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Ondata di violenze nella capitale keniana, politica e criminalità vanno a braccetto

di Matteo Fagotto - 20/02/2007

Welcome to Nairobbery
Assalti alle automobili in pieno giorno, furti, rapine in banca. Un’ondata di violenza ha colpito la capitale keniana Nairobi, facendo negli ultimi tre mesi oltre 50 vittime, tra cui due statunitensi e personalità di spicco del mondo scientifico locale. Ma quella che sembrava una recrudescenza nell’attività delle gang che controllano la città potrebbe rivelarsi un fenomeno molto più preoccupante. In vista delle elezioni di novembre, le gang sarebbero state assoldate da alcuni politici, che chiedono “una mano” durante la campagna elettorale in cambio dell’impunità per i crimini commessi.
 
Il fuoristrada di proprietà del missionario statunitense uccisoCriminalità. Rapine e violenze non sono mai state estranee alla città, conosciuta negli anni ’70 con il gioco di parole di Nairobbery (robbery in inglese significa rapina). Ma colpisce il fatto che, negli ultimi mesi, gli assalti agli automobilisti siano diventanti frequenti anche durante il giorno, e che si concludano spesso con la morte del malcapitato. A farne le spese, tra gli altri, un missionario statunitense e la figlia, freddati alcune settimane fa. Anche le rapine in banca e i furti nelle case sono cresciuti, tanto da far finire il Kenya nell’elenco dei Paesi considerati a rischio dal Dipartimento di Stato Usa. “Una decisione paranoica – commenta il portavoce della polizia Gideon Kibunjah, raggiunto telefonicamente – visto che nel mese di gennaio abbiamo registrato un aumento della violenza dell’1 percento, mentre in febbraio la situazione è tornata alla normalità. Il Kenya è un Paese sicuro, non un paradiso per gangsters”. Poco più che ordinaria amministrazione insomma, secondo la linea delle autorità. Ma l’opinione pubblica non sembra pensarla allo stesso modo.
 
Collusioni. “Il problema della violenza sta crescendo molto – dichiara al telefono il giornalista Kennedy Ablao Oluoch, corrispondente della Panapress – e i diplomatici residenti a Nairobi ne sono a conoscenza. Per questo stanno facendo pressione sul governo”. “Ieri, per la seconda volta in una settimana, una gang armata di Ak-47 ha fatto irruzione in una scuola elementare – rincara la dose Dennis Onyango, direttore del quotidiano Eastandard– i responsabili però sono rimasti impuniti. Anche perché c’è il fondato sospetto che godano della protezione di politici molto in alto”. La situazione attuale, a nove mesi dalle elezioni, assomiglia a quella della prima repubblica keniana degli anni ’70, quando il presidente Daniel Arap Moi veniva accusato di finanziarsi le campagne elettorali con i soldi procuratigli dalla malavita. “Alcuni candidati hanno già preso contatto con le gangs – prosegue Onyango – e in cambio dell’impunità per le bande chiedono una parte dei proventi per la campagna elettorale e manforte per intimidire gli oppositori”.
 
Membri di una gang a NairobiArmi. Il legame tra politica e criminalità in Kenya sembra più stretto del previsto. Tanto che il governo avrebbe approfittato delle periodiche amnistie, pensate per decongestionare le carceri, per liberare alcuni tra i più pericolosi capi banda. “La polizia non ha il controllo sui nomi di chi viene amnistiato – rivela Onyango – in questo modo è molto facile per i leader malavitosi pagarsi la libertà tramite mazzette e confondersi in mezzo agli altri prigionieri in uscita. L’ultima volta sono stati rilasciati più di mille prigionieri, tra cui alcuni pezzi grossi della malavita locale”.
A contribuire all’ondata di violenze ci sarebbe anche una (prima impensabile) disponibilità di armi di grosso calibro. Le autorità ritengono che la maggior parte dei fucili d’assalto finiti in mano alle gangs provenga dalla Somalia. “Vista la guerra civile somala, centinaia di persone tentano ogni giorno di attraversare la frontiera – conferma Kibunjah – e molte sono armate. Nonostante la chiusura dei posti di confine, monitorare l’intera frontiera non è facile, anche perché molti immigrati si nascondono nelle foreste durante il giorno e attraversano il confine con l’oscurità”. Una versione a cui però Onyango non crede: “La scusa delle armi è stata usata troppo a lungo, sarebbe ora di capire che il problema è in casa nostra”.