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Acqua per la vita: 10 anni per assicurare l’accesso all’acqua.

di Terzano Giancarlo - 11/02/2007

 

 

Bere, cucinare, lavarsi; e poi i mille altri impieghi, più o menonecessari: dallo sciacquone al lavaggio dei panni e delle stoviglie,dall’annaffiatura delle piante al lavaggio, per i più fanatici,dell’auto. Sono i tanti usi civili dell’acqua, che quotidianamentecaratterizzano le nostre giornate. Li compiamo senza patemi, distrattipensando ad altro, sicuri che basta aprire un rubinetto per ottenerequel getto d’acqua.

In effetti è così, ma non per tutti. Ciò che per noi è un fattoscontato, per tanti resta ancora un sogno, un’attesa lontana. Secondostime ONU, sono circa 1,2 miliardi gli abitanti del pianeta che vivonosenza un accesso ad acqua potabile sicura, ed oltre il doppio vivesenza servizi fognari adeguati, con conseguente esposizione a malattiee decessi.

La più esposta è, ovviamente, la parte più fragile della popolazione, ibambini. Secondo i dati UNICEF pubblicati in occasione della GiornataMondiale dell’Acqua, il 22 marzo scorso, sono 400 milioni (circa 1/5dell’intera popolazione infantile del pianeta) i bambini che non hannoaccesso a quel quantitativo minimo di 20 litri giornalieri di acquapotabile ritenuti indispensabili per sopravvivere in condizioni disicurezza. 20 litri d’acqua – poco più di due secchi – che, utilizzatiper bere, cucinare e lavarsi le mani, consentirebbero di tener lontanemalattie infettive anche letali.

Invece, per l’uso di acque infette o per la mancanza di un minimo diigiene personale, oltre 4.000 bambini muoiono ogni giorno per malattiealtrimenti prevenibili, come la diarrea, il tifo o il colera. Oltre 1,5milioni di piccole vittime all’anno, cui si aggiungono i ben piùnumerosi casi di malattie che, seppur non portano direttamente allamorte, minano la salute e la crescita delle persone (sono 250 milionicoloro che soffrono gravemente a causa di malattie riconducibili allecarenze idriche).

Il problema riguarda essenzialmente i paesi cosiddetti “in via disviluppo” (spesso solo un eufemismo, per nascondere realtà indrammatico arretramento), e, tra questi, soprattutto quellisub-sahariani e dell’Asia meridionale, dove la disponibilità di acqua edi servizi è minore. Ma anche nella nostra Europa, per la stessa causaogni anno muoiono 13mila ragazzi sotto i 14 anni, per lo più nell’exYugoslavia e nell’Europa dell’Est, mentre sono 41 milioni i cittadinieuropei che non hanno accesso all’acqua potabile.

Ad essere più colpite sono, in ogni caso, le aree rurali, meno serviterispetto a quelle urbane, e dove, quindi, più frequente è la necessitàdi ricorrere a pozzi non protetti, fiumi e stagni, per accedereall’acqua. La loro marginalità e povertà costituiscono, del resto, undisincentivo agli interventi, soprattutto laddove la scarsità d’acquasi combini con un’alta richiesta.

Il dramma, oltre che umano, è anche sociale. Perché l’alta mortalitàinfantile contribuisce a bloccare le comunità locali, spingendole inuna perversa spirale di malattie, precarietà e perdita di speranza. Lastessa sovrappopolazione è parzialmente imputabile a tale sistema: inrealtà in cui i figli costituiscono l’assicurazione sulla vita per glianziani, la consapevolezza di chances ridotte di sopravvivenza diventamotivo, in una triste roulette statistica, per fare più figli.

Per affrontare tale emergenza, non servono le opere faraoniche tipograndi dighe o la deviazione dei fiumi, finalizzate ai processiproduttivi agricoli, industriali o energetici, costruite stravolgendogli ecosistemi e a danno delle popolazioni locali, ma che trovano ifinanziamenti della Banca Mondiale. Sarebbero sufficienti, ricordal’UNICEF, piccole misure, come pozzi dotati di pompa manuale, lasterilizzazione dell’acqua (al costo di pochi centesimi per bustina) ol’abitudine a lavarsi le mani, che può ridurre la diarrea del 40%.

Al Vertice di Johannesburg, nel 2002, si è preso l’impegno didimezzare, entro il 2015, la percentuale di persone che non dispongonodi fognature adeguate; ed entro lo stesso anno, va dimezzato anche ilnumero di quanti non hanno accesso all’acqua potabile. Obiettivi ancoraincompleti, ma che confermano l’enormità del problema. Ed è proprio daquest’anno che parte l’ambizioso programma, con l’avvio del DecennioInternazionale d’Azione 2005-2015 “Acqua per la vita”. Soggetti diWater for life sono i Governi, le amministrazioni locali, le ong e lecomunità interessate. Particolarmente interessante è il coinvolgimentodi quest’ultime, chiamate a partecipare attivamente alla gestione deiservizi idrici, anche recuperando il loro patrimonio tradizionale diconoscenze in materia di salvaguardia e conservazione delle risorseambientali. Assenti dal progetto (ma il rischio è che, cacciate dallaporta, rientrino dalla finestra attraverso la debolezza dei governilocali) sono le corporates, le multinazionali del settore, i grandigruppi che nell’acqua vedono non l’essenza della vita ma una merce cheassicura grandi profitti (il cd. oro blu). Su di esse l’ONU è statachiara, riconoscendo che “la partecipazione del settore privatoarricchisce pochi a spese di molti, e che l’acqua è abbondante perquelli che possono pagarla”. Water for life – lo sappiamo - èincompatibile con water for money.