Misteri e miti del calore: una breve storia del caldo e del freddo
di Eugene F. Mallove - 17/05/2005
Gran parte di ciò che sappiamo – o pensiamo di sapere – del calore affonda le sue radici nel diciannovesimo secolo, ma le riflessioni su che cosa sia realmente il calore risalgono a molto tempo prima. Le popolazioni primitive sapevano bene che sfregando insieme due bastoncini di legno si produceva calore e successivamente fuoco, ma collegare l’idea degli atomi a questo “calore” era al di là perfino dell’ingegno straordinario degli antichi greci.Una breve scorsa alla Biographical Encyclopedia of Science and Technology1 di Isaac Asimov rivela questo antico retroscena della teoria atomica e pre-atomica: il filosofo greco Anassimandro (610-546 a.C.) immaginò una “massa informe che era al contempo fonte e destinazione di tutte le cose materiali.” Il nome che egli diede a questa impercettibile sostanza fu apeiron, che tradotto significa infinito. Pertanto, il precursore delle teorie dell’etere del tardo ‘800, e delle forme in cui stanno attualmente riemergendo dopo essere state affossate da Einstein nel ventesimo secolo, può essere ricondotto a un’epoca tanto lontana. Si potrà certamente affermare – dopo molte altre sanguinose battaglie – che l’etere energetico dà origine alla materia, oltre a essere depositario della sua estinzione localizzata. Questo etere, che forma un universo forse infinito nel tempo, è quasi sicuramente destinato a sconfiggere l’indimostrato mito cosmologico del Big Bang. Un altro filosofo greco, Leucippo (nato nel 490 a.C.), è generalmente considerato il principale autore dell’ “atomismo”. Il filosofo greco Democrito (440-371 a.C.), studente di Leucippo, avanzò l’ipotesi di un vuoto in cui gli atomi si muovevano e interagivano. Infine, sotto l’influenza di queste prime riflessioni, l’atomismo venne codificato ed elaborato dallo scrittore romano Lucrezio (Tito Lucrezio Caro – 95-55 a.C.) nella sua opera “De Rerum Natura” (“Sulla natura delle cose”). L’atomismo continuò a giocare un suo ruolo nel pensiero scientifico fino al Secondo Millennio, ma poiché nessuno aveva visto o conosceva la natura degli atomi, nella seconda decade del ventesimo secolo perfino scienziati di primo piano, come Ernst Mach (1838-1916), giunsero a dubitare della loro esistenza. Alla presenza del teorico Ludwig Boltzmann, in occasione dell’esposizione della teoria cinetica dei gas presso l’Accademia Imperiale delle Scienze a Vienna nel gennaio del 1897, Mach proclamò “Non credo che gli atomi esistano!”2. È affascinante che la prima macchina termica conosciuta (una macchina che converte calore in lavoro) facesse a sua volta parte del retaggio dell’antica Grecia – il primitivo aeolipile di Hero (primo secolo d.C., anno 75 circa, come alcuni ritengono) che utilizzava l’azione del getto di vapore per ottenere la rotazione di una sfera. Significativo esempio del fatto che un’invenzione possa fare la sua comparsa per poi scomparire se non viene prodotta e utilizzata su vasta scala, le macchine termiche fecero la loro ricomparsa quali strumenti funzionali solo nel diciassettesimo e diciottesimo secolo, inizialmente impiegate per azionare delle grossolane pompe per l’acqua. Un’affascinante storia dello sviluppo di queste macchine è quella narrata da John F. Sandfort in Heat Engines3. Durante il processo di sviluppo di queste prime macchine termiche, poche persone parvero avere riflettuto su cosa fosse questo “calore” ottenuto dalla combustione del legno o del carbone. Il cosiddetto “padre della chimica”, lo scienziato francese Antoine Laurent Lavoisier (1743-1794) è identificato soprattutto con il concetto di calore come fluido invisibile, che a lui deve il famoso nome di “calorico”. Si riteneva che il calore fosse ottenuto sottraendo calorico al materiale attraverso lo sfregamento o per mezzo della combustione – il calorico era il calore. Il che portò a una domanda ovvia: quanto calorico poteva essere contenuto all’interno di una determinata massa di materiale? Nel suo Trattato Elementare di Chimica (pubblicato postumo nel 1798) Lavoisier elenca gli “elementi”allora noti – anche se l’effettiva esistenza degli atomi era ancora in discussione. In quella lista di elementi Lavoisier incluse, che lo si creda o meno, la luce e il calore! Ora, come osserva Asimov, “Egli aveva eliminato un fluido imponderabile, il phlogiston, e tuttavia fu in parte per via della sua influenza se, per mezzo secolo, il calorico, ugualmente illusorio, continuò ad esistere nelle menti dei chimici.” Potremmo aggiungere che a sopravvivere fu anche il dogma di Lavoisier della non trasmutabilità degli “elementi” – così come egli li conosceva allora. Questo dogma, vecchio di duecento anni, si combina (negli ultimi anni del ventesimo e nei primi anni del ventunesimo secolo) con le moderne teorie delle strutture atomiche per negare le prove sperimentali delle reazioni nucleari a bassa energia. Forti miti e dogmi, una volta iniziati, hanno vita molto lunga. La teoria del calorico sopravvisse sorprendentemente a lungo. Continuò ad esistere fino al diciannovesimo secolo, a dispetto di molti esperimenti che dimostrarono che il calorico, se esisteva, non aveva importanza. E ci furono teorici che scoprirono la teoria cinetica dei gas, James Clerk Maxwell (1831-1879) e Ludwig Boltzmann (1844-1906), le cui teorie diedero un fortissimo sostegno all’atomismo. Perfino il convincente lavoro sperimentale di Benjamin Thompson (1753-1814), un espatriato dalle colonie americane di Inghilterra (gli attuali Massachusetts e New Hampshire) che in Baviera ottenne il titolo di conte Rumford, non fu in grado di eliminare l’idea del calorico. Nel suo lavoro sulla alesatura dei cannoni d’ottone del suo mecenate tedesco, risalente alla fine degli anni ’90 del 1700, Rumford osservò che i trucioli metallici risultanti dalla perforazione sembravano mantenere la stessa capacità calorica sia prima che dopo l’alesatura. Egli suggerì che la materia continua a fornire calore senza limitazione – un concetto estremamente rivoluzionario in netta contraddizione con la teoria del calorico. Egli scrisse: “Più meditavo su questi fenomeni [sic], più essi parevano onestamente invitarmi a considerare con maggiore attenzione la natura segreta del Calore: e per consentirci di formare alcune ragionevoli congetture in merito all’esistenza o alla non esistenza di un fluido igneo: un argomento sul quale le opinioni dei filosofi sono state, in tutte le epoche, divise. Non è il caso di insistere sul fatto che qualsiasi cosa, che qualsiasi corpo isolato, o sistema di corpi, sia in grado di continuare a fornire senza limitazione non può essere una sostanza materiale: e mi pare estremamente difficile, se non impossibile, formarmi un’idea distinta di una cosa in grado di essere eccitata o comunicata, nella maniera in cui il Calore è stato eccitato e comunicato in questi Esperimenti, se non nel MOTO.” (citazione da J.F. Sandfort3). Oggigiorno una persona che disponga di conoscenze scientifiche è in grado di comprendere che il moto eccitato e caotico degli atomi e delle molecole crea nel nostro corpo o negli strumenti di misurazione una sensazione di caldo o freddo. Ma questa idea del calore è relativamente moderna – il risultato del lavoro di Rumford e di altre conoscenze sviluppate nel diciannovesimo secolo, in particolare il lavoro di James Prescott Joule (1818-1889). Secondo Isaac Asimov, i primi scienziati avevano concepito il calore come una forma di moto, tra questi Francis Bacon (1561-1626), Robert Boyle (1627-1691) e Robert Hooke (1635-1703), ma il calorico continuò a sopravvivere fino a che, si dice, alla fine Maxwell lo soppresse. È sorprendente constatare come molte moderne concezioni (o “leggi”) scientifiche sul calore – termodinamica – siano state elaborate durante il diciannovesimo secolo, un periodo di grande confusione circa la natura fondamentale del calore. Come avrebbe potuto essere altrimenti, considerato che l’esistenza stessa degli atomi era ancora in discussione! La pretesa che le leggi della termodinamica abbiano raggiunto uno stato di “quasi perfezione” nel ventesimo secolo (si veda Von Baeyer4) appare del tutto ingiustificata considerando che esse poggiavano su simili difettose fondamenta. Molto prima del diciannovesimo secolo vi era solo una debolissima idea della relazione tra calore ed energia. Pertanto non sorprende che ci volle molto tempo prima che l’importante paradigma della conservazione dell’energia, che in seguito sarebbe divenuto famoso come Prima Legge della Termodinamica, vedesse la luce. I nomi associati all’introduzione della conservazione dell’energia sono quelli del fisico tedesco Julius Robert Mayer (1814-1878), che anticipò le affermazioni sulla conservazione dell’energia tanto di James Joule che di Hermann Ludwig Ferdinand von Helmholtz (1821-1894). Nel 1842 Mayer aveva pubblicato una relazione sulla generale equivalenza di tutte le forme di energia, fornendo una prima previsione dell’equivalente meccanico del calore. Poiché Mayer non apparteneva all’establishment scientifico, la sua ipotesi sulla conservazione dell’energia, che all’epoca parve eretica, non fu accettata. Fu James Joule a eseguire la serie definitiva ed approfondita di esperimenti che dimostravano la convertibilità dell’azione meccanica in un equivalente calorico. Sebbene Joule avesse iniziato nel 1843 a pubblicare e a tenere conferenze sul suo lavoro, fu solo il 27 giugno del 1847, durante un decisivo incontro presso l’Università di Oxford, durante il quale egli tenne una lezione, che le sue idee iniziarono ad incontrare un certo plauso. In quella sede, l’uomo dell’establishment William Thomson (1824-1907), i cui saggi erano già da tempo pubblicati, nonostante avesse solo ventitre anni, rimase impressionato dal serio lavoro di Joule sull’equivalente meccanico del calore. (William Thomson divenne Lord Kelvin nel 1866, nome con il quale è maggiormente conosciuto). Ma nei tre anni successivi a quell’incontro, nella mente di Thomson continuò a regnare una profonda confusione, a causa del precedente lavoro dell’ingegnere francese Nicolas Léonard Sadi Carnot (1796-1832), da cui era rimasto ugualmente impressionato. Nel 1824 (anno della nascita di Thomson) Carnot aveva pubblicato un ragguardevole studio, nel quale si definiva in termini matematici il limite superiore di efficienza della macchine a vapore dell’epoca – e, per estensione, l’efficienza massima di tutte le macchine termiche. Carnot affermava che la più comune macchina termica assorbe calore da una sorgente ad alta temperatura (T1) e cede il calore in eccesso a una sorgente di temperatura più bassa (T2). La sua formula della massima efficienza di una macchina termica (T1-T2)/T1 sarebbe in seguito diventata un dogma sia per i fisici che per gli ingegneri. Una macchina termica in grado di convertire il calore in lavoro con un’efficienza pari al 100% traendolo da una sorgente a temperatura costante sarebbe da ritenersi impossibile sulla base di questa restrizione imposta da Carnot. È questa la base dei vari tentativi farsa di realizzare la cosiddetta “macchina a moto perpetuo di seconda specie”, di cui il marchingegno di Xu Yelin è un esempio. Dunque qual era il problema di William Thomson? Il fatto che, nel 1847, egli fosse ancora un fermo sostenitore della teoria del calorico! Del resto, lo stesso Carnot lo era stato, e Thomson credeva fermamente in Carnot – in effetti era stato Thomson a riscoprire l’oscuro saggio di Carnot e a promuoverne le idee. Ma Carnot aveva sviluppato la sua limitazione dell’efficienza applicata alla prestazione della macchina termica partendo dalla teoria del calorico. Ora, James Joule nel 1847 presentò del materiale ugualmente convincente per Kelvin, ma la conservazione dell’energia era in contrasto con la teoria del calorico. Tre anni più tardi, nel maggio del 1850, proprio mentre le ipotesi di Thomson a soluzione del paradosso andavano concretizzandosi, il fisico matematico tedesco Rudolf Clausius (1822-1888) pubblicò la sua soluzione al paradosso “Sulla forza motrice del calore e sulle leggi del calore che possono esserne tratte.” In un colpo solo Clausius aveva preceduto col suo “scoop” Kelvin e aveva dato una forma precisa alla Prima e alla Seconda Legge della Termodinamica – la conservazione dell’energia e la limitazione dell’efficienza di Carnot. La formula della Seconda Legge della Termodinamica, così come fu enunciata da Clausius recita: “È impossibile per una machina automatica, senza l’ausilio di agenti esterni, convogliare calore da un corpo all’altro a una temperatura più alta.” Nel 1851 Thomson avrebbe rivendicato la scoperta indipendente della Seconda Legge della Termodinamica. L’enunciato da lui formulato sarebbe stato: “È impossibile, per mezzo di un agente materiale inanimato, derivare l’effetto meccanico da una qualsiasi porzione di materia raffreddandola al di sotto della temperatura del più freddo degli oggetti circostanti.” Si ritiene che gli enunciati di Clausius e di Kelvin siano entrambi equivalenti. La teoria completa della termodinamica di Clausius fu pubblicata nel 1865; comprendeva l’introduzione dell’importante concetto di entropia, una misura del disordine che, si dice, all’interno di un sistema chiuso rimane costante o aumenta ineluttabilmente, ma non diminuisce mai. Da quel momento in poi, la fisica procedette di pari passi con la presunta inviolabilità della Seconda Legge della Termodinamica. È pur vero che, in linea generale, la Seconda Legge della Termodinamica stabilisce che il calore non possa fluire spontaneamente da un corpo freddo a un corpo caldo (ma si faccia attenzione, possono esservi delle eccezioni, come i “diavoletti avanzati di Maxwell”). Generazioni di studenti hanno avuto la “dimostrazione” matematica di questa Seconda Legge e della massima efficienza di Carnot, che sarebbe nientemeno che il ragionamento circolare: se il principio di Carnot riguardante la massima efficienza di una macchina termica reversibile fosse violato in questo o quell’altro sistema (mostrati in diagrammi elaborati e colorati all’interno dei costosi testi di termodinamica) questo violerebbe la Seconda Legge della Termodinamica. Da ciò deriva che il limite dell’efficienza di Carnot si suppone essere dimostrato dalla reductio ad absurdum. La prova viene usata anche in senso opposto – per dimostrare la Seconda Legge di Carnot! Isaac Asimoov, da parte sua, ha ammesso con imbarazzante chiarezza la logica circolare implicita in questo ragionamento: “A partire dall’equazione di Carnot è possibile dedurre quella che oggi viene chiamata Seconda Legge della Termodinamica e Carnot fu il primo a cui fu concesso un barlume di quella grande generalizzazione.”1 Sfortunatamente per l’establishment fisico e tecnologico, ciò non parrebbe corrispondere a verità. Per il bene dell’Umanità, il fatto che questo dogma vecchio di quasi duecento anni stia ora per andare in frantumi è una buona notizia. Come hanno dimostrato Maurizio Vignati nel suo esauriente saggio e Xu Yelin nei suoi esperimenti (e altri in lavori che certamente seguiranno), la Seconda Legge della Termodinamica è semplicemente questo: una limitazione basata sulla convinzione che nessuna macroscopica violazione di questa limitazione sia mai stata vista o mai si sarebbe vista. Come dai dottori Paulo e Alexandra Correa, è emersa un’altra e più seria sfida alla Seconda Legge della Termodinamica. Essa emerse nel gennaio del 1941, quando Wilhelm Reich tentò invano di convincere Einstein a “guardare attraverso il suo telescopio” per vedere una persistente anomalia di temperatura che rappresentava una diretta violazione della Seconda Legge6. Einstein, in effetti, rifiutò di “guardare attraverso quel telescopio” e da allora noi abbiamo sofferto a causa di una ritardata consapevolezza dell’esistenza di un etere energetico e di una solida termodinamica. Ma adesso è stato aperto un percorso verso una più ampia comprensione dei fondamenti della fisica. Abbiamo appena iniziato a riformulare la teoria del calore, e questa riformulazione si estenderà ben al di là degli utili ma fortemente limitanti concetti che abbiamo ereditato dal diciannovesimo secolo. Attraverso le nuove descrizioni fisiche dell’etere energetico e in seguito all’emergere di una nuova consapevolezza dei difetti della termodinamica classica, tutti i libri di testo dovranno essere riscritti. Se qualcuno pensa che ciò sarà semplice, considerato il comportamento dell’establishment scientifico a partire dalla scoperta delle reazioni nucleari a bassa energia, farebbe bene a ricredersi. Come per la fusione fredda, convincere il fossilizzato establishment scientifico anche solo ad ascoltare richiederà dei congegni indiscutibili che incarnino questi principi. La cosa certa per ora è che ciò accadrà.NOTE 1. Asimov I. 1982, Asimov’s Biographical Encyclopedia of Science and Technology (Second Revised Edition), Doubleday & Company, Garden City, New York.
2. Lindley D., 2001, Boltzmann’s Atom: The Great Debate That Launched a Revolution in Physics, The Free Press, New York.
3. Sandfort J.F., 1962, Heat Engines: Thermodynamics in Theory and Practice, Doubleday & Company, Inc., Garden City, New York.
4. Von Bayer H.C., Maxwell’s Demon: Why Warmth Disperses and Time Passes, Random House, New York.
5. Vignati M., 1993, Crisis of a Dogma: Kelvin and Clausius Postulates at the Settling of Accounts, Astrolabium Associazione Culturale.
6. 1953, The Einstein Affair, Orgone Institute Press, Rangeley, Maine, la corrispondenza tra Albert Einstein e Wilhelm Reich nell’originale tedesco e nella traduzione inglese.