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Belfast. Unionisti e repubblicani, pace da separati in casa

di Pamela Barbaglia - 19/02/2007

Il prossimo 7 marzo l’Ulster va alle urne per tentare la strada della «democrazia consensuale» Tra le due fazioni c’è già l’accordo per governare insieme, ma la società nordirlandese resta divisa e nel capolugo le strade sono solcate da una «peace line» fatta di muri e reticolati di ferro

 


«Cattolici» e «protestanti» si portano dietro paure e rancori secolari. I passi avanti fatti dopo gli accordi del ’98, dal disarmo alla polizia comune, non sono ancora diventati vera convivenza e i bambini crescono senza mai vedere i coetanei «dall’altra parte»

 

Il reticolato di ferro è l'eredità più ingombrante di un passato che stenta ad andarsene. Circoscrive le case lungo i perimetri dei quartieri repubblicani e unionisti, e avvilisce i progetti di rinascita. I cantieri raccontano di una città in fermento: sono centinaia i caschi gialli indaffarati tra le vie del centro storico o nella futura cittadella del Titanic Quarter (un piano di ristrutturazione della marina da tre miliardi di euro). A Victoria Square i martelli pneumatici inghiottono l'asfalto sotto lo slogan «il nuovo cuore di Belfast». Ma la città è tutta nei suoi microcosmi di metallo. Gli edifici a est e ovest del fiume Lagan si inseguono in fila indiana, senza perdere di vista i confini del filo spinato. Anonime anche le case. Le piccole finestre se ne stanno appollaiate ai piani alti come sentinelle in attesa. In mezzo corrono le barricate. Una base in cemento, poi lamiere e griglie: quanto basta per creare una peace line (letteralmente «linea della pace», in sostanza un muro divisorio) capace di incidere la terra e dividere i destini di due comunità.
A Short Strand tremila cattolici vivono circondati su tre lati dai quartieri protestanti della zona est. È un'enclave a tutti gli effetti, con un passato - neppure tanto remoto - di abusi e vandalismo a opera dei vicini lealisti. A Bryson Street i piccoli cattolici giocano a calcio contro il reticolato. «Io non sono mai stato di là - racconta Artan, sei anni -. Però mio fratello mi ha detto che ci tiravano i sassi attraverso quelle fessure». Kieran corre in cima a una palizzata e scuote le spalle: «Mai visto cosa ci sia dall'altra parte. Noi andiamo tutti alla St Matthew's School: i nostri amici abitano qui». I bambini hanno storie da adulti (e nomi di origine celtica) in questo ricamo di asfalto a pochi metri dal Lagan, dove anche i vicoli sono segnalati in lingua gaelica. La diffidenza è compagna di vita: al passaggio di un forestiero ci si sussurra qualcosa all'orecchio.
A poco più di due settimane dall e elezioni generali, la gente di Belfast fatica a scordare i traumi del passato. La formazione, nonché il funzionamento, dell'Assemblea di Stormont è ancora una scommessa. Responsabili di questa delicata operazione di democrazia consensuale saranno Ian Paisley del partito unionista Dup (Democratic Unionist Party) e il repubblicano Martin McGuinness dello Sinn Féin. I due partiti più estremi dello spettro politico dovranno trovare l'intesa per varare un governo di coalizione. E, al contempo, saranno chiamati a ricucire gli strappi di una società lacerata. Dalla firma dell'accordo di pace del Venerdì Santo, il 10 aprile del 1998, nella capitale dell'Ulster i muri sono quasi raddoppiati. Riluttanti le istituzioni, sono stati unionisti e repubblicani a pretendere questi «recinti» in una schizofrenica corsa alla separazione. Oggi nessuno se la sente di rinunciare alle 27 linee della pace che ingabbiano la città. I nomi dei «martiri» sono ancora lì, a ogni angolo di strada, tirati a lucido su centinaia di placche commemorative o dipinti a mano sui murales. Bobby Sands e i nove militanti dell'Ira che si lasciarono morire di fame nella prigione di Long Kesh restano gli eroi di tutti i quartieri cattolici. A loro rendono omaggio i dissidenti repubblicani che rifiutano i toni concilianti di Gerry Adams, storico leader dello Sinn Féin, e negano il consenso a una forza di polizia mista.
Nel distretto cattolico di Ardoyne, nella zona nord, uno steccato di lamiere verdi si arrampica per la collina tagliando a fette gli alloggi popolari. Qui nel 2001 l'attigua comunità protestante prese di mira la scuola elementare Santa Croce: sassi, insulti e molotov contro le bambine «colpevoli» di attraversare il quartiere unionista per recarsi a scuola. «La gente ha ancora bisogno di questi muri per sentirsi al sicuro - ammette padre Aidan Troy, parroco della chiesa di Santa Croce e preside della scuola femminile -. Stiamo gradualmente tornando alla normalità: la violenza è sporadica, non o ccorre più scortare le bimbe, anche se in pochi si fidano a lasciarle uscire da sole. Da queste parti ci si ignora a vicenda: le due comunità vivono segregate». La convivenza procede secondo le leggi della cautela: mai addentrarsi di notte in una zona avversaria, mai rivangare il passato o intavolare un discorso politico in un bar del centro. Il termine Troubles, con cui sono comunemente identificati i disordini degli anni Settanta, è stato bandito da un tacito protocollo di buone maniere. «Ci vorrà ancora molto tempo per cancellare il sospetto - osserva Tony Kennedy, capo dei volontari di Co-operation Ireland -. Negli anni Ottanta si pensava che la ricostruzione delle case popolari e una manciata di centri ricreativi bastassero a riconciliare la società. In realtà, non si sono affrontate le divisioni di fondo». L'attuale modus vivendi è tutto improntato a una cortesia di facciata: «In centro la gente appare serena e finge che non ci sia alcuna divisione. Ma di fronte a un nuovo interlocutore scattano i meccanismi di allarme: cattolico o protestante?».

Non è questione di religione; alla base del conflitto c'è l'assenza di un'identità nazionale condivisa. La fede è il pretesto per annientare l'«altro» sotto una mole di stereotipi. Si dice che i cattolici abbiano un aspetto più «irlandese» (capelli rossi, lentiggini, occhi e sopracciglia scure) e una pronuncia più marcata della lettera H (forse per via dell'odioso blocco H dove perì Bobby Sands). Per ovviare all'imbarazzo di una domanda diretta, basta indagare sul quartiere o la scuola frequentata. «È una questione tribale - spiega Michael Wardlow, capo del Comitato per le scuole integrate -. C'è la consapevolezza di essere diversi. I ragazzi sono iscritti in scuole separate e le occasioni di incontro restano rare». Per scongiurare l'autoisolamento il Comitato ha fondato 61 istituti integrati in tutto l'Ulster. Il primo fu inaugurato nella periferia di Belfast nel 1981. «Stiamo seguendo il cammino degli Stati Unit i. Fino agli anni Cinquanta bianchi e neri non avevano mai condiviso un'aula scolastica, poi le cose sono cambiate. La nostra non è un'istruzione laica: i ragazzi possono scegliere se partecipare alle rispettive ore di religione».
C'è una novità che potrebbe accelerare i tempi della pace: è la manodopera straniera che bussa alle porte dell'Irlanda del Nord. Polacchi, lituani e portoghesi sono i primi migranti ad accompagnarsi alla classe operaia locale: inattesi attori di un melting pot ancora da costruire. Forse insieme a loro si potranno gettare i semi della convivenza. Ma si guarda anche all'arrivo dei rappresentanti di altre confessioni: musulmani, hindu, sikh. «Il Paese è cristallizzato in una divisione secolare che risulta secondaria se confrontata alle nuove sfide della società globale», conclude Wardlow. Intanto a Belfast i bus turistici fanno a gara con i taxi neri degli ex detenuti per mostrare i luoghi caldi del conflitto, a partire dalla cattolica Falls Road e dalla protestante Shankill. Tutto è passato. Ma tutto è al solito posto: murales, slogan pro-Ira, pali della luce avvolti nel tricolore o nella Union Jack. Alle sei in punto gli operai del Titanic Quarter smettono di lavorare; quello che l'architetto Eric Kuhne chiama «un futuro di spazi neutrali» torna a essere un mesto deserto di sabbia e cemento. Il centro si svuota; ognuno fa rientro al proprio orizzonte. Il presente è racchiuso tra le mura soffocanti di una peace line.