo fare presto, abbiamo davanti a noi 90 giorni per convocare la costituente, dobbiamo farlo in maniera rappresentativa». A parlare così è Alberto Acosta, ora ministro dell’energia oltre che eminenza grigia del presidente, una lunga esperienza nei movimenti sociali, nazionali ed internazionali. Acosta, che siede in un posto-chiave, pensa in grande. Parla di sovranità energetica, di diversificazione delle fonti, azzarda un piano per una moratoria all’esplorazione petrolifera in foreste intatte, abitate da popolazioni indigene mai contattate dall’uomo. Certo è che il tempo delle vacche grasse per le trans-nazionali petrolifere sta per finire, e anche il tempo dell’accettazione passiva dei diktat del Fondo Monetario Internazionale (FMI) e degli squilibri nei rapporti commerciali. Correa non firmerà il TLC, l’Accordo di libero scambio con gli Stati Uniti, e lavorerà ad uno sganciamento progressivo dall’FMI. «Paghiamo quello che resta da pagare, e poi bye-bye», sostiene il nuovo ministro dell’economia Ricardo Patiño, una lunga militanza nel movimento Jubileo 2000 per la cancellazione del debito. «Il nostro obiettivo è quello di non firmare più alcuna lettera d’intenti con il Fondo (FMI, ndr)», a differenza del precedente presidente Gutierrez.

 

  • Ecuador. 15 gennaio. Correa come Chávez? A Washington in molti la pensano così e sono preoccupati. Tra chi non lo è in modo particolare, c’è Carlos Gutierrez, segretario del Commercio statunitense, che ricorda che il 49% delle esportazioni ecuadoriane hanno come meta gli Stati Uniti, il che equivale a 6 miliardi di dollari annuali, e in termini occupazionali, sommando gli investimenti nel paese, circa 150mila posti di lavoro. Oltre al peso del legame con gli Stati Uniti, almeno per quanto riguarda la partnership economica, l’influenza di tale rapporto sulla stabilità economica del paese dipenderà anche dalle decisioni di Correa sul tema della “dollarizzazione” della valuta ecuadoriana; gli investitori hanno espresso preoccupazione sulle future scelte in campo finanziario da parte del nuovo esecutivo. Correa in campagna elettorale ha promesso di mantenere il dollaro, in vigore dal 2000. In molti temono l’abbandono di tale sistema. A preoccupare ulteriormente gli operatori economici soprattutto esteri non è tanto una politica economica orientata ad un maggiore intervento dello Stato, come ha fatto intendere fin dall’inizio Correa, bensì la possibilità che il nuovo governo implementi politiche economiche protezioniste.

 

  • Scozia. 16 gennaio. Frenare i nazionalisti. È l’intendimento del primo ministro britannico, Tony Blair, e del suo quasi sicuro successore, Gordon Brown, che stanno pensando ad un’intensa campagna in Scozia per impedire la prospettiva –confortata anche da vari sondaggi– di una vittoria del Partito Nazionalista Scozzese alle prossime elezioni del 3 maggio. Ne dà notizia l’edizione odierna del The Times. In caso di effettiva vittoria, i nazionalisti hanno promesso di convocare un referendum sull’indipendenza della nazione. Blair, nel tentativo di contrastare le rivendicazioni indipendentiste, ha concesso nel 1998 l’autonomia alla Scozia. Attualmente in Scozia governano i laburisti con i liberali democratici. La notizia coincide con la celebrazione dei 300 anni trascorsi da quando la Camera scozzese votò la sua adesione all’Inghilterra con il Trattato d’Unione. Fu creato quindi, con l’approvazione delle leggi corrispondenti, un unico Parlamento per entrambi i paesi, che, nonostante condividesse dal 1603 lo stesso re, mantenevano distinti organi legislativi. Dopo la firma di quel Trattato, la nuova Camera fu posta a Westminster, Londra.

 

  • Iran. 16 gennaio. Mosca consegna missili anti-aereo Tor-M1 a Teheran. L’annuncio, oggi, del ministro della Difesa russo Ivanov che ha ricordato che l’Iran «non è soggetto a sanzioni e se vuole comprare sistemi difensivi per le sue forze armate, perché no?». Il portavoce del ministero degli Esteri, Mikhail Kamynin ha detto, in un comunicato, che la cooperazione militare e tecnica tra i due paesi rispetta le leggi internazionali e gli accordi bilaterali. Gli Stati Uniti, lo scorso anno, hanno ripetutamente chiesto la fine delle esportazioni di armi in Iran e dei progetti di cooperazione con Teheran fino a quando non saranno congelati tutti i programmi nucleari del paese mediorientale.

 

  • Israele. 16 gennaio. Prorogata la legge che nega la cittadinanza ai palestinesi che sposano arabi-israeliani. Un emendamento peggiorativo estende la norma a Siria, Iraq, Libano e Iran, e comunque a individui che, in base a valutazioni dell’esercito, risiedono in un’area geografica dove si svolgono attività che mettono in pericolo la sicurezza d’Israele. Per le associazioni dei diritti civili «è razzismo». Il governo Olmert ha prorogato ieri fino al 15 aprile 2007 la legge che nega ai palestinesi dei Territori occupati che sposano cittadini israeliani (tra questi sono arabi 1.300.000 abitanti, il 19% della popolazione) la cittadinanza o la residenza israeliana. Si tratta della Nationality and entry into Israel law (temporary order) approvata dalla Knesset nel 2003. Secondo Sawsan Zaher, dell’organizzazione per i diritti umani Adalah che difende la minoranza araba in Israele (www.adalah.org), «rappresenta una violazione palese della Dichiarazione dell’ONU del 1992 sui diritti delle minoranze». «Un individuo che appartenga a una minoranza», sostiene Zaher, «ha diritto a stabilire e mantenere, senza alcuna discriminazione, contatti oltre frontiera con cittadini di altri Stati a cui sia legato da legami nazionali, etnici, religiosi o linguistici». La legge colpisce la minoranza araba dello Stato sionista costringendo gli arabo-israeliani a stare lontani dalle loro mogli/mariti residenti in Cisgiordania, Gaza o Gerusalemme est.

 

  • Israele. 16 gennaio. La legge è incostituzionale, perché nega alle famiglie arabe d’Israele diritti (primo fra tutti quello al ricongiungimento familiare) accordati invece alla maggioranza ebraica. Questo sostiene l’associazione Adalah. Le mogli o i mariti non ebrei degli ebrei che emigrano in Israele in base alla Legge del ritorno hanno infatti automaticamente diritto alla cittadinanza. «Fu l’ex premier Ariel Sharon a parlare del vero principio ispiratore della legge: contrastare quella che lui definiva la minaccia demografica araba», spiega Joav Loeff, portavoce dell’Associazione per i diritti civili in Israele (Acri, www.acri.org). Il 4 aprile del 2005, durante una riunione dell’esecutivo, come riportato dal quotidiano Ha’aretz, Sharon dichiarò: «Non c’è bisogno di nascondersi dietro motivi di sicurezza. Si tratta di una necessità per l’esistenza di uno Stato ebraico». L’ex ministro delle finanze, Benjamin Netanyahu, nello stesso incontro, disse: «Invece di facilitare l’accesso alla cittadinanza per i palestinesi, lo renderemo molto più difficile, per garantire la sicurezza e la maggioranza ebraica in Israele». Per Loeff si tratta di «un provvedimento razzista, che mira a costruire una società divisa in due, discriminando interi gruppi in base all’etnia d’appartenenza». «Stanno cercando di rendere la vita impossibile agli arabi», rincara la dose Sawsan Zaher, dell’associazione Adalah, «per spingerli ad abbandonare il paese dove sono nati».

 

  • Somalia. 17 gennaio. «La mia destituzione è illegittima; la Somalia va verso la dittatura». Così il presidente/speaker del parlamento di transizione di Baidoa, Sharif Hassan Sheikh Aden, sfiduciato oggi dai deputati (183 voti a favore, 9 contro). Il motivo? L’aver tentato di arrivare ad un accordo di pace con le Corti Islamiche mentre il governo di transizione preparava la sua offensiva militare con l’appoggio dell’esercito etiopico ed il sostegno (anche militare) degli Stati Uniti. Aden accusa il premier Ali Mohamed Gedi e il presidente Abdullahi Yusuf di averlo illegittimamente esautorato per aver egli sollecitato il ritiro dal paese delle truppe d’occupazione etiopiche. Spiega le sue interlocuzioni con le Corti islamiche, perché si dice convinto che senza un processo di riconciliazione il più inclusivo possibile e comprendere membri della società civile, intellettuali, leader tradizionali, leader religiosi, politici e diplomatici la Somalia non si riprenderà mai. A Gedi e Yusuf, dice, interessa solo stabilire una dittatura.

 

  • Afghanistan. 17 gennaio. Il segretario alla Difesa statunitense Robert Gates ha detto oggi che i comandanti USA in Afghanistan hanno raccomandato un aumento delle truppe nel paese, nel tentativo di contrastare la crescente attività dei talebani. Gates non ha specificato quanti soldati i comandanti avrebbero chiesto. «Dipende da diversi scenari», ha detto. Secondo il numero uno del Pentagono, il numero di soldati statunitensi in Afghanistan dipenderà anche dai contributi degli altri paesi NATO.

 

  • Nicaragua. 17 gennaio. Servizi sanitari e istruzione gratuiti da subito, nonostante la mancanza di fondi. Sono le prime misure del governo Ortega. Per la scuola abolite le spese d’iscrizione e gratuità dei testi. Questo dovrebbe riportare a scuola circa 500mila bambini. Ci sono comunque problemi di fondi che il nuovo governo intende risolvere. Per la sanità è già stato eliminato il pagamento di farmaci, esami, ricoveri o interventi chirurgici ed è stata decretata l’abolizione del sistema di medicina privata all’interno degli ospedali pubblici, una forma nascosta di privatizzazione della salute. L’esecutivo ha infine deciso la riduzione delle tariffe dei trasporti: una misura resa possibile dalle forniture di combustibile venezuelano a basso prezzo.

 

  • Libano. 18 gennaio. L’ONU ha assegnato al generale italiano Claudio Graziano il comando della missione Unifil II, Forza Interinale ampliata d’interposizione delle Nazioni Unite, a partire dalla metà di febbraio. Lo stabilisce una lettera inviata al segretario ONU, Ban Ki Moon, dall’ambasciatore russo presso il Palazzo di Vetro, Vitaly Churkin, che per gennaio esercita la presidenza a rotazione mensile del Consiglio di Sicurezza. Il generale italiano subentrerà al pari grado francese, Alain Pellegrini, il 17 febbraio. Graziano, attualmente numero due del comando operativo congiunto, dal luglio 2005 al febbraio 2006 ha guidato la Brigata Multinazionale “Kabul” in seno alla Forza internazionale di assistenza per la sicurezza in Afghanistan (ISAF), sotto egida NATO. Nel contingente ONU in Libano è l’Italia che conta il maggior numero di soldati: 2.500, un quarto dell’organico complessivo. Segue la Francia con 1.650.

 

  • Israele. 18 gennaio. Se ne va il generale Halutz, uno dei tre principali artefici (oltre a Peretz ed Olmert) dell’offensiva d’estate contro il Libano. Festeggia Hezbollah. Le dimissioni del capo di stato maggiore sono il frutto «della sconfitta del nemico israeliano in Libano», dice Hussein Haj Hassan, deputato di Hezbollah. A Gaza ricordano ancora le parole pronunciate dall’alto ufficiale israeliano (a quel tempo capo dell’aviazione) dopo l’attacco aereo (con una bomba da una tonnellata) compiuto nell’estate del 2002 contro l’edificio in cui viveva Salah Shahade, capo militare di Hamas, in cui morirono una ventina di civili, tra cui diversi bambini. «La notte dormo senza alcun problema», affermò Halutz in risposta alle critiche giunte anche da organizzazioni pacifiste israeliane. Nella lettera di dimissioni Halutz ha ammesso che il conflitto in Libano ha evidenziato una serie di problemi nella struttura e nel funzionamento delle forze armate. Ha aggiunto di aver ordinato una revisione meticolosa e di aver messo a punto adeguati piani di lavoro per il 2007.

 

  • Israele. 18 gennaio. «Dopo le dimissioni di Halutz, la situazione di Peretz (ministro della Difesa, ndr), già fragile, è più precaria che mai». Così Roni Sofer, analista di Ynet, il quotidiano elettronico di Yediot Aharonot. Il veterano dirigente sindacale è nell’occhio del ciclone di molte analisi che lo accusano di incompetenza a dirigere questioni militari vitali per Israele. I suoi detrattori lo giudicano incapace di gestire una questione come i piani israeliani contro l’Iran sul nodo nucleare. Ma le critiche investono anche il primo ministro Ehud Olmert: «Ogni giorno che (Olmert, ndr) continua a rimanere in carica è a serio rischio la sicurezza del paese», ha dichiarato ieri ministro degli Affari Strategici, l’ultrasionista di origini russe Avigdor Lieberman. Olmert è, attualmente, accusato anche di corruzione nella privatizzazione del Banco Leumi, oltre che di capi d’imputazione collegati. Analisti politici assicurano che quel che è in gioco è la sopravvivenza dell’esperimento «centrista» di Kadima i cui leader avrebbero già chiesto a Olmert di lasciare e permettere alla ministra degli Esteri, Tzipi Livni, l’unica a non essere attaccata dalle inchieste, a prendere le redini del potere.

 

  • Nepal. 18 gennaio. I maoisti mettono sotto chiave il proprio armamento. I maoisti nepalesi hanno iniziato ieri a depositare le loro armi in magazzini supervisionati dall’ONU, come parte del processo di pace. Le armi saranno conservate in contenitori con una sola serratura la cui chiave sarà in possesso degli stessi maoisti così come prevede l’accordo di pace. L’esercito nepalese depositerà in magazzini una quantità di armi analoga a quella depositata dai maoisti.

 

  • Cina. 18 gennaio. La Cina avrebbe compiuto il suo primo test missilistico di distruzione di un proprio satellite nello spazio. Ma Pechino non smentisce e non conferma. L’esperimento cinese è avvenuto l’11 gennaio scorso ma se n’è avuta la descrizione, ieri, sulla rivista American Aviation Week and Space Technology che cita fonti di intelligence. Secondo l’articolo un vecchio satellite meteorologico cinese in orbita dal 1999 sarebbe stato colpito a 800 chilometri di altezza nell’atmosfera da un missile balistico a medio raggio lanciato dal centro spaziale di Xichang. Proteste dagli Stati Uniti perché «lo sviluppo e la sperimentazione di simili armi non sono consone allo spirito di cooperazione cui aspirano entrambi i paesi nell’uso civile dello spazio». Poco dopo sono venute quelle di Australia, Canada e Giappone. Secondo alcuni analisti, Pechino, dimostrando la propria capacità di colpire nello spazio anche piccoli oggetti come i satelliti spia, fa capire che, nella nuova sfera di competizione militar/economica dello spazio, la Cina non intende essere ignorata nei nuovi equilibri geopolitici che si stanno determinando nell’uso dello spazio.

 

  • Cina. 18 gennaio. Il test cinese risponde così agli Stati Uniti che, nell’ottobre dello scorso anno, hanno elaborato e reso nota la loro “Politica spaziale nazionale”. La Casa Bianca comunicò al mondo di voler ignorare ogni appello alla proibizione globale della militarizzazione dello spazio. Nella nuova dottrina spaziale gli USA affermano infatti di «voler mantenere il diritto, la capacità e la libertà di azione nello spazio» e che «dissuaderanno o scoraggeranno chiunque vorrà impedire loro l’esercizio di questi diritti o svilupperà capacità con l’intenzione di farlo». Gli Stati Uniti avrebbero negato «agli avversari di esercitare attività spaziali ostili agli interessi statunitensi». Uno dei fattori che conferiscono agli Stati Uniti la supremazia nel settore militare è proprio la disponibilità di sistemi satellitari, con i quali le forze amate USA si garantiscono la superiorità nelle informazioni (grazie ai satelliti spia e a quelli per le comunicazioni) e l’estrema precisione di gran parte dei propri armamenti (grazie ai satelliti GPS). Le ricerche ed esperimenti –in corso negli States– di armi laser che dalla terra accechino o mettano fuori uso satelliti altrui, fa apparire primitivo, a detta di molti osservatori, il lancio cinese.

 

  • Paraguay. 18 gennaio. «Il Paraguay è vitale come punta di lancia per la destabilizzazione regionale». Ne è convinto Orlando Castillo, coordinatore supplente del Servizio Pace e Giustizia per l’America Latina, organizzazione presieduta dal premio Nobel Pérez Esquivel e che dal 1974 lavora per i diritti umani, l’educazione per la pace ed anche nella denuncia della presenza delle basi statunitensi nel continente. Il paese, uno dei più poveri del continente, è per la Casa Bianca lo snodo geostrategico per consolidare da qui la sua presenza militare nella regione con l’ambizione di recuperare il controllo del suo tradizionale cortile di casa. Membri delle Forze Speciali statunitensi starebbero addestrando l’esercito paraguaiano quantomeno nella lotta sovversiva, nella controguerriglia urbana e intelligence, nell’assistenza per l’esercizio della repressione interna.

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  • Irlanda del Nord. 19 gennaio. Adams vuole rendere partecipi i gruppi della dissidenza repubblicana degli obiettivi nelle negoziazioni con riunioni ad hoc con i rispettivi dirigenti. Il presidente del Sinn Fein, parlando nel corso di una serie di riunioni per discutere la proposta dell’esecutiva di sostenere il lavoro di una polizia nordirlandese rifondata, e rivolgendosi a questi gruppi (l’Esercito di Liberazione Nazionale d’Irlanda –l’INLA–, Continuity IRA e Real IRA) ha ricordato che «l’obiettivo di un’Irlanda unita non necessita adesso della lotta armata». Questo «obiettivo», ha precisato «continua ad essere assoluto, ma per il suo conseguimento non c’è adesso necessità della lotta armata». L’invito di Adams ai gruppi armati dissidenti repubblicani è di abbandonare la rispettive campagne militari perché «le condizioni che in passato hanno portato i repubblicani all’azione armata hanno registrato cambiamenti fondamentali». La lotta armata, ha proseguito, non è «un principio repubblicano», ma «l’ultima risorsa in caso di assenza di qualunque altra alternativa». Un’alternativa che Adams ritiene presente nelle attuali negoziazioni politiche.

 

  • Irlanda del Nord. 19 gennaio. Adams ha già iniziato a muoversi per assicurare la scarcerazione dei prigionieri politici di queste organizzazioni in riunioni con gli esecutivi irlandese e britannico. Secondo indiscrezioni non confermate si starebbe arrivando, intanto, ad una soluzione sulla situazione dei prigionieri politici nella prigione di Maghaberry e al trasferimento in Irlanda di quelli detenuti in Inghilterra. Adams si è detto pronto a «lavorare con le famiglie dei prigionieri che appartengono o appoggiano questi gruppi». Infine una critica politica. Nessuno dei gruppi che si oppongono alla strategia del suo partito ha, a sua volta, una strategia destinata a conseguire l’indipendenza ed unità d’Irlanda; di più: secondo Adams le «loro azioni sono controproducenti» ed ha citato la bomba di Omagh (15 agosto 1998, poche settimane dopo la firma degli Accordi del Venerdì Santo), nella quale 29 persone, «repubblicane e unioniste», persero la vita. Adams ha quindi apprezzato la decisione di alcuni membri del Sinn Féin –che, nei giorni scorsi, hanno lasciato le file del partito– di presentarsi alle prossime elezioni all’Assemblea Legislativa di Belfast. «Le elezioni sono l’arena nella quale mettere a confronto e verificare il consenso delle distinte visioni ed analisi politiche ed io sono impegnato a difendere, promuovere e avere il consenso per la strategia di pace del Sinn Féin ed il conseguimento degli obiettivi storici repubblicani: un’Irlanda libera ed unita e la fine del controllo britannico nel nostro paese».

 

  • Somalia. 19 gennaio. Secondo il presidente eritreo, Isaias Afewerki, le Corti Islamiche non sarebbero ancora state sconfitte. Non solo. Il leader eritreo ha anche consigliato a tutti i capi di stato dei paesi africani che hanno intenzione di inviare soldati in Somalia di fare molta attenzione «perché le Corti esistono ancora». Isaias Afewerki teme infatti che l’invio di un contingente militare di pace nel paese possa creare una situazione simile a quella irachena.

 

  • Giordania. 19 gennaio. Avviare un programma nucleare nel paese a fini pacifici e energetici. Lo ha detto in un’intervista al quotidiano israeliano Haaretz re Abdallah II di Giordania. «Volevano una zona nuclear free ma le cose sono cambiate. Dopo i fatti di quest’estate», ha detto Abdallah, «in Libano tutti voglio il nucleare. Le regole sono cambiate in tutta la regione».

 

  • Iraq. 19 gennaio. Secondo il presidente iracheno, Jalai Talabani, l’ex vice di Saddam Hussein, Izzat Ibrahim al Douri, sarebbe nascosto nello Yemen. «Si dice che al Dorui sia in Siria», ha affermato, «ma abbiano avuto informazioni sulla sua presenza nello Yemen. Da tempo riteniamo che sia lì e seguiamo i suoi movimenti». Dalla caduta di Saddam Hussein, molti esponenti del vecchio regime hanno trovato ospitalità nello Yemen. Al Douri è considerato da Washington il dirigente baathista più importante ancora in circolazione, nonché principale finanziatore della guerriglia baathista in Iraq.

 

  • Pakistan. 19 gennaio. Un gruppo di abitanti del Sud Waziristan ha condotto oggi alcuni giornalisti a Zamazola, dove un raid aereo ha ucciso circa 40 persone lunedì scorso. L’aviazione pachistana aveva annunciato di avere colpito un rifugio di al Qaeda, uccidendo una quarantina di militanti tra cui alcuni stranieri, nella zona montagnosa di Zamazola, a ridosso del confine afgano. Secondo gli abitanti della zona, però, le vittime del raid sarebbero «innocenti taglialegna» e non uomini di al Qaeda. Il raid inoltre sarebbe stato effettuato da aerei statunitensi, e non dall’aviazione pachistana. Alcuni reporter che si sono recati a Zamazola hanno riferito che sul posto ci sono ancora brandelli di corpi e due missili inesplosi, oltre ad altri due ordigni. «La provenienza dei missili non è chiara, uno era etichettato AM York 0873», ha dichiarato un giornalista.

 

  • Azerbaigian. 19 gennaio. Il ministro della Difesa dell’Azerbaigian ha dichiarato oggi che le forze armate dell’Armenia hanno ucciso un soldato azero nella zona di conflitto del Nagorno-Karabakh. Lo riferisce Radio Free Europe/Radio Liberty. Il ministero della Difesa dell’Armenia ha negato l’accaduto, affermando che i soldati armeni hanno il compito di preservare il cessate il fuoco del 1994. Il conflitto del 1991-94 tra Armenia e Azerbaigian per il controllo del Nagorno-Karabakh (regione azera a maggioranza armena) è costato 30mila morti e si è concluso con la vittoria armena e quindi con l’indipendenza dell’enclave, di fatto annessa all’Armenia. L’Azerbaigian non ha mai riconosciuto questo status quo.

 

  • USA. 19 gennaio. Il tenente Ehren Watada, il primo ufficiale statunitense a rifiutarsi di servire in Iraq, non potrà utilizzare l’argomento che la guerra era «illegale» nel processo davanti alla corte marziale, che inizierà il 5 febbraio. Lo ha deciso martedì scorso un giudice militare in un’udienza preliminare del suo caso. Secondo il giudice John Head, la legalità del conflitto è un argomento politico, sul quale una corte militare non può giudicare. Contro Watada, che ha 28 anni, sono stati emessi sei capi d’imputazione, tra cui il mancato dispiegamento e la condotta impropria per un ufficiale, perché ha espresso le sue ragioni a dei giornalisti e in una convention di veterani. Secondo l’avvocato del tenente, Eric Seitz, con questo verdetto «ci hanno tolto qualsiasi difesa».

 

  • Venezuela. 19 gennaio. Il Parlamento rafforza i poteri di Chávez. L’Assemblea Nazionale del Venezuela ha approvato ieri in prima istanza e all’unanimità un progetto di legge (la Ley Habilitante) che permetterà al presidente, Hugo Chávez, di legiferare per decreto, durante 18 mesi, in materie particolarmente sensibili. Undici i settori interessati: oltre a quello energetico, aggiunto all’ultimo momento dai legislatori, il presidente potrà legiferare su telecomunicazioni, difesa, economia, finanza, sicurezza e sistema giudiziario.

 

  • Venezuela. 19 gennaio. Il presidente venezuelano Hugo Chavez ha accusato la più grande compagnia di telecomunicazioni venezuelana, la CA Nacional Telefonos de Venezuela (la CANTV), di spiare le sue conversazioni per venderle agli Stati Uniti. L’accusa giunge a due settimane dall’annuncio della futura nazionalizzazione della compagnia. Dal summit dei paesi sudamericani del Mercosur, Chavez ha pronunciato parole dure. «Ho appena annunciato», ha detto il presidente, «il miglioramento dello stato della compagnia telefonica venezuelana. Chi la controlla? Il capitale nord americano. Hanno usato la compagnia telefonica venezuelana per registrare il presidente della Repubblica. Fratello, è l’impero!».

 

  • Euskal Herria. 20 gennaio. Il Tribunale Supremo spagnolo dichiara «terroriste» le organizzazioni giovanili abertzale Jarrai, Haika e Segi. Condanne di sei anni a ventitre giovani. Tre di loro sono già in prigione. Il pronunciamento è stato controverso ed ha necessitato di una serie di slittamenti temporali: tre giudici si sono alla fine espressi a favore, due contro. Il Tribunale corregge così la sentenza dello scorso anno dell’Audiencia Nacional che definì queste organizzazioni «illecite» ma non «terroriste». Tutto questo in nome della tesi del giudice Garzón, al tempo del Partito Popolare al governo, secondo cui «tutto è ETA». Secondo un’interpretazione «estensiva» iniziata da Garzón e fatta propria dalla Procura in questo ed altri procedimenti giudiziari, la coincidenza delle tesi e degli obiettivi politici basta perché una persona o una organizzazione sia da considerare «agli ordini di ETA». Il contenuto esatto della sentenza non è comunque ancora stato reso noto.

 

  • Euskal Herria. 20 gennaio. «Grave politica di vendetta» per cercare di frenare l’indipendentismo. Sono diffusi nei Paesi Baschi malumori e rabbia per la sentenza del Tribunale Supremo contro organizzazioni giovanile indipendentiste. Sconcerto addirittura nel governo autonomico basco. Reazioni negative anche da parte dell’Esquerra Republicana de Catalogna. Per il governo spagnolo, invece, la sentenza è «interessante»: parola della portavoce e vicepresidentessa dell’Esecutivo del PSOE, María Teresa Fernández de la Vega, secondo la quale «studieremo il suo contenuto perché sicuramente ci apporterà cose importanti». Esulta il Partito Popolare (PP): «Tutti con il Tribunale Supremo», ha detto, a nome del PP, colui che fu ministro dell’Interno nel governo Aznar. Acebes ha quindi puntato il dito contro il resto delle organizzazioni della sinistra abertzale, includendo il partito Euskal Herrialdeetako Alderdi Komunista (EHAK), nonostante sia stato proprio il ministero dell’Interno di Acebes ad accettare la sua iscrizione legale. Secondo il leader del PP si deve illegalizzare quella formazione adesso per «non permettere che Batasuna si mostri alla società come partito».

 

  • Nigeria. 20 gennaio. Roberto Dieghi, uno dei tecnici dell’Agip sequestrati in Nigeria lo scorso 7 dicembre è tornato in Italia nella serata di ieri. Dieghi, che inizialmente aveva manifestato l’intenzione di rimanere in Nigeria per collaborare con le autorità al fine di ottenere la liberazione dei compagni di prigionia, è stato convinto a rientrare per ragioni legate alla sicurezza e alla sua salute. Alle autorità italiane il tecnico dell’Agip ha raccontato dettagli sulla prigionia e ha dichiarato di essere stato trattato bene. I rapitori, i guerriglieri del movimento per la liberazione del delta del Niger, Mend, chiedono la liberazione di alcuni loro compagni detenuti e una diversa distribuzione dei proventi del petrolio, oggi appannaggio delle multinazionali internazionali.

 

  • Somalia. 20 gennaio. Attacco a convoglio etiopico: quattro morti. È l’ultimo della serie compiuto oggi a Mogadiscio contro un convoglio di mezzi blindati etiopici. Una decina i feriti. Gli attentatori, che hanno esploso colpi d’arma pesante, avrebbero fatto in tempo a fuggire. Nella tarda serata di ieri colpi di mortaio hanno colpito la residenza del presidente della repubblica, Yusuf, senza causare vittime.

 

  • Libano. 20 gennaio. Lanciata la “fase due” della protesta a seguito di una riunione intercorsa tra i leader di Hezbollah e Michel Aoun, fase in cui dovrebbe farsi più insistente la pressione sul governo attraverso manifestazioni quotidiane e presidi di fronte ai ministeri e agli uffici statali, fino ad azioni che potrebbero culminare nella paralisi del paese coinvolgendo porti e aeroporti.

 

  • Libano. 20 gennaio. L’opposizione libanese guidata dal movimento sciita Hezbollah ha indetto uno sciopero generale in tutto il paese. In un comunicato dell’Unione generale dei sindacati, si precisa che lo sciopero generale del 23 gennaio ha l’obiettivo di «ribadire l’opposizione al piano economico» presentato dal governo del premier Fouad Siniora in vista della Conferenza dei paesi donatori in programma giovedì prossimo a Parigi e di far fronte «alla rigidità e cecità del gruppo golpista» di Siniora.

 

  • Libano. 20 gennaio. I sindacati si uniscono alle forze politiche d’opposizione contro le riforme economiche che il governo Siniora ha approvato in vista di Parigi III, la Conferenza Internazionale dei paesi donatori che il 25 gennaio si terrà a Parigi per far fronte alla ricostruzione del Libano, a seguito della guerra contro Israele, e alla sua difficile situazione economica. Il governo Siniora ha approvato un piano quinquennale di riforme politiche e sociali che includono un programma di privatizzazioni, a partire dal settore della telefonia. Riforme cui sono vincolati gli ingenti stanziamenti internazionali che verranno erogati a Parigi.

 

  • USA. 20 gennaio. Il Pentagono avalla le prove ottenute sotto tortura. I giudici potranno decidere di utilizzare voci raccolte sul campo di battaglia e confessioni estorte con la forza come prove giudiziarie in grado di portare al patibolo i detenuti di Guantanamo. È questo il provvedimento più controverso contenuto nel nuovo “Manuale per i Tribunali Militari” (238 pagine), divulgato ieri, nel quale il Pentagono ha raccolto le norme che dovranno regolare il funzionamento delle Commissioni militari, gli organismi che decideranno il destino di una parte dei 395 prigionieri del carcere statunitense che in cinque anni di vita ha raccolto la condanna unanime degli organismi per la difesa dei diritti dell’uomo e imbarazzato molti alleati di Washington.

 

  • Venezuela. 20 gennaio. Un socialismo che si basi sui successi e sugli errori del passato, sul pensiero del Libertador Simón Bolívar, sui concetti collettivistici degli indigeni e sui principi di giustizia sociale del cristianesimo originario. Una nuova tappa nell’approfondimento della politica applicata negli ultimi otto anni che si è appoggiata sulla migliore distribuzione della rendita petrolifera nazionale. È il modello socialista tracciato nelle sue grandi linee dal presidente Hugo Chávez. Si ritiene necessaria una riforma strutturale per sradicare problemi ereditati come la disoccupazione e la povertà, partendo dall’assunto che la soluzione non sta nei meccanismi del capitalismo e del neoliberismo. Lo stesso Chávez ha confessato pubblicamente che, nel 1994-1995, pensava ad un’idea di Terza Via, «un capitalismo dal volto umano, o capitalismo sociale, una terza via tra socialismo e capitalismo. Con il passar degli anni mi sono convinto che questo era impossibile: un capitalismo umano è una contraddizione in termini». Per ottenere il benessere non solo economico della nazione, Chávez sintetizza con le parole con cui si è presentato ed è stato rieletto per il nuovo mandato 2007-2013: «Patria, Socialismo o Muerte».

 

  • Palestina. 21 gennaio. Gaza è tutto un tunnel. Il presidente Abu Mazen è allarmato dalla vastità delle rete di tunnel approntata da Hamas sotto Gaza. Uno di questi tunnel è stato scoperto per caso nei giorni scorsi in seguito al crollo di una strada dove era transitato un mezzo pesante. Hamas ha ribadito che i tunnel sono stati scavati per ostacolare l’avanzata di blindati israeliani.

 

  • Israele / Palestina. 21 gennaio. «Abbattere il governo di Hamas deve essere il nostro obiettivo principale», ha detto l’ex premier israeliano Netanyahu. «Non negoziati e nemmeno nuove concessioni», ha aggiunto il leader del Likud, «Solo la caduta del governo Hamas permetterà che emergano forze moderate fra i palestinesi».

 

  • Iraq. 21 gennaio. I sadristi rientrano al governo. Dopo l’uscita da Parlamento e governo (32 parlamentari e 6 tra ministri e sottosegretari), il 29 novembre scorso, per protestare contro l’incontro tra il premier Nouri al-Maliki e Bush, Moqtada al Sadr ha deciso: i sadristi tornano a «partecipare al processo politico» in Iraq. Raggiunto un compromesso con il presidente del Parlamento, il sunnita Mahmoud al-Mashadani. I particolari non sono noti, ma tra le richieste di Moqtada accolte c’è la discussione di un calendario per il ritiro dei soldati statunitensi. Anch’essa compresa tra quelle indicate dal sunnita al-Mashadani come «legittime e nell’interesse nazionale».

 

  • Iraq. 21 gennaio. Religiosi sciiti e sunniti, riuniti ieri in Qatar, hanno invitato gli iracheni a riunirsi contro «il nemico comune, gli Stati Uniti». La conferenza ha come obiettivo studiare possibili soluzioni agli scontri tra sunniti e sciiti in Iraq. Lo sceicco Yusef al Qaradawi, importante religioso sunnita iracheno, «sebbene noi non si sia d’accordo sulle politiche dell’Iran in Iraq» ha sottolineato l’importanza di «lottare contro il nostro autentico nemico». Per lo sceicco ayatollah Mohamed Alí Tasjiri gli Stati Uniti e non l’Iran sono responsabili del conflitto religioso in Iraq. «Gli Stati Uniti sono interessati a mettere sunniti contro sciiti e viceversa. Stanno aizzando gli estremisti di entrambe le parti».

 

  • Iran. 21 gennaio. La televisione di Stato iraniana annuncia che sono in programma per oggi dei test missilistici con vettori a corta gittata e altre manovre militari dell’esercito iraniano. Si tratta della prima esercitazione militare dall’imposizione delle sanzioni del consiglio di sicurezza dell’ONU, contro il programma nucleare di Teheran.

 

  • Iran. 21 gennaio. Ridurre la dipendenza dell’economia dalle entrate petrolifere. È l’intento del presidente iraniano Ahmadinejad, per resistere anche di fronte a eventuali piani dell’amministrazione statunitense di far abbassare il prezzo del greggio. Intanto Ahmadinejad ha limitato le entrate nel petrolio nel bilancio dello Stato calcolando il greggio al prezzo di 33,70 dollari al barile.

 

  • USA. 21 gennaio. Varare una coalizione anti-iraniana tra i governi arabi più conservatori e contribuire al finanziamento all’armamento delle milizie anti-Hezbollah e anti-Hamas in Libano e in Palestina. Questo, secondo quanto scrive l’ex-assistente segretario di stato James Dobbins sul New York Times, il vero scopo del viaggio del segretario di Stato Condoleezza Rice in Medio Oriente, ufficialmente destinato a far ripartire il negoziato della road map tra Israele e Palestina.

 

  • Afghanistan / Pakistan. 21 gennaio. Secondo il presidente afghano, Hamid Karzai, alcuni circoli pakistani proteggono gli insorti taliban e fomentano la violenza in Afghanistan. Nel suo discorso in occasione dell’apertura dell’anno parlamentare a Kabul, Karzai ha anche detto che a fomentare la violenza nel Paese contribuiscono anche la droga (la cui produzione è ripresa in grande stile dopo gli accordi tra “signori della guerra” locali anti-taliban e autorità statunitensi, ndr) e la corruzione nell’amministrazione, esprimendo anche il timore che la situazione possa peggiorare ulteriormente nel 2007.

 

  • Spagna. 22 gennaio. Migliaia di persone hanno manifestato ieri a Saragozza contro l’installazione di una base di sorveglianza aerea della NATO alla periferia della città. I rappresentanti di Chunta, partito alleato dei Socialisti all’interno della giunta comunale, hanno ricordato la “servitù militare” di Saragozza, che ha destinato il 30% del suo territorio alla Difesa spagnola, sottolineando come la creazione della nuova base atlantica impedirebbe la costruzione di un aeroporto civile in quella città.

 

  • Russia. 22 gennaio. Lo “scudo anti missile” USA in Europa è una «minaccia per Mosca». Il progetto di Washington di installare sistemi anti missile in Polonia e nella Repubblica Ceca è «una chiara minaccia per la Russia». Lo ha dichiarato oggi il generale russo Vladimir Popovkin, comandante della divisione dell’esercito responsabile della tecnologia spaziale. Ieri un portavoce del Dipartimento di stato USA ha reso noto che Praga e Varsavia sono d’accordo per avviare colloqui dettagliati con Washington per installare una stazione radar nella Repubblica Ceca e una postazione antimissilistica in Polonia (alloggiamenti sotterranei per 10 missili intercettori). Secondo Popovkin «si stenta a credere che la traiettoria dei missili nordcoreani e iraniani passi attraverso la Polonia e la Repubblica Ceca (Washington ha favoleggiato di supposte intenzioni aggressive missilistiche di Corea del Nord ed Iran contro imprecisati paesi euroepi, ndr)».

 

  • Israele. 22 gennaio. Le forze di Difesa israeliane hanno ammesso ieri che i 44 blocchi che avevano dichiarato di aver rimosso attorno ai villaggi della Cisgiordania in realtà non erano più presenti da tempo. Lo scorso martedì Israele aveva annunciato di aver smantellato le barriere che bloccavano l’accesso di alcune strade della Cisgiordania, per tener fede agli accordi presi col presidente palestinese, Mahmoud Abbas, lo scorso mese. Il primo ministro israeliano, Ehud Olmert, aveva promesso che avrebbe preso dei provvedimenti per facilitare la vita ai civili palestinesi. In realtà molti blocchi non sono mai stati rimossi, visto che quelli dichiarati non c’erano più già da mesi.

 

  • Iraq. 22 gennaio. Un Comitato Federale presieduto dal primo ministro in carica con il compito di rivedere i contratti in vigore siglati dal precedente regime e dal governo regionale curdo. È l’intesa sulla bozza finale della nuova legge sul petrolio che definisce le regole per la distribuzione delle entrate del greggio. Deve ora essere approvata dal governo e quindi dall’Assemblea Nazionale. La bozza, preparata dagli esperti USA della BearingPoint, è stata elaborata con la consulenza delle stesse multinazionali del petrolio e l’avallo del Fondo Monetario Internazionale, e non a caso contempla i Production Sharing Agreement (PSA), contratti che cedono i diritti di estrazione e le rendite ai privati che investono nel paese. Lo Stato manterrebbe la proprietà del petrolio, ma darebbe una quota dei profitti alle società che investono in infrastrutture, operatività dei pozzi, oleodotti e raffinerie. La legge stabilisce, poi, un meccanismo per centralizzare i proventi derivanti dalla vendita del greggio e distribuirli alle varie regioni secondo il numero di abitanti di ciascuna di esse: nello specifico, le varie province potranno trattare con le compagnie petrolifere straniere e anche accordarsi, ma ogni intesa dovrà poi essere approvata a livello centrale dal Consiglio Federale del Petrolio e del Gas, istituito il giorno dopo la stesura finale della bozza di legge.

 

  • Cina / Taiwan. 22 gennaio. La Cina sta puntando più di novecento missili a corto raggio su Taiwan, che considera un’isola ribelle. Lo riferisce il quotidiano taiwanese United Daily News, citando una fonte dei servizi segreti statunitensi. Questa cifra includerebbe gli M-9, di circa 950 chilometri di portata, e gli M-11 di 500. Responsabili della difesa di Taiwan hanno ammesso al quotidiano, sotto copertura dell’anonimato, che i 200 missili dispiegati sull’isola non potrebbero nulla contro la potenza del fuoco cinese. La Cine ha sempre considerato Taiwan come parte integrante del suo territorio e regolarmente minaccia l’isola di reprimere prima o poi ogni velleità indipendentista. Taiwan è separata di fatto dalla Cina dal 1949, quando il precedente regime cinese si è rifugiato sull’isola davanti all’avanzare delle truppe maoiste.

 

  • USA. 22 gennaio. L’invio di un altro gruppo navale portaerei nel Golfo Persico (mentre le operazioni attuali in Iraq non richiedono l’uso di tanti velivoli), l’invio di missili Patriot, la nomina di un ammiraglio della Marina a capo del Central Command USA, sono tutti chiari segnali dell’intenzione di attaccare a breve Teheran. Lo ha detto il generale Joseph P. Hoar in una delle audizioni che la commissione Affari Esteri del Senato e quella sulle forze armate USA stanno conducendo per capire quanto la Casa Bianca sia determinata a passare all’azione. Secondo Hoar, solo l’annuncio di un prossimo ritiro delle truppe USA dall’Iraq manderebbe un segnale di completo cambio di rotta, aprendo la possibilità ad efficaci colloqui a livello diplomatico, dato «l’inganno, l’incompetenza e lo stupefacente fallimento dell’Amministrazione Bush nel comprendere quella regione». Per il Generale Barry Richard McCaffrey l’intenzione di allargare all’Iran il già disastroso conflitto in Iraq sarebbe una «follia assoluta», una «totale insensatezza», dal momento che ci sono 150mila militari statunitensi in Iraq che dipendono da linee di rifornimento che si estendono per 400 chilometri, in un territorio ad assoluta maggioranza sciita. McCaffrey ha aggiunto che, se questi piani andranno avanti, essi saranno «il più grande errore di pensiero strategico dalla fine della seconda guerra mondiale». In questi giorni i media statunitensi, in particolare il Washington Post, sono pieni di articoli volti a creare il clima di sospetto nei confronti di Teheran, puntando a dare per ormai inevitabile un confronto militare con l’Iran, con l’intenzione di scoraggiare sia il Congresso che il pubblico statunitense a fare una seria opposizione.

 

  • Bolivia. 22 gennaio. E ora nazionalizzare le miniere. Festeggiando il suo primo anno al Palacio Quemado di La Paz, Evo Morales ha annunciato una serie di misure tendenti ad approfondire la trasformazione del paese. Tra queste la nazionalizzazione delle miniere e l’assunzione da parte dello Stato del controllo delle imprese capitalizzate. Nel 2006 il valore dei prodotti minerari inviati all’estero si è aggirato intorno ai 1.100 milioni di dollari, ma solo l’1,5% di questa cifra è finito nelle casse statali. Morales intende elevare questa percentuale ad almeno il 50%, oltre a porre limitazioni all’esportazione di materie prime per promuovere l’industrializzazione. Intanto sembra allentarsi la tensione nel dipartimento di Cochabamba, dopo la proposta del presidente Morales di affidare la soluzione al responso delle urne.

 

  • Irlanda del Nord. 23 gennaio. La polizia era complice degli omicidi unionisti. Per almeno una dozzina d’anni, fra il 1991 e il 2003, in Irlanda del Nord i vertici della polizia furono complici delle milizie unioniste protestanti: in particolare della Forza dei Volontari dell’Ulster ora fuori legge. I poliziotti, col beneplacito dei superiori, proteggevano i criminali dalle indagini e distruggevano le prove a loro carico La denuncia viene dal Difensore del Popolo Nuala O’Loan in un rapporto ufficiale, 160 pagine stilate al termine di un’inchiesta durata tre anni e mezzo. Per Gerry Adams, presidente del Sinn Féin, «è appena la punta dell’iceberg di una vera e propria guerra del terrore, condotta contro i repubblicani e i nazionalisti irlandesi per molto tempo».

 

  • Francia. 23 gennaio. Ségolène Royal ha scatenato una polemica in Canada. André Boisclair, che nel paese nordamericano guida il Partito del Québec (una formazione indipendentista), ha cominciato ieri una visita in Francia, dove ha incontrato la candidata socialista alla presidenziale 2007. La Royal si sarebbe pronunciata a favore dei «valori comuni» a Francia e Québec, rivendicando in modo particolare la «libertà e la sovranità» della provincia francofona del Canada. Queste sue dichiarazioni hanno indignato il premier canadese, che ritiene «inappropriato impicciarsi degli affari democratici di un altro paese». Riporta la notizia il quotidiano francese Le Monde.

 

  • Somalia. 23 gennaio. Sheikh Sharif Sheikh Ahmed si è consegnato alle autorità del Kenya. Volto “moderato” delle Corti, spesso contrapposto agli elementi più duri (come Hassan Dahir Aweys), Sheikh Ahmed potrebbe essere cooptato in un governo di unità nazionale che però è visto dal premier Ali Mohamed Gedi come il fumo negli occhi. Secondo indiscrezioni di stampa anche locale, Sheikh Ahmed si trova a Nairobi, con il benestare di Washington, dal 15 gennaio scorso, forse anche prima. Risiede al Serena Hotel, elegante albergo del centro della capitale, sotto buona scorta. Pare anche abbia effettuato viaggi in Yemen, paese che ospita altri importanti leader islamici moderati. Si ritiene che la quasi formalizzazione della sua supposta resa sia dovuta al fatto che il suo ruolo è ritenuto centrale per la creazione di un governo somalo di ampia unità. Washington si è esplicitamente dichiarata a favore di un esecutivo che comprenda l’ala moderata islamica, citando proprio il nome di Sheikh Ahmed come interlocutore utile. La cu