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La scalata di Negroponte e la nuova strategia Usa in Iraq

di Gian Paolo Pelizzaro - 08/02/2007

 

 

John Negroponte lascia l’incarico di direttore generale dell’intelligence nazionale e passa al Dipartimento di Stato come numero due di Condoleezza Rice. Si tratta di un passo molto importante per il nuovo corso della politica estera degli Stati Uniti e che, molto probabilmente, avrà ricadute tangibili anche sugli sfilacciati rapporti tra Unione europea e Stati Uniti.

La nomina - ufficializzata la mattina del 5 gennaio, nel corso del vertice nella Sala Roosevelt alla Casa Bianca, presieduto dal presidente George W. Bush e al quale hanno partecipato il vice presidente Dick Cheney e il segretario di Stato Rice - ha preceduto di pochi giorni l’annuncio dell’amministrazione americana di una nuova strategia finalizzata, prima di tutto, ad uscire dal pantano iracheno (il bilancio dei militari morti in Iraq a gennaio ha superato quota tremila). La sera del 10 gennaio, infatti, il presidente Bush ha dichiarato, in un discorso al Paese, che «la situazione in Iraq è intollerabile per il popolo americano, ed è intollerabile per me». Ha aggiunto che se sono stati fatti degli errori, la responsabilità è sua e che, comunque, anche se la nuova winning strategy verrà attuata perfettamente secondo i piani, le violenze, gli attentati e gli attacchi suicidi non cesseranno, con un prevedibile aumento delle vittime anche fra i militari americani.

Tuttavia, il passaggio cruciale del discorso di Bush è quello in cui il presidente afferma che se da un lato non c’è una formula magica per il successo di questa campagna, dall’altra il fallimento in Iraq sarebbe un disastro per gli Stati Uniti. Una battuta d’arresto o peggio un ripiegamento dal fronte iracheno, oggi, porterebbe al collasso del governo iracheno del primo ministro Nouri al Maliki (al quale la Casa Bianca ascrive una parte importante della responsabilità nella buona riuscita di questa nuova strategia), facendo a pezzi il Paese, scatenando un aumento delle uccisioni di massa su scala inimmaginabile. Ecco perché Bush ha annunciato un massiccio appesantimento della presenza militare americana in Iraq, con l’invio di un ulteriore contingente di oltre 21mila uomini che dovranno contribuire alla stabilizzazione del Paese, coadiuvando le forze di sicurezza irachene. E fra i protagonisti di questa fase, in un rinnovato scenario tattico-strategico, c’è proprio Negroponte, il quale torna, in questo modo, sulla scena da dove era venuto: al Dipartimento di Stato dove, nel 1960, aveva iniziato la sua brillante carriera come funzionario del ministero degli esteri durante la presidenza di Dwight D. Eisenhower.

«John Negroponte», ha detto Bush durante il discorso di nomina, «conosce bene il Dipartimento di Stato. Nel corso degli ultimi quattro decenni e mezzo, egli ha servito la nostra Nazione in otto diversi uffici del foreign service, abbracciando tre continenti. Ha ricoperto l’incarico di vice consigliere per la sicurezza nazionale con il presidente Reagan. Ha rappresentato l’America alle Nazioni unite. È stato il nostro primo ambasciatore nell’Iraq liberato. E per circa due anni, John ha svolto un superbo lavoro come primo direttore nazionale dell’intelligence americana. Tutto questo fa di John Negroponte una splendida scelta come vice segretario di Stato». Il posto di direttore dell’intelligence nazionale lasciato dall’ambasciatore Negroponte è stato assegnato al vice ammiraglio Mike McConnell, già capo della National Security Agency. Un cambio al vertice che apre una serie di prospettive, sulle quali si è interrogata soprattutto la stampa statunitense. Il New York Times, ad esempio, ha voluto sottolineare che questo avvicendamento nella super struttura di vertice (l’Office of the Director of National Intelligence - Odni) creata sull’onda dello shock post 11 settembre (o meglio, istituita al termine dei lavori della Commissione nazionale d’inchiesta sugli attacchi al World Trade Center e sul Pentagono, proprio perché nelle evidenze conclusive il rapporto finale stigmatizzava, fra l’altro, una grave carenza di coordinamento e cooperazione fra le varie agenzie di intelligence americane) ed entrata in azione, in termini operativi, la mattina del 22 aprile 2005, è sopraggiunta in un momento assai delicato, proprio quando il nuovo apparato (new intelligence burocracy) stava dando i primi risultati sul piano pratico. Una struttura che avrebbe dovuto dare una risposta rapida, concreta ed efficace alle esigenze di centralizzazione delle informazioni e delle analisi, istituendo un coordinamento dell’attività delle sedici agenzie di intelligence americane (vedi box), ma che lo stesso Negroponte ha avuto a malapena il tempo di metterla il moto.

Nonostante alcune maliziose interpretazioni secondo le quali questa nomina sarebbe una sorta di affiancamento-commissariamento dell’attuale segretario di Stato, in verità è stata la stessa Condoleezza Rice a chiedere con insistenza di colmare il vuoto, sollecitando proprio la nomina di Negroponte a numero due del Dipartimento di Stato. L’incarico è rimasto vacante dalla scorsa estate. La situazione si è complicata, infatti, dopo le dimissioni di Robert B. Zoellick il quale - nel luglio 2006 - ha preferito lasciare il posto di vice segretario di Stato per un lavoro di certo più remunerativo ai vertici della Goldman Sachs. A complicare il quadro ci ha pensato, infine, il professor Philip D. Zelikow, il quale ha lasciato il posto di consigliere del Dipartimento di Stato. Ciò spiega perché, da mesi, la Rice stesse spingendo per una nomina autorevole e che fosse, soprattutto, ben vista anche dai democratici i quali (da novembre) hanno la maggioranza alla Camera dei Rappresentanti.

Dopo 19 mesi, Negroponte lascia pertanto il suo ufficio alla Bolling Air Force Base, sede del direttore dell’intelligence nazionale, per affrontare un nuovo, difficile terreno di sfida. Ad una super potente, ma fredda e tecnica posizione di numero uno dell’intelligence, Negroponte ha dunque scelto un ruolo in apparenza di secondo piano come numero due del Dipartimento di Stato, ma con un profilo molto più politico e di influenza nell’azione di governo. E le novità, in questo senso, non si sono fatte attendere. Tre giorni dopo l’annuncio della nuova nomina, l’aeronautica americana ha bombardato alcuni obiettivi nel Sud della Somalia, vicino al confine con il Kenya, per disarticolare una delle più pericolose cellule di al Qaeda attive nel Corno d’Africa. I raid dell’8 gennaio sono stati facilitati non solo da una richiesta di aiuto da parte delle nuove forze governative (il presidente somalo Ahmed Abdullahi Yusuf ha accolto con favore l’intervento militare americano) che, spalleggiate anche dagli alleati etiopici, hanno dato la spallata finale al regime delle Corti islamiche e alle loro milizie, ma soprattutto da una grande operazione della Cia che da mesi stava lavorando per agevolare la messa in moto del rullo compressore in Somalia a dicembre. L’avvento di Negroponte al Dipartimento di Stato (ci limitiamo a registrare la coincidenza cronologica) sembra aver spianato la strada alle missioni che sono sfociate con i blitz dell’aeronautica militare statunitense.

Secondo fonti dell’amministrazione americana, citate sempre dal New York Times, Condoleezza Rice gradirebbe che Negroponte si concentrasse sulla Cina e la Nord Corea , oltre che sull’Iraq: Paese, questo, che il nuovo numero due del Dipartimento di Stato conosce molto bene, essendo stato il primo ambasciatore Usa nell’Iraq post Saddam Hussein. Da parte sua, il segretario di Stato, riorganizzate deleghe e competente, vorrebbe dedicarsi al Medio Oriente e in particolare al conflitto israelo-palestinese, questioni sulle quali indirizzare gli sforzi e le iniziative diplomatiche per una ripresa dei negoziati di pace. Ma molto più probabilmente, questa mossa potrebbe preludere ad una prossima uscita di scena della stessa Rice, la quale, secondo alcune indiscrezioni, sarebbe intenzionata a lasciare il Dipartimento di Stato per un nuovo incarico ancora top secret.

Un dato è certo: l’amministrazione Bush, dopo la sbornia dei falchi neocon, potrà contare, oggi più che mai, di una visione molto più “realistica” dei fatti e degli equilibri che più turbano l’inquilino della Casa Bianca. E questo proprio grazie al profilo di politico-diplomatico di Negroponte, un uomo abituato a riflettere prima di agire, il quale non solo può contare su un patrimonio di conoscenze straordinario, ma è anche in grado di avere dalla sua i vertici degli apparati di intelligence. E questo non è un aspetto di poco conto, se si considera quanto ha inciso il disallineamento tra le esigenze dell’amministrazione (o almeno una parte di essa) e quelle dei servizi segreti i quali - molto spesso - hanno dovuto in qualche modo assecondare alcune scelte poco ortodosse del governo. O viceversa. La comunità diplomatica internazionale (Italia in testa) farà ora i conti con un Dipartimento di Stato molto più “pesante” rispetto a quello che abbiamo conosciuto fino a poche settimane fa.

John Dimitri Negroponte nasce a Londra il 21 luglio 1939 da una potente famiglia greca: il padre, Dimitri John, era un magnate dell’industria navale, mentre Catherine Coumantaros è il nome della madre. Fedele alla tradizione familiare e alle sue origini, Negroponte è di religione greco ortodossa. Nel 1956 si laurea alla Phillips Exeter Academy e nel 1960 all’Università di Yale. E proprio nel 1960 che fa il grande balzo nel mondo della politica e del potere: entra, infatti, nel servizio diplomatico e viene assegnato prima come vice console ad Hong Kong (1961-1963) e quindi secondo segretario all’ambasciata americana a Saigon (1964-1968), in piena guerra del Vietnam. Un battesimo del fuoco che segnerà la sua vita. Dal 1971 al 1973, è stato senior officer del National Security Council e in tale veste riferiva direttamente e periodicamente all’allora segretario di Stato, Henry Kissinger. Dal 1973 al 1975, è stato consigliere politico a Quito, in Ecuador. Dal 1975 al 1977, consigliere generale a Salonicco, in Grecia. Nel dicembre del 1976, si sposa con Diana Mary Villers. Dal 1977 al 1979, è vice assistente del segretario di Stato per gli Affari oceanici e la pesca.

Il salto di qualità si registra sotto l’amministrazione Reagan, quando nel 1981 Negroponte viene promosso ambasciatore americano a Tegucigalpa in Honduras (incarico che manterrà fino al 1985). Durante il suo mandato, sembra che abbia sostenuto l’aumento da quattro a 77,4 milioni di dollari annui in finanziamenti militari in Honduras, all’epoca governato da una giunta militare di destra. Sempre secondo il New York Times, l’ambasciatore Negroponte sarebbe responsabile di aver «condotto la strategia occulta dell’amministrazione Reagan per sconfiggere il governo sandinista in Nicaragua». A parte queste accuse, che peraltro non sono mai state provate, Negroponte avrebbe fatto da supervisore alla costruzione della base aerea di El Aguacate, dove i Contras furono addestrati dagli Usa durante gli anni Ottanta.

In Honduras, in quel periodo c’è anche Bill Seldon Lady, padre di Bob, capo stazione della Cia di Milano fino al settembre 2004 (oggi imputato a Milano per la vicenda di Abu Omar), il quale nasce a Tegucigalpa il 2 febbraio 1954.

Era dal 1946 che Bill Seldon Lady risiedeva in quel Paese, dopo aver lasciato la Florida. Originario dell’Arkansas, Lady gestiva una serie di attività, fra cui una compagnia area (i cui aeromobili secondo alcuni sarebbero stati noleggiati dalla Cia per operazioni clandestine contro il regime sandinista) che collegava l’arcipelago delle isole tropicali Bay alla terraferma, e un’impresa agricola nei pressi di Danli, nel dipartimento di El Paradiso, all’epoca baricentro delle attività dei Contras. Lady era un ricercatore minerario, con una particolare competenza sulla morfologia dei terreni e sulla geologia dell’Honduras dell’Est.

Aveva a lungo studiato e sondato, infatti, i terreni della provincia di Olancho, proprio ad Est del Paese, e in parte anche al confine con il Nicaragua: territori, questi, a lungo teatro di scontri tra Contras e guerriglieri sandinisti. Il figlio di Bill, Bob, dopo aver servito come poliziotto nel Dipartimento di polizia di New York, viene arruolato nella Cia proprio in America Latina nel 1984. Come uomo d’azione in quel difficile teatro, Bill Seldon Lady entrò di certo in contatto con i rappresentanti dell’amministrazione americana in Honduras, all’epoca, come sappiamo, impegnate in una serie di emergenze di primo livello.

Fu anche grazie a questi rapporti che il figlio riuscì a farsi assumere dalla Compagnia. E fu sempre in Honduras che l’attuale numero due del Dipartimento di Stato collaborò per la prima volta con l’allora direttore esecutivo della Cia, Kyle Dusty Foggo.

Dopo la parentesi onduregna, Negroponte viene richiamato a Washington per assumere l’incarico di assistente del segretario di Stato per gli Affari ambientali, scientifici e oceanici (1985-1987). Dal 1987 al 1989, è vice assistente del presidente degli  Stati Uniti per la sicurezza nazionale. Dal 1989 al 1993, è stato ambasciatore americano in Messico dove sembra che abbia diretto, fra l’altro, dalla sede super blindata dell’ambasciata Usa di Città del Messico, una serie di attività di assistenza e supporto dei servizi d’intelligence americani alle autorità messicane impegnate nel contrasto dell’insorgenza zapatista nel Chapas. Dal 1993 al 1996, ha ricoperto l’incarico di ambasciatore Usa a Manila, nelle Filippine.

Nel 1996, viene trasferito a Panama, come coordinatore speciale dopo il trasferimento, alla fine del 1999, dell’intero Canale e di tutte le sue strutture di supporto, nonché delle rimanenti basi militari americane alle autorità panamensi. Nel 1997, dopo essere sfumata la sua candidatura ad ambasciatore americano ad Atene, lascia l’amministrazione per salire ai vertici della società McGraw-Hill che si occupa di servizi finanziari, assistenza e business information sui mercati globali (al gruppo fanno capo, fra l’altro, anche Standard & Poor’s e Business Week) con sede a New York. Nel febbraio del 2001 viene richiamato dal presidente George W. Bush per tornare in diplomazia e assumere l’incarico di ambasciatore Usa all’Onu: nomina che viene ratificata dal Senato il 15 settembre 2001 (quattro giorni dopo gli attacchi terroristici al World Trade Center e sul Pentagono).

Il 19 aprile 2004, Negroponte viene nominato ambasciatore americano in Iraq, dopo il passaggio dei poteri e della sovranità alle nuove autorità irachene subentrate al deposto regime di Saddam Hussein. L’incarico viene confermato dal Senato il 6 maggio e presta giuramento il 23 giugno, subentrando a Paul Bremer come funzionario civile più alto in grado in Iraq. In qualità di ambasciatore in Iraq, Negroponte si trova a capo del contingente diplomatico americano più grande al mondo. Lascerà questo delicatissimo incarico, come abbiamo visto, nell’aprile del 2005, per assumere la direzione dell’intelligence nazionale alla quale è stato demandato il compito di centralizzare la raccolta informativa da parte delle varie strutture e agenzie della sicurezza nazionale e che, attraverso il suo direttore, in un briefing mattutino, informa personalmente il presidente sulle varie questioni di interesse, attraverso rapporti informativi, analisi e valutazioni strategiche (incarico che spettava al direttore della Cia).

Oggi il vecchio Negroponte (ha 67 anni) è al Dipartimento di Stato dove porterà tutta la sua influenza ed esperienza acquisite in questi anni in giro per il mondo. Di certo, si occuperà, anche per ragioni campanilistiche, dell’ultima emergenza in Grecia: l’ambasciata Usa di Atene, infatti, all’alba del 12 gennaio è stata attaccata con razzi di tipo Rpg7 di fabbricazione cinese (una copia di un razzo sovietico del 1974) da un gruppo di estrema sinistra che ha rivendicato l’azione col nome di Lotta rivoluzionaria (molto probabilmente spezzoni dell’organizzazione 17 novembre, disarticolata in gran parte tra il 2002 e il 2003). Il Dipartimento di Stato, infatti, ha fatto sapere che le autorità americane stanno indagando insieme a quelle elleniche.

Un altro americano di origini greche, insomma, che lascia una grande impronta nella storia dell’intelligence degli Stati Uniti e non solo. Viene alla memoria, infatti, accanto al nome di Negroponte, quello di Thomas Hercules Karamessines, nato nel 1917 da una famiglia di origini elleniche, il quale venne assunto, proprio per la sua profonda conoscenza della lingua e della cultura greche, nell’Oss (Office of Strategic Service, la madre della Cia). Nel 1948, entrò nei ranghi nella neonata agenzia di intelligence, lavorando sotto Frank Wisner, capo dell’Office of Policy Coordination: una struttura che ben presto si trasformò nella Divisione di spionaggio e controspionaggio. Karamessines venne spedito in missione in Grecia dove operò in clandestinità fino al 1953. Nei primi anni Sessanta, divenne capo della stazione Cia a Roma per poi assumere l’incarico di vice direttore delle operazioni, prima sotto Richard Helms e poi con Desmond FitzGerald. Dopo l’assassinio di John F. Kennedy, Helms e Karamessines ebbero un ruolo di primo piano nelle investigazioni su Lee Harvey Oswald. Nel luglio del 1967, dopo la morte per infarto di FitzGerald, venne promosso capo della Divisione piani della Cia. Il suo vice era Cord Meyer. Il nome di Karamessines, insieme a quello di Helms (che intanto era diventato direttore dell’agenzia), vennero fuori per la prima volta durante i lavori della Commissione Rockfeller che investigava sulle attività della Cia e delle altre agenzie d’intelligence all’interno dei confini degli Stati Uniti. L’organismo d’inchiesta, presieduto dal vicepresidente Nelson Rockfeller, era stato istituito nel 1975 dal presidente Gerald Ford come risposta istituzionale ad un’inchiesta del New York Times del dicembre 1947 che citava alcune attività domestiche illegali da parte della Cia. In particolare, il ruolo di Karamessines venne messo in relazione con il piano Fubelt, l’operazione coperta della Cia che portò alla caduta di Salvador Allende in Cile.

Con lo scandalo Watergate si apre l’ultimo capitolo dei 23 anni di carriera a servizio dell’agenzia. Nel febbraio del 1973, dopo il siluramento del capo della Cia Helms da parte di Richard Nixon, Karamessines, per protesta, rassegna le dimissioni. Morirà cinque anni dopo, il 4 settembre 1978, stroncato da un attacco di cuore mentre era in vacanza sui Grandi Laghi in Quebec, alla vigilia della sua audizione davanti la Commissione d’inchiesta (Hsca - House Select Committee on Assassinations) sugli omicidi di J.F. Kennedy e di Martin Luther King.