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Se Arafat fosse vivo... (Bush diede il permesso a Sharon di uccidere Arafat, a patto che nessuno...)

di Ury Avenry - 10/02/2007

 
 
    Bush diede il permesso a Sharon di uccidere Arafat, a patto che nessuno se ne accorgesse



“Se Arafat fosse vivo…”. Si sente questa frase sempre più spesso parlando con i palestinesi, ma anche con Israeliani e stranieri.

“Se Arafat fosse vivo, non accadrebbe quello che sta succedendo a Gaza…”;
“Se Arafat fosse vivo, avremmo qualcuno con cui parlare…”; “ Se Arafat fosse vivo, i fondamentalisti islamici non avrebbero vinto fra i Palestinesi e avrebbero perso alcune forze nei paesi confinanti!”

Nel frattempo, si pone la questione rimasta in sospeso: come è morto Yasser Arafat? E’ stato ucciso? Se sì, chi è l’assassino?


Di ritorno dai funerali di Arafat nel 2004, mi sono imbattuto in Jamal Zahalka, un membro del Knesset. Gli ho chiesto se credesse che Arafat fosse stato ucciso. Zahalka, farmacista, rispose di sì senza esitazione. Quella era anche la mia impressione. Ma un’impressione non significa certezza. E’ solo un prodotto di intuizione, senso comune ed esperienza.



Di recente abbiamo avuto una specie di conferma. Prima che morisse, Uri Dan, portavoce di Ariel Sharon per quasi 50 anni, pubblicò un libro in Francia. Riporta una conversazione narrata da Arafat con il Presidente (Gorge W.) Bush. Sharon chiese il permesso di uccidere Arafat, e Bush glielo diede a patto che venisse commesso di nascosto. Quando Dan chiese a Sharon se l’avesse fatto, Sharon rispose:”E’ meglio non parlarne.” Dan la prese come una conferma.

In molti paesi servizi segreti dispongono di veleni difficili da individuare. Il Mossad ha cercato di uccidere Khald Mashal, il leader di Hamas, in pieno giorno durante una fiera ad Amman. E’ stato salvato solo quando il governo di Israele è stato obbligato a fornire l’antidoto. Viktor Yushchenko, presidente dell’Ucraina, è stato avvelenato e salvato soltanto quando i precisi sintomi sono stati individuati in tempo dagli esperti. Di recente, una ex spia russa, Aleksander Litvinenko è stata stroncata dal polonio-210. E quanti sono i casi passati inosservati?

C’è la prova che Arafat sia stato ucciso dagli Israeliani o da altri agenti? No. Questa settimana mi sono nuovamente imbattuto in MK Zahalka, ed entrambi abbiamo concluso che il sospetto cresce sempre più in concomitanza con la convinzione che ora più che mai si avverta l’assenza di Arafat.

Se Arafat fosse vivo, ci sarebbe una via da percorrere per le negoziazioni con i palestinesi.

La conclamata assenza di una tale direzione costituisce per Israele il pretesto ufficiale per il suo rifiuto alle negoziazioni di pace. Ogni volta che Condoleeza Rice o un altro pappagallo di Bush parla della “necessità di riprendere il dialogo” (senza nominare le “negoziazioni”) per lo “status finale” o lo “stato permanente” (non dice “pace”), è questa la risposta di Tsipi Livni, Ehud Olmert & Co.

Dialogo? Con chi? E’ inutile parlare con Mahmoud Abbas, perché incapace di imporre la sua volontà sui palestinesi. Non è un secondo Arafat. Non ha potere. E non possiamo parlare con il governo di Hamas, perché appartiene all’ “asse del male” di Bush. Allora che cosa vuoi, cara Condi?

Tsipi Livni, nuova amica di Condi's, si spinge oltre: alla convocazione della cricca dei miliardari a Davos ha pubblicamente messo in guardia Abbas affinché non studi “un compromesso con i terroristi”. Un monito puntuale. Desideroso di creare un indirizzo credibile verso i Palestinesi, Abbas è appena volato a Damasco per incontrare Mashal. Quindi,in ogni caso, ha ammesso pubblicamente che nulla può essere fatto senza il leader di Hamas, divenuto una specie di super presidente palestinese.

Livni riconobbe il pericolo a prima vista e si lanciò per silurare la missione. Nessun dialogo con un’unità di governo palestinese, come del resto con Abbas o Hamas. Va bene, cara Condi?

Se uno vuole vedere dei volti raggianti, deve guardare le facce dei corrispondenti israeliani nei telegiornali della sera mentre riportano le notizie del Libano.

Che delizia! “Cristiani e sunniti” attaccano gli studenti sciiti all’università araba a Beirut e li uccidono! In ogni momento può scoppiare una guerra civile! Guarda, una studentessa sunnita dice che “Nasrallah è peggiore di Olmert!” Guardala bene! Ancora ! Ancora!

“Trai due litiganti, il terzo gode”, come dice il proverbio. Quando un arabo picchia un arabo – che sia a Baghdad, a Gaza o a Beirut- il governo israeliano e i suoi sostenitori nei media gioiscono. Questo è stato un tema centrale in Israele a partire dalla sua costituzione, e anche prima: meglio per noi se gli arabi lottano tra di loro.

In guerra, ha senso. Una divisione interna fra i tuoi nemici è meglio per te. Nella I Guerra Mondiale, lo staff tedesco del generale rimandò Lenin in Russia nel famoso vagone sigillato, nella speranza di creare una divisione fra la Russia e i suoi alleati francesi e inglesi. Nella guerra del 1948, siamo stati salvati perché gli eserciti di Egitto e Giordania erano più interessati a combattersi a vicenda che contro di noi. Negli anni 80, l’esercito israeliano ha mandato gli ufficiali nel Nord Iraq per aiutare Mustafa Balzani a strappare la regione curda dalle mani di Saddam.

E’ una buona strategia di guerra, che gli stati hanno seguito dall’inizio della vicenda. A questo riguardo, Israele non è un’eccezione. La domanda è: è comunque una buona strategia anche quando si desidera raggiungere la pace?

SE - “SE” in maiuscolo – il governo di Israele volesse la pace, adotterebbe la strategia contraria.

Negli anni 50, quando David Ben-Gurion fece di tutto per incitare le divisioni interne in Egitto, Syria e Iraq, Nahum Goldman, il diplomatico sionista, si oppose. Disse che i tanti conflitti fra i leader arabi erano un pericolo per Israele, perché ogni leader arabo cercava di superare gli avversari quanto a ostilità nei confronti di Israele.

Oggi è più evidente che mai. Bush e i suoi seguaci cercano di costruire un fronte pro-americano costituito da Israele, Egitto, Arabia Saudita, Abbas e Siniora. Dall’altra parte, c’è l’”asse del male” costituito da Iran, Syria, Hezbollah e Hamas.

I leader di Egitto, Giordania e Arabia Saudita hanno aderito formalmente alla causa palestinese, ma sono pronti a vendersi in cambio di generosi aiuti americani. Il governo Israeliano sarà onorato di ritrovarsi in compagnia di tre importanti democrazie – il presidente Husni Mubarak e i due re Abdallah.

Ma è bene per Israele? E’ bene per la prosecuzione delle guerra contro i palestinesi, per l’annessione e la costruzione di insediamenti. Non è positivo per la fine dell’annoso conflitto contro i palestinesi, la fine dell’occupazione e il cessate il fuoco.

Non c’è possibilità di stringere accordi di pace con Mahmoud Abbas, cosa che non avrebbe nemmeno senso senza il completo appoggio di Hamas. Ma persino una partnership fra Fatah e Hamas non sarebbe sufficiente per assicurare un futuro pacifico per Israele. E’ necessario l’appoggio dell’intero mondo arabo.

Sta qui la grande importanza dell’ “iniziativa di pace araba”, la proposta della Lega araba adottata nel 2002 durante il summit di Beirut. Solo l’unione della leadership palestinese, che gode del sostegno dell’intero mondo arabo, può mantenere tale promessa. Non dovremmo solo criticarla, bensì spronarla.

I termini dell’iniziativa araba sono gli stessi già stabiliti da Yasser Arafat negli anni 70: uno stato palestinese fianco a fianco con Israele, il cui confine è la Linea verde e la cui capitale è Gerusalemme Est; l’abbattimento degli insediamenti; una soluzione concertata sui rifugiati. Arafat, acconsentì a barattare alcuni territori che avrebbero permesso ad alcuni insediamenti nei pressi della Green Line di rimanere al proprio posto. Non c’è praticamente nessun palestinese, né arabo, che accetterebbe un’offerta monore. Lascerebbe alla Palestina un mero 22% di quello che era la Palestina storica.

E’ possibile raggiungere questo traguardo, dato che il mondo palestinese come quello arabo sono uniti. Questo significa il benestare di Siria, Hizbullah, Hamas e Iran, che naturalmente non è arabo.

Quindi, se si desidera la pace, non si gioisce dinanzi al sangue versato a Gaza e in Libano. Non c’è niente da ridere quando un arabo colpisce un altro arabo.

E naturalmente, se Arafat fosse vivo, le cose sarebbero molto più facili.

Ury Avenry
Fonte: www.counterpunch.org
Link: http://www.counterpunch.org/avnery01302007.html
30.01.07

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ELEONORA BIANCHINI