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Ivan il conviviale

di Maurizio Di Giacomo - 10/02/2007

 

 

Nell'introduzione al saggio La convivialità Ivan Illich scrive: "Chiamo società conviviale una società in cui lo strumento moderno sia utilizzabile dalla persona integrata con la collettività, e non riservato a un corpo di specialisti che lo tiene sotto il proprio controllo. Conviviale è la società in cui prevale la possibilità per ciascuno di usare lo strumento per realizzare le proprie intenzioni".

Parlando poi di "convivialità dello strumento" - terminologia del tutto nuova - Illich precisa: "L'uomo che trova la propria gioia nell'impiego dello strumento conviviale io lo chiamo austero. Egli conosce ciò che lo spagnolo chiama la convivencialidad, vive in quella che il tedesco definisce Mitmenschlichkeit. L'austerità non significa isolamento o chiusura in se stessi. "L'austerità fa parte di una virtù più fragile, ed è l'eutrapelia, l'amicizia".

Il sociologo guarda alla convivialità come speranza per il futuro, ma anche come a una forma necessaria nella società dell'uomo moderno, che vive "i sintomi di una crisi planetaria". Illich individua le ragioni di questa crisi "nel fallimento dell'impresa moderna, cioè la sostituzione della maccchina all'uomo". "Il grande progetto di sostituire la soddisfazione razionale e anonima alla risposta occasionale e personale si è trafsormato in un implacabile processo di asservimento del produttore e di intossicazione del cosumatore. Così ora, sostituire una società conviviale significa instaurare un rapporto nuovo con gli strumenti, nel quale sia ben chiara la funzione che questi devono assolvere: "Lo strumento genera efficienza senza degradare l'autonomia personale, non produce né schiavi né padroni, estende il raggio d'azione personale".

Ivan Illich auspica una vita accanto al prossimo, come dono di se stessi agli altri. E proprio "per comunicare con gli altri", l'uomo ha bisogno di strumenti. "L'uomo che va a piedi e prende erbe medicinali non è l'uomo che corre a centosessanta in autostrada e prende antibiotici", dice però il sociologo, volendo sottolineare che gli strumenti non sono gli stessi per ogni civiltà. Ogni paese ha la propria cultura e la propria tradizione, che vanno salvaguardate al di là di ogni tentativo della società industriale di omogeneizzare i nostri bisogni, con il rischio persino di "standardizzare le relazioni sociali".

Se pur necessario alla vita dell'uomo, l'utilizzo dello strumento, tuttavia, non esaurisce i suoi bisogni, poichè egli "non vive soltanto di beni e servizi, ma della libertà di modellare gli oggetti che gli stanno attorno, di conformarli al suo gusto, di servirsene con gli altri e per gli altri". "Nei paesi ricchi, i carcerati dispongono spesso di beni e servizi in quantità maggiori delle loro famiglie, ma non hanno voce in capitolo riguardo al come le cose sono fatte, né diritto di interloquire sull'uso che se ne fa: degradati al rango di consumatori - utenti allo stato puro, sono privi di convivialità". Certo, forse questa figurazione rasenta il paradosso, ma ben restituisce l'idea di una passività, di una mancanza di partecipazione, di cui siamo caduti prigionieri.

Se scegliamo di voler vivere in una società conviviale siamo chiamati a essere forza partecipante, a instaurare con la vita un rapporto autentico, un rapporto come creazione incessante che prevede la sostituzione di un falso " valore tecnico" con un "valore etico", un "valore realizzato".

"La convivialità è la libertà individuale realizzata nel rapporto di produzione in seno a una società di strumenti efficaci. Quando una società, qualunque essa sia, reprime la convivialità al di sotto di un certo livello, diventa preda della carenza; infatti nessuna ipertrofia della produttività riuscirà mai a soddisfare i bisogni creati e moltiplicati a gara", avverte Illich. L'alternativa possibile a questo "spettacolo di ombre produttrici di domanda e generatrici di carenza" è attuabile soltanto "invertendo la logica dell'istituzione".

* autore di "Ivan Illich" [Ancora], da cui è tratto questo brano