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L'influenza aviaria scoppierà a Java, non a Suffolk

di Mike Davis - 09/02/2007

 

L’influenza aviaria sarà la prima piaga nella storia ad esser stata preceduta da un’esagerata e orrenda campagna pubblicitaria: nonostante tutti i segnali di avvertimento, i paesi sviluppati hanno completamente fallito prima nel rinunciare alla propria retorica a beneficio delle nazioni più povere, e poi nel tentare ogni autentico sforzo per dare alla luce un “vaccino mondiale”

Proprio quando la maggior parte di noi pensava che il peggio fosse passato (o che almeno si potesse tornare a cibarsi di pollo e tacchino), l’H5N1 torna a mostrare la propria pinna nera e ci ricorda della sua infinita possibilità di far affari con la razza umana. Sebbene le ipotesi abbondino, i virologi devono in realtà ancora comprendere l’enigmatico comportamento del nostro virus; in una stagione fa scintille, nella successiva si addormenta. In ogni caso, sin dalla prima diffusione di Hong Kong del 1997, una tendenza è rimasta costante: dopo ogni ibernazione o scomparsa, H5N1 torna in tutta la sua violenza, e con una capacità di raggiungere nuovi territori e colpire nuove specie implementata.

Un decennio di ricerca forsennata, sulla scia del timore che potesse riproporsi un’altra catastrofe come quella della pandemia del 1918 (quando morirono dai 50 ai 100 milioni di persone in tre mesi – il più grave massacro della storia umana), qualcosa ha procurato. La temeraria resurrezione di laboratorio del virus del 1918 ha mostrato che l’H5N1 non è escluso sia soltanto qualche sostituzione amminoacidica lontano dal diffondersi a velocità pandemica. Un’epidemia in verità esiste già tra gli uccelli selvatici e i gallinacei domestici; ne abbiamo visto una terrificante dimostrazione durante l’inverno 2005-2006, quando il caos ha imperversato in Asia occidentale, Europa e Africa – spesso con pochi indizi sulle cause dell’infezione.

Ora H5N1 ha ripreso misteriosamente a marciare, con nuove vittime in Cina, Indonesia, Egitto e Nigeria, e con una spettacolare esplosione tra i tacchini dei grandi allevamenti inglesi, che ha posto seri dubbi sulla biosicurezza del settore.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel frattempo, si sta mobilitando ad affrontare il peggio. La soluzione proposta rimane quella dell’anno scorso: fare affidamento su sistemi di monitoraggio locali per identificare al più presto la trasmissione da uomo a uomo e debellarla ricorrendo al farmaco antivirale Tamiflu. La strategia si basa sul discutibile modello “da mondo perfetto” emergenza pandemica/risposta medico-scientifica, di gran lunga contraddetto dai recenti studi OMS in materia.

Prima di tutto, il prodigioso farmaco Roche in questione non è più una bacchetta magica: diversi recenti decessi in Egitto sono stati attribuiti a uno stress da resistenza al Tamiflu stesso, e questa resistenza è probabile sia diffusa tra i soggetti colpiti dall’H5N1.

Secondo, il sofisticato sistema di controllo dei focolai pandemici, di abbattimento dei volatili infetti e di isolamento dei cadaveri accuratamente predisposto in Cina, Vietnam e Tailandia, semplicemente non esiste in alcune aree di recente diffusione del morbo, e non si trasformerà in prassi senza massiccie iniziative a livello internazionale.

Nella maggior parte dell’Africa subsahariana, ad esempio, l’influenza aviaria è semplicemente fuori controllo. La Nigeria è stata definita l’attuale epicentro dell’area di diffusione solo perché il suo caso serve a dimostrare un minimo tentativo di monitoraggio. È possibile che altre esplosioni su larga scala del virus si siano già diffuse ovunque tra gli onnipresenti polli africani, ma ne si verrà a conoscenza solo dopo che, tragicamente, i bambini inizieranno a morire.

La vulnerabilità del continente africano di fronte a una nuova pandemia è sconcertante, considerato anche come l’influenza aviaria potrebbe seguire gli stessi macabri percorsi solcati dall’HIV. I virus entrano in sinergia l’un l’altro: l’inquietante precedente è stato, nel 1918, quello del subcontinente indiano, dove – grazie a preesistenti carestie, malnutrizione e malaria – l’influenza pandemia uccise dai 10 ai 20 milioni di persone in meno di tre mesi.

La prospettiva di una nuova analoga piaga latente all’ombra delle baraccopoli di Lagos, di Kinshasa e di Nairobi, in altre parole, è virtualmente apocalittica. Fra l’altro, i ricercatori impegnati a studiare l’influenza aviaria con cui di recente ho personalmente parlato sono già preoccupati rispetto a una potenziale esplosione pandemica che potrebbe svilupparsi, anzitutto, nei sobborghi di Jakarta o altrove a Java.

Anni di eroico lavoro in Vietnam per cercare di contenere un improvviso scoppio del virus H5N1 che molti esperti definivano l’inizio della fine sono stati praticamente resi vani da una prevedibile diffusione del morbo tra le migliaia di isole dell’Indonesia nel corso degli ultimi 18 mesi. Una sonora sconfitta per la strategia di contenimento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Per timore di perdere la propria operatività nel paese, l’OMS e le altre agenzie internazionali si sono adeguate alla negligenza del governo indonesiano nell’eliminare i volatili infetti o contenere le diffusioni della malattia tra gli esseri umani. I critici di questa disastrosa gestione sono stati censurati e, come nel caso dei più navigati esperti in materia, persino epurati per aver fatto trapelare dettagli del fiasco presso la stampa scientifica internazionale. Come risultato, l’H5N1 si è radicato tra il pollame indonesiano, e il dazio umano si è progressivamente e incontrollabilmente accresciuto.

Inoltre, il virus sta facendo vittime nella stessa Jakarta, dove l’alta densità di popolazione favorisce una rapida diffusione. La recente inondazione ha ulteriormente aggravato il quadro. Bisognerebbe essere più preoccupati, in sostanza, dei polli di Java che dei tacchini di Suffolk (UK). Mentre ci si snerva per aver trovato il virus nell’East Anglia, si dimentica che l’inflluenza aviaria è più probabile raggiunga Londra via Heathrow come risultato del fallimento di strategie di contenimento applicate altrove.

L’influenza aviaria sarà la prima piaga nella storia ad esser stata preceduta da un’esagerata e orrenda campagna pubblicitaria: nonostante tutti i segnali di avvertimento, i paesi sviluppati hanno completamente fallito prima nel rinunciare alla propria retorica a beneficio delle nazioni più povere, e poi nel tentare ogni autentico sforzo per dare alla luce un “vaccino mondiale”.



Mike Davis, Uno dei massimi esperti internazionali di teoria urbana, è editorialista di The Nation, del Los Angeles Times e di L.A. Weekly. È autore di numerosi bestseller, tra i quali Geografie della paura (Feltrinelli, 1999) Cronache dall’impero (Manifestolibri, 2004) e Città morte – Storie di inferno metropolitano (Feltrinelli, 2004). Nuovi Mondi Media di Davis ha pubblicato Influenza aviaria – Scienza e storia di una possibile emergenza virale.

 

Fonte: The Guardian
Traduzione a cura di Luca Donigaglia per Nuovi Mondi Media