Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / L'inadeguatezza dell'ambientalismo e della sua rappresentanza politica

L'inadeguatezza dell'ambientalismo e della sua rappresentanza politica

di Giannozzo Pucci - 13/02/2007

Fonte: stefanoborselli.elios.net

Sono dieci anni che non partecipo ad una Assemblea nazionale, e non mi sono mai iscritto ai verdi da quando a Trani l'assemblea della Federazione delle Liste Verdi decise di rinunciare al suo statuto confederale e scegliere la forma partito unificandosi con i Verdi Arcobaleno.

Quella decisione non fu una semplice sconfitta politica, ma la modifica dei connotati fondamentali del movimento ecologista come presenza elettorale.

Avendo vissuto quell'episodio dal di dentro, ricordo che, mentre avveniva, pensai che la degradazione dei verdi in partito radical-diessino, impegnato a rincorrere gli effetti dell'inquinamento industriale, senza sfiorarne le cause filosofiche, politiche ed economiche, era necessaria allo stesso sviluppo delle tematiche ecologiste. Un partito verde egemonizzato da altre filosofie e impotente ad attirare le energie più sensibili del paese, avrebbe fatto emergere le istanze ecologiste in altri ambiti e direzioni.

Dopo dieci anni qualcosa dell'impressione di allora si è realizzata. Innanzitutto la ovvia crisi del partito e poi l'emergere negli ambiti più diversi di riflessioni ed esigenze del pensiero ecologista. Abbiamo toccato con mano la non traducibilità della novità ecologica nelle categorie della politica in assenza di un legame con la teologia, con l'etica e con le più antiche tradizioni della nostra civiltà.

Negli stessi 10 anni è cambiato il panorama della politica italiana.

Allora restava una qualche autorevolezza alle ideologie politiche marxista, liberale, alla destra legata all'eredità del fascismo e persino al mondo cattolico come bacino di voti e reticolo sociale, anche se oramai senza identità. Ma la quasi totalità degli uomini che militavano in queste scuole di pensiero era stata profondamente affascinata e convertita dalla degenerazione morale che il nostro popolo ha subito dagli anni '60 in poi col diffondersi dei consumi e dell'edonismo di massa. Nel 1990 sopravvivevano ancora, nelle pieghe delle pubbliche amministrazioni, i resti di quella particolare visione politica italiana sviluppatasi nell'area di governo per merito di una parte del mondo cattolico, a partire dalla costituente, e sconfitta verso la metà degli anni '60 con l'uccisione di Enrico Mattei (1962), la fine del governo Fanfani (1963), la morte di Ezio Vanoni (1964) e la definitiva conclusione dell'esperienza di La Pira come Sindaco di Firenze (1965).

Queste quattro personalità erano state fra i pilastri strategici dell'unico disegno italiano che ha veramente inciso nel mondo e che comprendeva, all'interno, la difesa delle piccole attività economiche e lo sviluppo della piena occupazione tramite gli investimenti pubblici: una reinterpretazione italiana della politica economica di Keynes, e in politica estera il contributo all'autonomia dei popoli del sud del mondo, a partire dall'area mediterranea, aiutandoli a partecipare da sovrani allo scambio internazionale attraverso un pagamento più equo delle loro ricchezze naturali e la lotta ai profitti iniqui delle multinazionali dell'energia.

La debolezza del programma fu l'aver accettato acriticamente l'industrializzazione, cioè il modello produttivo e tecnologico congeniale al capitale finanziario internazionale, dando un contributo sostanziale alla diffusione di massa in Italia del consumismo. Ma questi stessi uomini avevano avuto anche il merito di rilanciare a livello filosofico e pratico l'importanza della comunità e del lavoro autonomo come garanzia della libertà delle persone, insieme alla deontologia governativa di difesa delle attività economiche più deboli e umane, valori tipici della millenaria tradizione cattolica.

Nel 1990, le partecipazioni statali e un residuo di politica estera italiana nel Mediterraneo e nell'est a favore dei paesi meno fortunati esistevano ancora insieme a leggi e regolamenti nazionali a favore delle piccole attività agricole e artigianali. Il sistema elettorale proporzionale garantiva una dimensione parzialmente comunitaria anche nella vita istituzionale, congeniale col nostro carattere. Oggi tutto ciò non esiste più. La disgregazione dell'Unione Sovietica e Tangentopoli hanno spazzato via non solo l'autorità delle ideologie ottocentesche ma anche i residui migliori del progetto politico dell'Italia anni '50. Resta in piedi una forma di liberismo radicale, da "si salvi chi può", di rivendicazione di puri diritti, il più congeniale col costume edonistico consumista e con gli interessi di quella finanza internazionale che ha beneficiato della svendita delle migliori aziende pubbliche italiane.

L'entrata in scena del problema ecologico ha introdotto però, indipendentemente dal comportamento delle rappresentanze parlamentari verdi, un elemento di sostanziale discontinuità rispetto ai dogmi dell'illuminismo. Lo ripeto più esplicitamente. Anche se gli eletti verdi nelle istituzioni fossero stati tutti sudditi delle filosofie marxiste o radicali, la crisi ecologica da sola spazza via i postulati fondamentali di quelle ideologie e dell'approccio scientifico alla realtà, riproponendo per l'interpretazione del mondo la maggiore consistenza delle antiche tradizioni greco-romane ed ebraico-cristiane.

La scienza moderna è derivata da un principio di indifferenza della natura come fonte di norme materiali e morali per la condotta umana, sostituita dalla ragione come unica garanzia di verità e dallo stato come unica legittima fonte normativa.

Il problema ecologico è la prova inoppugnabile che la ragione da sola non produce verità o scoperte al di là del bene e del male e che la natura è più ricca di quanto qualsiasi teoria scientifica sia in grado di comprendere, mentre gli stati hanno prodotto molte leggi illegittime perché in contrasto con i diritti fondamentali dei popoli e con le leggi di natura.

Tutte le ideologie politiche post-illuministe (liberalismo, marxismo e fascismo) hanno condiviso la stessa fede nella forma produttiva industriale come progresso assoluto, capace cioè di rispondere ai principali bisogni umani con l'abbondanza di beni di consumo e attraverso la trasformazione della natura in materia prima per il processo produttivo tecnologico. Il movimento luddista, l'unica forma di lotta di lavoratori che volevano continuare come artigiani ad essere padroni degli strumenti di produzione e della libertà di lavoro e perciò si opponevano al tipo di macchine che li avrebbero trasformati in proletari, fu sconfitto da uno stato che scelse contro la libertà del lavoro con l'approvazione contemporanea o successiva di tutte le parti politiche dalla destra alla sinistra. La differenza fra loro ha riguardato solo i modi per garantire la distribuzione delle merci ma non la forma industriale.

Destra e sinistra sono sempre andate d'accordo anche nel riconoscere cittadinanza politica solo agli individui da una parte e allo stato dall'altra; perciò tutte le aggregazioni tradizionali, le comunità familiari, di villaggio, di mestiere ecc. dovevano essere soppiantate dallo stato o da organizzazioni ad esso somiglianti o preparatorie, come i partiti, i sindacati ecc. La riscoperta dell'importanza essenziale dei cicli ecologici porta con sé la comprensione che la natura è un'universalità di esseri in comunicazione fra loro e che questi legami e rapporti sono il contenuto della libertà personale.

Il modo di produzione industriale, che distrugge i legami comunitari, trasforma tutti in individui e tutto in merci, è intrinsecamente nemico di una dimensione ecologica, non può essere convertito, ma va gradualmente espulso e ridotto entro limiti etici che savaguardino la natura contro la trasformazione in tecnologia.

Anche la democrazia politica di massa, se non rispetta il principio di sussidiarietà, trasforma tutti in individui isolati ed inermi davanti allo stato e ai grandi gruppi economici, e anche se trova il modo per consultare ciascuno con un referendum al giorno, i cittadini saranno ostaggi inermi di un meccanismo che li avrà allontanati dall'ambiente comunitario essenziale alla formazione della loro volontà all'interno di una tradizione civile e culturale capace di collegare tale volontà con i valori delle generazioni passate e future.

La falsità dei dogmi delle filosofie illuministe che sostengono l'economia consumista è sotto i nostri occhi, consideriamone alcuni.

1. La ragione umana è l'unica arbitra del vero e del falso, del bene e del male; essa è legge a se stessa e colle sue forze naturali basta a procurare il bene degli uomini e dei popoli.

Abbiamo sotto i nostri occhi l'evidenza che la ragione umana è irragionevole, perché quasi sempre usata per gli interessi più egoistici, e perciò incapace da sola di fare il bene degli uomini, se non è usata entro i confini obbligatori delle leggi naturali.

2. Lo stato, come origine e fonte di tutti i diritti, gode di un certo suo diritto del tutto illimitato.

Ciò è falso sia di fatto, in quanto esistono forze economiche che in certi campi prevalgono sugli stati, sia di diritto perché i diritti originari e le tradizioni morali riconoscono a ogni persona e alla comunità di cui fa parte un valore e una dignità di cui lo stato deve essere garante e servitore.

3. Non sono da riconoscersi altre forze da quelle che sono poste nella materia, ed ogni disciplina ed onestà di costumi devesi riporre nell'accumulare ed accrescere in ogni modo la ricchezza e nel soddisfare le passioni.

I disastri provocati da questo dogma sono evidenti non soo nella diffusione della droga e delle malattie psichiatriche, ma nell'edonismo di massa che sta distruggendo il pianeta e la civiltà.

4. Il diritto consiste nel fatto materiale e tutti i doveri degli uomini sono un nome vano e tutti i fatti umani hanno forza di diritto.

E' il dogma del diritto del più forte che pone tutti in guerra contro tutti e distrugge i valori più alti della civiltà che emergono solo col tempo e nella pace, cioè quando ogni cosa ha il suo giusto posto, come nei cicli naturali. Il diritto nasce da un dovere compiuto e sono illegittimi quei diritti che comportano la sottrazione della capacità di autonomia economica/alimentare di altri popoli e la degradazione della natura.

5. L'autorità non è altro che la somma del numero e delle forze materiali.

I valori supremi di una civiltà non sono stabiliti dalla maggioranza di una sola generazione o dall'influenza di organizzazioni economiche per grandi che siano ma da principi fondamentali che hanno fondato la cultura e la civiltà di un popolo per millenni e che nessuna maggioranza politica può violare, fra questi c'è il rispetto degli equilibri naturali come limite invalicabile delle attività umane.

I cinque dogmi illuministi qui denunciati coincidono con cinque articoli condannati dal Sillabo di Pio IX.

Certamente fra gli altri 75 articoli del Sillabo ve ne di non condivisibili, mentre la principale finalità dello stato uscito dalla rivoluzione francese, cioè la tutela dei diritti dell'uomo è un valore irrinunciabile che rappresenta anche l'evoluzione degli statuti di alcuni comuni medioevali che ponevano le basi del suffragio universale ricavandolo dalla concezione cristiana del valore della persona (per S.Tommaso d'Aquino i magistrati dovevano essere eletti ab omnibus et ex omnibus). Ma esistono limiti oltre i quali i diritti individuali diventano lesivi di se stessi? Esiste una siepe giuridica naturale che definisce i confini della libertà individuale e che pone un limite insuperabile all'autorità dello Stato costituendo garanzie inviolabili per la coscienza, la vita, l'attività, gli averi e gli usi di ogni persona umana e della comunità di cui fa parte?

Tutte le tradizioni giuridiche riconoscono i diritti imprescrittibili e inalienabili di trarre direttamente ed equilibratamente dalla natura il necessario per rispondere, attraverso il proprio lavoro, ai bisogni fondamentali di cibo, riparo, energia, strumenti, salute di ogni essere umano. Si tratta di diritti personali ma che possono essere esercitati principalmente in quanto membri di una comunità residenziale, in quanto richiedono il rispetto di un ordine unanimemente condiviso da cui dipende la vita di tutti e che esige la sostenibilità dei comportamenti privati e pubblici.

Questi diritti, chiamati tecnicamente anche diritti civici, sono prioritari rispetto alle costituzioni degli stati e rappresentano il modello di confine sia rispetto ai diritti individuali che all'invadenza dello stato. Non a caso la madre di tutti gli inquinamenti e della degradazione ecologica moderna è stata proprio, come ha dimostrato Ivan Illich, la distruzione dei diritti comunitari sulla natura e la trasformazione di questa in risorsa per le imprese agricole che ha promosso la nascita delle industrie nelle città.

La crisi ecologica impone la necessità di distinguere nettamente i legittimi diritti delle persone da quelli che passano per diritti individuali e riguardano invece individui o società dotate di poteri economici, tecnologici o di comunicazione di massa a cui nessuna persona comune può accedere nella sua vita e che perciò devono rispettare criteri essenziali di servizio ed etica pubblica.

Il pensiero ecologico mette in questione la libertà scientifica e di ricerca nel campo delle manipolazioni genetiche, dell'energia nucleare e in tutti quelli che mettono a rischio la qualità di vita di tutti e i valori fondamentali della nostra civiltà.

Un benessere che derivi da un danno grave alla natura o da un rischio di tale danno non potrà mai essere un diritto né civile, né individuale, né statale, perché le sue conseguenze porteranno sempre un danno anche alle comunità umane. Perciò è evidente l'esigenza di un'autorità morale a cui riferirsi, dopo la destituzione dei dogmi illuministi, per permettere la rinascita della nostra civiltà.

Tale autorità non può coincidere con lo stato, lo stato etico è un'aberrazione perché non è lo stato la fonte etica, anche se le leggi che non rispettano la morale di una civiltà operano per la sua distruzione e legittimano l'obiezione di coscienza contro di loro. L'ordine etico della nostra identità civile è nascosto dalla diffusione degli illimitati diritti individuali che impregnano a tal punto di sé il disordine costituito da allontanare persino l'idea di una morale comune. Eppure se non siamo capaci di riscoprire e applicare la nostra etica comunitaria non saremo nemmeno capaci di capovolgere il processo di degradazione della natura e della società. Infatti, sul piano materiale e amorale la gerarchia delle finalità contempla sempre al primo posto l'utile immediato di ogni individuo anche se lesivo dei valori comuni.

Dove guardare per ritrovare i fili della nostra etica comunitaria?

"Le cose tutte quante hanno ordine tra loro, e

questo è forma che l'universo a Dio fa simigliante.

Qui veggiono l'alte creature l'orma

De l'etterno valore, il quale è fine

Al quale è fatta la toccata norma."

(Paradiso I, 104-108)
La natura intesa come orma di Dio non si trova solo in Dante, ma per S.Tommaso "Lo stesso ordine esistente nelle cose create da Dio manifesta l'unità del mondo. Il mondo infatti si dice uno per l'unità datagli dall'ordine secondo il quale le cose sono ordinate le une alle altre." (Summa Teologica I, quest.47 art.3). S.Ildegrada di Bingen definisce la natura il quinto vangelo.

La crisi ecologica prova la verità della tradizione comunitaria a cui la filosofia medioevale fa riferimento come universitas, cioè il motivo greco e poi cristiano della comunità "per natura", come corpo sociale, spirituale e materiale insieme di cui i singoli individui sono parti inseparabili. Questa concezione è stata tradotta nella realtà moderna dai pensatori cattolici come Mounier e Maritain che hanno ispirato anche la Costituzione Italiana. Ma le nuove consapevolezze portate dal problema ecologico dimostrano l'importanza della tradizione etica ebraico cristiana per la riformulazione di un ordine morale, culturale, politico, economico e giuridico che orienti la nostra società alla simbiosi con la natura.

L'unico grande movimento politico di questo secolo che, in una tradizione diversa dalla nostra, ha avuto ispirazioni etico-comunitarie paragonabili a quelle necessarie ai verdi è il movimento del Mahatma Gandhi. Espungere da tale esperienza la nonviolenza intesa solo come tecnica di lotta politica, significa stravolgerne il senso.

L'impotenza principale dei partiti verdi a costruire un nuovo ordine sociale è derivata dall'aver seguito i passi dei rivendicatori marxisti, fascisti o radicali, che si sentono sempre la coscienza a posto e si muovono come l'angelo vendicatore. I colpevoli sono sempre altri e gli errori sono sempre altrove. La debolezza degli ambientalisti è stata di credere e far credere che sia soprattutto la produzione a provocare la degradazione dell'ambiente. Il consumo che sostiene la produzione è raramente considerato un errore, al massimo una debolezza umana compatibile e da accettare. L'ideale di un ambientalista è stato di riuscire a imporre restrizioni alla produzione senza gravare la coscienza dei consumatori. Ma oggi tutti i consumi sono stravaganti e consumano la terra, perciò siamo tutti colpevoli.

La forza morale del movimento gandhiano si è sviluppata quando è riuscito a ricollegare gli obbiettivi politici coi valori della tradizione provocando il rifiuto di massa del consumo di prodotti dell'industria tessile inglese e la rinascita delle economie comunitarie dei villaggi rurali.

Un movimento politico fondato sulle ideologie ottocentesche non potrà mai arrivare a qualcosa di simile, potrà al massimo ottenere pezzi del potere che sta nel palazzo, ma non suscitare il potere degli esseri umani come membri della comunità ecologica.

Il partito verde si è assunto il compito di spazzino della società industriale avanzata come se l'ambiente fosse la sovrastruttura della produzione tecnologica, e occupandosi di obbiettivi specializzati (i rifiuti, le acque ecc.) ha diffuso l'idea che sia possibile rimediare agli effetti lasciando intatte le cause e perciò diffondendo la convinzione della propria subordinazione e inutilità.

Sia i partiti politici ottocenteschi di sinistra che di destra sono indissolubilmente legati all'industrialismo e perciò inadeguati a comprendere una visione ecologica.

La collocazione dei verdi è al centro, non come mediazione fra destra e sinistra o ago della bilancia neutro sbattuto da altre filosofie, ma come terza via non riconducibile alle categorie della conservazione, del progressismo o della globalizzazione, ma a quelle della tradizione, della comunità e delle future generazioni.

Al centro della politica italiana c'è la croce tombale della Democrazia Cristiana conseguenza della sua incapacità per troppo tempo di incarnare e attualizzare la tradizione etica del cristianesimo nel ruolo contemporaneo dell'Italia. Questa fine, arrivata dopo un ventennale processo di disfacimento del mondo cattolico, invaso e conquistato dalle idee marxiste e radicali, ha lasciato un vuoto. I verdi da soli non possono colmarlo, ma possono farsi promotori, insieme alle forze vive del volontariato e della cultura cattolica di una revisione del Codice di Camaldoli che serva da base di un nuovo progetto politico sulla base delle esperienze maturate nell'ultimo mezzo secolo.

Alcuni temi di un simile progetto politico potrebbero essere:



  1. In occasione della revisione della Carta Costituzionale, introdurre con maggiore enfasi i principi personalisti e comunitari prevedendo la rinascita dei diritti civici e la semplificazione legislativa. La reintroduzione del sistema proporzionale (puro, con premio di maggioranza o con sbarramento poco importa);



  2. La rinascita di una politica economica neokeynesiana con interventi pubblici, incentivi e liberalizzazioni finalizzate a una forte deproletarizzazione del lavoro;



  3. Il ritorno alla terra e la ricostruzione del mondo rurale anche attraverso l'acquisto di terre ai demani da concedere in uso come riequilibrio dell'economia e della salute dei cittadini attraverso una parziale autarchia alimentare a livello regionale per le derrate strategiche e l'abolizione di ogni forma di dipendenza dell'agricoltura dall'industria, vietando ogni inquinamento chimico di sintesi dall'agricoltura italiana che ne qualificherebbe i prodotti a livello internazionale;



  4. Liberalizzazione, detassazione e copertura assicurativa pubblica dell'apprendistato nelle attività artigianali che non producono inquinamenti;



  5. Sviluppo di nuove partecipazioni statali nel settore delle energie rinnovabili e delle iniziative per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica come uno degli obbiettivi principali della ricerca.



  6. Nella politica estera la nuova politica interna può mettere il nostro paese in condizione di assumere pienamente il suo ruolo di aiutare dei popoli svantaggiati a liberarsi dai ricatti del commercio internazionale, costruendosi un'economia autosufficiente in campo energetico e alimentare. In questa chiave è necessario riprendere la politica italiana degli anni 50-60 per la pace e la collaborazione dei popoli nell'intera famiglia umana.

La potenza economica non basta a dare a un paese il guida nel mondo. Gli Stati Uniti d'America per diversi decenni hanno messo la loro forza economica al servizio di un progetto di libertà, democrazia e benessere che è apparso a molti come il più avanzato e rispondente alle aspirazioni umane alla felicità.

Gli ultimi eventi che dal GATT hanno portato all'Organizzazione Mondiale del Commercio fino al mancato accordo di SEATTLE stanno intaccando il fascino del sogno americano e fanno emergere il sostanziale romaticismo e illusorietà di un tipo di benessere settoriale fondato sullo sfruttamento della natura e di masse sempre maggiori di popoli affamati.

Gli emigranti che, dopo aver conosciuto il benessere dei paesi ricchi, ne sentono la miseria culturale e ritornano a casa per un bisogno di comunità e identità, sono le avanguardie della comprensione di un modello di benessere, libertà e democrazia capace di essere tale per tutti i popoli e che sgorga dalle tradizioni più radicate dello spirito europeo, di cui la lettera di Jean Giono ai contadini per la povertà e la pace è uno dei tanti monumenti.

I manifesti pubblicitari dicono che mettere nelle mani delle multinazionali il commercio di tutti i prodotti della terra coincide con una maggiore solidarietà fra i popoli. Simili slogan illusionisti sono fragili perché nascondo una realtà opposta. Il nuovo progetto politico del centro cattolico e verde deve contenere un disegno di commercio internazionale della stessa ispirazione di quello che Enrico Mattei perseguì per il petrolio.

Ora è possibile rovesciare sulla visione illuminista di progresso tutte le accuse di ritorno al passato con cui ha bombardato le filosofie cattoliche, gandhiane ed ecologiste nell'ultimo secolo.

Non c'è una famiglia italiana che non abbia qualcuno dei suoi cari morto per cancro. La diffusione della droga fra i giovani è devastante. Investire la società italiana col l'obbiettivo di ricostruire il suo mondo rurale insieme alla basi stesse della sua civiltà è un messaggio di rinascita che vale la rinuncia al modello consumista per prendere la strada di un'economia stabile, comunitaria, basata sulla giustizia e sulla solidarietà.