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Teheran: l’ombra della strategia di destabilizzazione

di Antonella Vicini - 16/02/2007




Strategia della tensione in Iran. Può forse inserirsi in questa definizione l’attentato avvenuto ieri a Zahedan, nel sud est del Paese.
Al passaggio di un autobus dei Guardiani della Rivoluzione una autobomba è esplosa, provocando la morte di 11 persone. Inizialmente si era parlato di 18 vittime, ma successivamente un portavoce militare ha ridimensionato la cifra. Trenta i feriti. Non è chiaro se le persone rimaste coinvolte nell’esplosione fossero tutti esponenti della forza paramilitare oppure anche comuni cittadini che lavoravano negli uffici amministrativi della sezione dei Guardiani della Rivoluzione di Zahedan.
Secondo le testimonianze, la macchina carica di esplosivo si sarebbe fermata davanti al veicolo dei pasdaran, fingendo un guasto al motore. Subito dopo i quattro passeggeri avrebbero lasciato l’abitacolo, fuggendo a bordo di alcune motociclette.
Un portavoce delle Guardie ha riferito che cinque sospetti sono stati già arrestati. Sulle ragioni che si celano dietro a quanto accaduto e sulle regia che abbia guidato l’attentato circolano diverse ipotesi. Una delle prima è legata alla posizione geografica della città, capoluogo del Baluchestan, zona al confine con Pakistan ed Afghanistan, e quindi uno dei centri di smistamento per il traffico di droga verso l’Europa. Il governo iraniano combatte da tempo con il rischio del far west alla frontiera e quella di ieri potrebbe essere una ritorsione o un avvertimento per le autorità iraniane che tentano di tenere la zona sotto controllo. Non è questo, infatti, il primo episodio di violenza che si registra in quell’area.
Qassin Rezai, comandante militare della zona, ha parlato di “ribelli che voglio destabilizzare con azioni terroristiche”, sebbene non vi sia stata ancora una rivendicazione ufficiale dell’attacco.
L’agenzia Fars ha riferito che il gruppo sunnita Jundallah (Brigata di Allah) si sarebbe assunto la responsabilità di quanto accaduto, ma la notizia non è stata confermata ufficialmente. Non c’è chi esclude, tuttavia, che l’attentato di Zahedan sia un altro tassello della ‘strategia della tensione’, appunto, che gli Stati Uniti stanno alimentando nei confronti della Repubblica islamica. Insieme al pressing diplomatico che passa attraverso il Palazzo di Vetro, e al neo teorema sulla vendita di armi iraniane alla guerriglia irachena, la fomentazione dei problemi interni relativi alla sicurezza iraniana contribuisce a creare un clima di tensione e di instabilità nel Paese. Nella regione, infatti, sono attive anche alcune forze indipendentiste che troverebbero soltanto giovamento nell’accettare il sostegno della Casa Bianca per la propria causa. Del resto, non è nuovo che Washington, come Londra, appoggi da tempo i gruppi di dissidenti iraniani in Occidente. Tra queste formazioni, ad esempio, figurano i Mojaheddin Khalq, alleati di Saddam Hussein nelle fasi finali della guerra Iran- Iraq e rimasti sotto l’ala protettrice degli Usa dopo l’occupazione, nel 2003, tanto che i loro campi di addestramento, al confine occidentale iraniano, non furono smantellati. Al nord, invece, operano i separatisti curdi dell’Iran. Nemici storici degli ayatollah.
Da più di anno si sono diffuse le notizie su azioni terroristiche, condotte da fazioni sostenute dagli Usa. Per il momento gli attacchi si sono mantenuti ad un basso profilo, quello di ieri, però, rischia di aprire uno spiraglio su una pericolosa nuova era. Del resto, la notizia diffusa dai vertici Usa in Iraq sulla presenza di Moqtada as Sadr in Iran offre la possibilità di estendere il conflitto oltre confine, nel nome della ‘democrazia.