Arafat assassinato?
di Stefano Vernole - 20/11/2005
Fonte: Stefano Vernole
L’11 novembre 2004 alle ore 3.30 del mattino, presso l’ospedale di Percy nel sud di Parigi, si spegneva il simbolo della lotta palestinese.
A un anno esatto di distanza dalla sua morte, un interessante articolo apparso sul mensile francese “Le Monde Diplomatique” (novembre 2005) riapre prepotentemente una questione mai chiarita: Yasser Arafat fu assassinato?
L’ipotesi è suffragata da numerosi elementi, innanzitutto dalla strategia politica dell’esecutivo di Tel Aviv.
Anche dopo il ritiro israeliano la striscia di Gaza rimane per i suoi abitanti una prigione a cielo aperto e la colonizzazione della Palestina continua quotidianamente, con lo Tsahal che controlla tutte le vie di comunicazione della regione.
La morte del presidente dell’ANP s’inserisce perciò nella logica della pace sionista, un progetto caratterizzato dalle misere concessioni israeliane ma foriero di nuove divisioni nel campo palestinese, al punto che oggi le varie fazioni si trovano sull’orlo della guerra civile, esattamente la prospettiva che il “vecchio” Abu Ammar fece di tutto per scongiurare.
La nuova dirigenza di al Fatah ha purtroppo da tempo fatto capire che bisognerà accontentarsi e la stessa richiesta di un ritiro integrale da tutti i territori occupati nel 1967 appare ormai un’utopia; l’espropriazione di nuove terre in Cisgiordania, l’ingrandimento del quartiere ebraico a Gerusalemme e la costruzione del muro dell’apartheid stanno lì a testimoniare che presto verrà accettato anche quello che proprio Arafat aveva già rifiutato a Camp David.
Aldilà delle convenienze politiche, sono proprio gli stessi riscontri medici a suscitare ancora in questi giorni forti dubbi sulla sua tragica fine.
Le tre cause che furono inizialmente ipotizzate per giustificare l’improvviso aggravamento delle condizioni del capo palestinese furono nell’ordine, una semplice infezione, la contrazione dell’aids e l’avvelenamento.
A meno di un mese dal decesso, il supplemento settimanale del quotidiano israeliano Haaretz le riduceva a due: aids e avvelenamento, ammettendo però che le possibilità si trattasse di sindrome da hiv erano molto ridotte.
D’altronde la prima ipotesi, quella della semplice infezione, mancava di qualsiasi fondamento medico; nessun dottore, fosse francese, palestinese, egiziano, tunisino o giordano affermò mai di aver scoperto una traccia d’infezione negli esami clinici, in ogni caso si sarebbe trattato di un problema sicuramente affrontabile con l’ausilio di antibiotici.
La congettura dell’aids sembra invece essere stata avanzata al solo scopo di scalfire l’immagine popolarissima del rais.
Un’inchiesta del New York Times la escluse immediatamente, in quanto i medici francesi non l’avevano nemmeno presa in considerazione, mentre quelli tunisini, che avevano provveduto ad effettuare un test hiv, ottennero responso negativo.
Nessun documento medico, come confermato da Al Kourdis dottore personale di Arafat per oltre vent’anni, menziona questa malattia.
Nonostante la secca smentita delle autorità israeliane, perciò, l’accusa di un avvelenamento voluto dalla dirigenza sionista rimane tuttora valida.
Che il Mossad ami giocare con i sieri è testimoniato dal tentativo di assassinare un noto dirigente di Hamas, Khaled Meshal, al quale il 25 settembre 1997 mentre si trovava ad Amman fu iniettato un veleno nell’orecchio.
La furiosa reazione di re Hussein di Giordania costrinse in quell’occasione Israele a fornire immediatamente l’antidoto, pena lo scoppio di una durissima crisi diplomatica tra i due paesi.
Se è vero che i medici dell’ospedale Percy scrissero nel loro rapporto di non aver trovato tracce di veleno conosciuto, bisogna però ricordare come diversi esperti ritengono sia possibile fabbricare facilmente dei prodotti tossici non individuabili, in quanto spariscono dopo aver fatto effetto.
Anche il medico giordano Ashraf Al-Kourdi, che aveva a lungo seguito Arafat durante la sua malattia, dichiarò di aver percepito dei segni di avvelenamento.
Per questo motivo egli richiese la creazione di una commissione d’inchiesta indipendente per avere un’autopsia che determinasse le cause della morte del presidente dell’ANP.
Ariel Sharon, che pochi mesi prima a precisa domanda aveva risposto di mettere sullo stesso piano il ruolo di Arafat e quello di Ahmed Yassin e Abdel Aziz Al-Rantisi (i due dirigenti di Hamas uccisi dall’entità sionista), fu momentaneamente bloccato dal mancato via libera degli Stati Uniti, preoccupati che l’eliminazione di Abu Ammar mettesse definitivamente la parola fine a qualsiasi trattativa diplomatica tra arabi e israeliani.
Quanto il mandante di Sabra e Chatila sia solito mantenere le promesse, però, non lo sappiamo.