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Home / Articoli / Ultime notizie dal mondo 1-15 Febbraio 2007

Ultime notizie dal mondo 1-15 Febbraio 2007

di redazionale - 21/02/2007

 

 

a) Italia. Informazioni di natura finanziaria da anni passate alle autorità USA, in nome della «lotta al terrorismo». La competizione capitalistica passa anche attraverso questi sentieri. Non solo. Si tratta di un interessante, ulteriore aspetto della condizione di dipendenza (anche) del nostro paese verso gli Stati Uniti, in un articolo-denuncia su l’Unità (USA / Italia / Unione Europea. 9 febbraio). Ma l’Italia è o non è un paese imperialista? Come spiegare il disappunto di Prodi per l’esclusione dell’Italia dal tavolo dei negoziatori con l’Iran (cfr. Italia / Iran. 10 febbraio)? E trattasi solo dell’ultima chicca, tra le tante, in tema di dipendenza. Non è irrilevante, per l’impostazione di lotte e progetti di cambiamento, capire se l’Italia sia una potenza imperialista o una realtà asservita e colonizzata. Intanto pacche di Bush all’amministrazione Prodi per il «contributo» alla “missione” in Afghanistan (USA / Italia / Afghansitan. 15 febbraio). Ma in politica estera dove stanno le differenze con la precedente amministrazione Berlusconi?

 

b) Iran. Su un’imminente aggressione continuano ad arrivare segnali e a convergere molti analisti. (Cfr. USA / Iran al 7 e al 10 febbraio). Timori dalla Gran Bretagna (5 febbraio). Il nodo del contendere? Sempre il nucleare civile iraniano che Washington, senza alcuna prova, bolla come militare. Questo mentre la Casa Bianca intensifica le spese (anche) per il suo dichiarato nucleare militare e sostiene il Cairo per gli stessi programmi che dice di perseguire Teheran (USA / Egitto. 7 febbraio). Non indifferente a questo quadro di aggressività diffusa di Washington, lo sforno ed il testaggio di armi sempre nuove e più sofisticate (cfr. USA. 1 febbraio)

 

c) USA / Russia. I nodi delle frizioni attuali tra Washington e Mosca (cfr. 8 febbraio). Il Cremlino replica sull’energia e sulla geopolitica statunitense (2 e 11 febbraio).

 

Sparse ma significative:

 

  • Serbia / Kosovo. La chiamavano indipendenza: nascita di un protettorato (cfr. 3 e 15 febbraio)

 

  • Israele / Palestina. Varato il governo di unità nazionale palestinese. Termini dell’accordo e reazioni. Nuove provocazioni israeliane contro i musulmani a Gerusalemme. Cfr. 6, 7, 8, 9, 12, 13.

 

  • Somalia. L’avevano promesso; ora, il crescendo di attacchi delle Corti islamiche all’occupazione sta mettendo in difficoltà il processo di normalizzazione sponsorizzata dall’amministrazione Bush. Cfr. Somalia 10 e 13 febbraio e Uganda / Somalia al 13.

 

  • America Latina. Nazionalizzazioni in Venezuela (e qualcos’altro al 2, 4, 8, 13, 14 febbraio) e Bolivia (10 e 14 febbraio). Aggiornamento dall’Ecuador (14 febbraio).

 

 

Tra l’altro:

Irlanda del Nord (2, 11, 14 febbraio)

Euskal Herria (4, 13 febbraio)

Libano (4, 9 febbraio)

Iraq (9 e 15 febbraio)

Afghanistan (1, 4 febbraio)

Cecenia (14, 15 febbraio)

Nepal (3 febbraio)

Giappone / USA (15 febbraio)

 

 

  • Palestina. 1 febbraio. In Palestina si sta peggio che nel 2004. A fotografare l’attuale situazione politica, economica e sociale dei territori palestinesi è una relazione della commissione parlamentare inglese per lo sviluppo internazionale. Nel documento, la cui sintesi è stata pubblicata il 31 gennaio da Aljazeera.net, il Comitato spiega che la decisione di tagliare gli aiuti, presa lo scorso anno da Washington e Bruxelles in seguito alla vittoria elettorale di Hamas, ha lasciato metà della popolazione senza risorse alimentari e il 66% vive ora in stato di povertà. Il rapporto evidenzia l’azione di Israele, che permette la nascita di nuovi insediamenti all’interno dei territori occupati, costruisce nuove barriere di separazione e riduce l’accesso e lo spostamento dei palestinesi all’interno delle aree controllate. Secondo la commissione, il meccanismo degli aiuti diretti alla popolazione, che di fatto dovrebbe aggirare il governo di Hamas, è insostenibile. In conclusione, il presidente della commissione parlamentare Malcolm Bruce ha dichiarato che, come in passato la Gran Bretagna è riuscita a trovare un’intesa con un’«organizzazione terroristica» come l’IRA (Esercito Repubblicano Irlandese), è possibile aprire il dialogo con Hamas. Tanto più, aggiungiamo noi, che questa «organizzazione terroristica», come la presuntivamente altra, gode di un consenso di massa ed è al governo dopo elezioni ritenute –da osservatori occidentali non sospettabili di simpatie per Hamas– «regolari».

 

  • Afghanistan. 1 febbraio. L’amministrazione Bush scarica a Kabul 12mila armi, leggere e pesanti, e 800 veicoli militari. «È la prima volta che abbiamo ricevuto un quantitativo di armi così ingente per rafforzare il nostro esercito», ha dichiarato alla Reuters il portavoce del ministero della difesa afghano Zahir Azimi. Al Pakistan sono invece appena arrivati otto elicotteri d’assalto AH1-F Cobra. Anch’essi dovranno servire a dare la caccia ai taliban nella provincia nordoccidentale del Pakistan, dove ufficialmente gli statunitensi non sono autorizzati ad operare. Gli esperti si dicono convinti che il peggio debba ancora venire e che inizierà a manifestarsi con l’offensiva di primavera.

 

  • USA. 1 febbraio. Si testano armi in Iraq e nelle zone di aggressione imperiali. Il dipartimento di Stato USA annuncia stavolta l’introduzione a breve di ‘Non Lethal Electrical Shock Weapons (Bio-Effect Weapons)’, ossia armi a microonde che definisce non letali. Su queste si è già scritto quando immagini di cadaveri iracheni e libanesi hanno fatto il giro del mondo e si è appurato l’impiego di armi a microonde da parte di USA e Israele. In un range a cavallo dei 95 GHz –dicono– si ha una bassa penetrazione e quindi solo un senso di bruciore e conseguente fastidio. Frequenze inferiori (intorno ai 2,5 GHz) provocano, invece, surriscaldamento fino a ‘cuocere’ i tessuti, alla stessa stregua del forno a microonde. Le microonde che colpiscono le cellule ne provocano la morte per ipertermia. Le cellule riscaldate muoiono o degenerano trasformandosi anche in neoplasie tumorali. Un principio che viene applicato –all’inverso– in campo medico quando si sfrutta l’ipertermia per curare particolari forme tumorali, distruggendo le cellule cancerogene.

 

  • USA. 1 febbraio. Le microonde non sono quindi sostanzialmente innocue, ma devono essere sapientemente gestite perché non producano effetti anche gravi sulle cellule. Sono caratterizzate da una pericolosità latente, intrinseca alle caratteristiche fisiche del tipo di emissione elettromagnetica, nota ormai da anni. Fin dalla fine degli anni Settanta, studi statunitensi e russi riferiscono che agendo sulle frequenze delle microonde è anche possibile condizionare il comportamento di un essere umano, come sollecitarne un bisogno corporale o, peggio ancora, provocarne un improvviso arresto cardiaco. Le microonde riescono a penetrare i corpi, a incunearsi anche nei pori dei mattoni e degli intonaci di un muro, arrivando a distruggere sostanze protette da contenitori a chiusura ermetica, anche metallici. L’impulso è in grado, inoltre, di mettere fuori uso sistemi elettronici sofisticati fino a bloccare il funzionamento delle moderne attrezzature meccaniche gestite da centraline elettroniche. Affermare, quindi, l’assoluta non letalità di armi che utilizzano microonde, è a dir poco azzardato se non pretestuoso. Non si può escludere, inoltre, che le microonde siano pericolose anche alle basse frequenze. Infatti, in tutti i tessuti biologici le cellule vitali sono posizionate a qualche millimetro sotto la cute e garantire che alle basse potenze non siano raggiunte è tutto da verificare. Per esempio, la cornea dell’occhio non è irrorata da vasi sanguigni che possono garantire un minimo di raffreddamento. Se l’occhio venisse colpito da microonde, seppure a bassissima penetrazione, l’organo tenderebbe a subire un surriscaldamento immediato, esattamente come avviene quando è sottoposto ad una forte e prolungata esposizione all’irraggiamento solare. In questi casi i danni all’occhio sarebbero sicuramente irreversibili e con elevata probabilità potrebbero innescarsi effetti di mutazione neoplastica delle cellule non completamente distrutte.

 

  • USA. 1 febbraio. «Ciò che stiamo facendo (in Iraq, ndr) non funziona. Credo per questo che occorra fare qualcosa di diverso». Lo ha detto l’ammiraglio William Fallon, parlando in Senato nel corso dell’audizione per la sua conferma a capo del Centcom, il comando del Pentagono cui fanno capo le operazioni militari statunitensi in Medio Oriente. Una svolta è possibile, ha aggiunto Fallon, «ma c’è poco tempo»: serve «un nuovo tipo di azione» ed è arrivato il momento di «ridefinire gli obiettivi» dell’intera impresa USA in Iraq.

 

  • Irlanda del Nord. 2 febbraio. Sinn Féin esige da Londra giustizia sul tema della connivenza tra poliziotti e lealisti. Il dirigente repubblicano Gerry Adams ha ribadito che farla finita con l’impunità degli ufficiali implicati nella connivenza con paramilitari lealisti è una delle ragioni che porta il Sinn Féin a partecipare alle strutture di polizia, ed ha aggiunto che il governo di Londra deve concorrere ad apportare soluzioni per risolvere questa questione. Adams ha dichiarato di aver ricevuto impegni, in tal senso, dal primo ministro britannico, Tony Blair. Varie forze di polizia hanno passato, negli anni, informazioni ai lealisti perché compissero attentati ed assassinii. L’ultima risultanza, in tal senso, è contenuta nell’inchiesta del Difensore del Popolo, Nuala O’Loan. Adams ha ribadito che la decisione del Sinn Féin di appoggiare il servizio di polizia nordirlandese non è avvenuta in risposta alle esigenze dell’unionista DUP (Democratic Unionist Party) ma «per il bene comune e nell’interesse nazionale», giacché, a suo giudizio, c’è bisogno di «una polizia genuinamente civile e democratica da responsabilizzare nelle sue attuazioni» e risolvere la questione che alcuni ufficiali, colpevoli di connivenza con gli squadroni della morte, potrebbero ancora trovarsi nel corpo di polizia.

 

  • Irlanda del Nord. 2 febbraio. «Terrorismo internazionale» britannico anche nella Repubblica irlandese. MaryLou McDonald, una delle europarlamentari del Sinn Féin, ha consegnato al primo ministro britannico, Tony Blair, una relazione del Comitato di Giustizia del Parlamento irlandese nel quale si dettagliano azioni lealiste nella Repubblica irlandese. Emergono connivenze tra paramilitari e polizia che il Comitato qualifica come «terrorismo internazionale». McDonald ha denunciato che l’amministrazione britannica si è rifiutata di collaborare con l’inchiesta «nonostante l’evidenza opprimente della complicità dello Stato britannico negli assassinii e negli attentati in Irlanda».

 

  • Irlanda del Nord. 2 febbraio. Nordirlandesi nel Parlamento di Dublino. Il governo irlandese ha confermato l’intenzione di creare un comitato speciale nel Parlamento irlandese, che tratterà questioni riferite al nord Irlanda. Vi parteciperanno politici del nord Irlanda eletti al Parlamento londinese. Senza entrare nel dettaglio della proposta, il ministro della Giustizia irlandese, Michael McDowell, ha affermato che il governo di Dublino sta ultimando questo piano. Si prevede un giro di consultazioni con tutti gli esponenti dei partiti nordirlandesi. Sinn Féin, che vuole la rappresentatività per gli eletti nordirlandesi nel Parlamento di Dublino, considera la proposta al di sotto delle aspirazioni repubblicane, mentre i partiti unionisti l’hanno definita una «fantasia nazionalista».

 

  • Russia. 2 febbraio. «Non usiamo e non useremo le forniture di energia come strumento di politica estera: semplicemente, dobbiamo adeguarci alle leggi del mercato, che alla fine sono vantaggiose per tutti». Così il presidente russo, Vladimir Putin, replica alle accuse che gli arrivano dai paesi occidentali (in particolare europei) su come Mosca stia gestendo negli ultimi anni i flussi di petrolio e gas destinati ai paesi vicini, o che attraverso questi devono passare. Nella sua annuale maxiconferenza con la stampa nazionale ed estera (oltre 1.200 giornalisti presenti e tre ore e mezza di botta e risposta) Putin ha detto che la Russia sta solo imponendo prezzi e regole del mercato internazionale a paesi abituati da generazioni a vivere con energia fornita a prezzi ridicoli (per l’allora convenienza politica dell’URSS). Insomma, Putin parla il linguaggio del mercato e di un paese con interessi fastidiosamente contrastanti con quelli di Washington.

 

  • Russia. 2 febbraio. Sulla recentissima decisione di installare in Polonia e Cechia sistemi antimissile statunitensi, il presidente russo ha detto che «sapremo rispondere, in modo asimmetrico ma efficace, al dispiegamento di quelle armi», sottolineando che «dire che servono contro i terroristi o contro l’Iran è una presa in giro: servono solo contro di noi». Il capo del Cremlino ha poi rincarato la dose accusando gli USA di «concorrenza sleale» per le sanzioni imposte ad alcune aziende russe esportatrici di armi: «Vogliono semplicemente rubarci il mercato. Ma la Russia intende incrementare ancora le sue esportazioni di armi in tutto il mondo».

 

  • Venezuela. 2 febbraio. Chávez annuncia la ripresa del controllo dei pozzi petroliferi della Faja dell’Orinoco a partire dal 1° maggio. Si tratterà del passaggio in mani pubbliche di almeno il 60% delle quattro società che lavorano il greggio nella regione e che sono controllate dalle statunitensi Exxon Mobil, Chevrom-Texaco e Conoco-Phillips, dalla britannica British Petroleum, dalla francese Total e dalla norvegese Statoil. Ha quindi preannunciato la nazionalizzazione della maggiore impresa elettrica del paese, Electricidad de Caracas, attualmente proprietà del consorzio statunitense Aes e di un gruppo di piccoli investitori, ribadendo che questo settore, strategico per il futuro del paese, deve tornare allo Stato. Nei giorni scorsi Chávez aveva anche parlato della nazionalizzazione della Cantv, Compañía Anónima Teléfonos de Venezuela (fino agli anni Novanta di proprietà statale e poi passata nelle mani della statunitense Verizon Communication).

 

  • Serbia / Kosovo. 3 febbraio. Quello del Kosovo «è un caso sui generis» e non sarà mai «un precedente per altri (casi, ndr)». È l’«avviso ai naviganti» lanciato dalla portavoce degli Esteri della commissione di Bruxelles, Emma Udwin, con riferimento alle proposte del mediatore ONU, Martti Ahtisaari, sul Kosovo. «Giuste ed equilibrate» sostiene il portavoce del Dipartimento di Stato statunitense, Sean McCormack. Le autorità di Belgrado non hanno nascosto a Ahtisaari il loro disaccordo.

 

  • Serbia / Kosovo. 3 febbraio. Un protettorato. È questo il destino del Kosovo secondo il piano del mediatore ONU, Martti Ahtisaari. La cosiddetta comunità internazionale «supervisionerà, controllerà e deterrà tutti i poteri necessari per assicurare l’adempimento effettivo ed efficace di questo accordo attraverso un rappresentante civile internazionale, che sarà nominato dall’Unione Europea e approvato dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU». La funzione di questo rappresentante civile sarà simile a quella dei diplomatici dell’Unione Europea in Bosnia. Si riserverà certi poteri per assicurare e supervisionare la messa in essere di questo piano. Avrà potere di decisione sulle questioni di sicurezza oltre che su temi politici e civili. Una forza militare sotto mandato NATO continuerà ad essere dispiegata in Kosovo per assicurare la sicurezza e sostenere l’applicazione dell’accordo. Il testo di una nuova Costituzione vedrà l’intervento del rappresentante internazionale cui spetta l’avallo finale.

 

  • Serbia / Kosovo. 3 febbraio. Divergono «su questioni di principio» le posizioni di Russia e USA sul Kosovo. Lo ha detto il ministro degli esteri russo Lavrov, reduce da una missione a Washington, alle agenzie russe. Mosca vuole una trattativa che sbocchi in una posizione accettabile sia per i serbi che per i kosovari, mentre Washington afferma che «non è possibile indugiare oltre e che occorre incaricare della soluzione il Consiglio di Sicurezza dell’ONU».

 

  • Nepal. 3 febbraio. Prosegue la rivolta nel sud. La rivolta della minoranza madheshi nel sud del Nepal (sono morte già dodici persone) è proseguita ieri nonostante l’offerta di autonomia e riforme elettorali fatte dal governo. Gli scontri delle ultime due settimane sono in corso nella pianura di Terai, dove abitano i madheshi. Questo conflitto getta ombre su un processo di pace e di transizione in Nepal che è cominciato a novembre con la firma degli accordi che hanno permesso l’incorporazione della guerriglia maoista nel Parlamento. I madheshi sono, secondo l’ultimo censimento, il 38% della popolazione, sebbene questi sostengano di rappresentare il 48%. Si sentono tradizionalmente emarginati dai nepalesi delle montagne e ora si considerano anche esclusi dal processo di pace. Chiedono più rappresentanza negli organi di governo, specialmente nell’Assemblea Costituente che uscirà dalle elezioni di giugno.

 

  • Euskal Herria. 4 febbraio. Diciannove gli indipendentisti baschi arrestati oggi a Bilbao, accusati di far parte dell’ETA. Appartengono all’organizzazione giovanile Jarrai, che il Tribunale Supremo ha recentemente definito «terrorista». Si erano asserragliati simbolicamente in un locale pubblico. Con loro anche dirigenti dell’illegalizzata Batasuna, considerata il braccio politico dell’ETA. Non hanno opposto resistenza all’arresto. Erano ricomparsi dopo alcune settimane di latitanza.

 

  • Libano. 4 febbraio. L’opposizione libanese proseguirà il sit-in nelle piazze di Beirut in segno di protesta contro il governo Siniora. La protesta è in corso da 66 giorni. «Chiediamo le dimissioni del governo, la formazione di un esecutivo di unità nazionale e la convocazione di elezioni anticipate», ha detto il vice segretario generale di Hezbollah durante la cerimonia di commemorazione di tre dei quattro ragazzi uccisi il 25 gennaio in scontri tra seguaci dell’opposizione e sostenitori del governo.

 

  • Iran. 4 febbraio. La Lega Araba chiede di trattare il programma nucleare dell’Iran insieme con quello di Israele. Il segretario generale della Lega, Amro Musa, ha dichiarato ieri alla stampa russa che la «comunità mondiale» deve trattare il problema nucleare di Teheran insieme a quello di Israele, che ha armi atomiche segrete. Ha poi ricordato che i paesi che hanno aderito al Trattato di Non Proliferazione hanno il diritto di sviluppare i loro programmi atomici a fini pacifici.

 

  • Afghanistan. 4 febbraio. Un maggiore contributo militare, altri mezzi corazzati, elicotteri da combattimento e cacciabombardieri (la Germania si accinge ad inviare otto Tornado): il tutto per far fronte ad un’offensiva che quasi certamente assumerà gli aspetti di un’insurrezione generale nell’intero paese. Lo ha chiesto agli alleati subalterni il generale statunitense Dan K. McNeill che domenica ha assunto il comando dei 35mila militari in Afghanistan.

 

  • Afghanistan. 4 febbraio. Frizioni tra Londra e Washington sulla conduzione delle operazioni in Afghanistan. Il nuovo comandante, il generale USA McNeil, ha criticato –riferisce il sito Bbc– la gestione britannica, in particolare la politica del comando britannico nei confronti dei consigli tribali, con i quali è stata fatta la pace e ai quali è stato delegato il controllo in alcune zone della provincia meridionale di Helmand. Fra queste c’è anche la cittadina di Musa Qala, caduta nei giorni scorsi nelle mani dei Taleban e che il comando d’occupazione promette di riconquistare.

 

  • Venezuela. 4 febbraio. Chávez ricorda il golpe del ‘92. Per la prima volta Hugo Chávez festeggia l’anniversario del 4 febbraio 1992, data del tentato golpe contro il governo di Carlos Andrés Pérez, che aveva risposto alle proteste popolari contro il carovita facendo sparare sulla folla. Il golpe dell’allora tenente colonnello Chávez fallì, ma quel giorno –ribattezzato Día de la Dignidad– segnò l’inizio della sua ascesa politica. «Il 4 febbraio 1992 si è prodotta la nascita di una democrazia socialista», ha affermato oggi Chávez.

 

  • Gran Bretagna / Iran. 5 febbraio. Un attacco militare avrebbe l’effetto di rafforzare le ambizioni atomiche dell’Iran e di minare gravemente le speranze di stabilità in Iraq, oltre a far schizzare in alto i prezzi del petrolio danneggiando la stabilità economica globale. Inoltre rafforzerebbe le correnti oltranziste a Teheran. È il senso di un documento diffuso ieri da una coalizione di organizzazioni britanniche di fronte all’escalation –non solo retorica– degli Stati Uniti contro Teheran: una seconda portaerei USA è stata spedita nel Golfo ed il presidente George Bush ha dato ordine alle forze statunitensi in Iraq di sparare contro «agenti iraniani». Nel gruppo delle 17 organizzazioni britanniche firmatarie ci sono il Foreign Policy Centre, Oxfam e il Muslim Council of Britain. Il documento raccomanda di riprendere il dialogo con l’Iran, di rimuovere o arrivare a un compromesso sulle condizioni preliminari; di promuovere colloqui diretti tra Teheran e Washington; di sviluppare il «grand bargain», il pacchetto di incentivi e accordi proposto l’anno scorso dalle potenze mondiali all’Iran in cambio della sospensione di arricchimento dell’uranio. Gli USA stanno facendo forti pressioni sugli alleati europei, banche e aziende petrolifere, perché taglino i ponti con l’Iran.

  • Turchia / USA. 6 febbraio. Ankara cerca di coinvolgere Washington contro il PKK. Il ministro turco degli Esteri, Abdulah Gül, sarà ricevuto oggi dalla sua omologa statunitense, Condoleezza Rice, a Washington. Sul tavolo, secondo la stampa turca, possibili operazioni transfrontaliere contro il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK). La Turchia ha innalzato, negli ultimi mesi, il tono delle sue richieste alla Casa Bianca affinché agisca, o le permetta di farlo, contro le basi che la guerriglia del Kurdistan Nord ha nel sud del suo paese, su suolo ufficialmente iracheno. Il Parlamento kurdo ha messo in guardia da eventuali operazioni di punizione contro il PKK.
  • Bielorussia / Russia. 6 febbraio. La Bielorussia aumenterà le tasse di transito sul petrolio russo del 30% dal 15 febbraio. La tariffa salirà così da 2,60 dollari per tonnellata a 3,50, per Germania e Polonia, mentre quelle per Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca e Ucraina aumenteranno da 1,14 a 1,50 dollari. È una tariffa inferiore rispetto a quella che Minsk tentò di imporre a Mosca il mese scorso, 45 dollari a tonnellata, nella disputa che indusse la Russia a tagliare per 3 giorni i rifornimenti all’Europa.

  • Israele. 6 febbraio. Scarcerare Barghuti per alimentare la guerra civile palestrinese. Lo ha proposto ieri il ministro israeliano dell’Ambiente, Gideon Ezra, secondo il quale Marwan Barghuti, dirigente di Al Fatah condannato a cinque eragstoli, dovrebbe essere scarcerato per appoggiare Abbas nel suo scontro con Hamas. «Se vogliamo ridurre il potere di Hamas e se preferiamo in ultima istanza un governo civile rispetto ad un governo religioso similare a quelli che stanno prendendo il potere nel mondo arabo, dovremmo contribuire liberando Barghuti», ha aggiunto Ezra.

 

  • Israele. 7 febbraio. Intervenire ora nella Striscia di Gaza sarebbe «controproducente» per Israele. Il capo del servizio segreto interno israeliano (Shin Beth), Youval Diskin, ha sconsigliato come «controproducente» un intervento militare a Gaza «perché spingerebbe i gruppi palestinesi a porre fine ai loro contrasti e a far causa comune contro i soldati israeliani». Il governo concorda pienamente con questa tesi. Israele ha ordinato, nell’estate 2005, l’evacuazione militare e coloniale di Gaza. Il che non impedisce la periodica realizzazione di incursioni di punizione anche collettiva. Nei giorni scorsi il quotidiano Haaretz aveva filtrato l’intenzione di responsabili delle forze armate di Israele di una vasta operazione terrestre nella Striscia di Gaza contro Hamas e, di fatto, di sostegno ad al-Fatah. Negli ultimi giorni i dirigenti islamici hanno intensificato gli attacchi ad al-Fatah per ricevere armi e sostegni finanziari se non da Israele, almeno con il suo assenso.

 

  • Palestina. 7 febbraio. Il deputato ed ex ministro Qadura Fares riferisce dell’incontro avuto qualche giorno fa in un carcere israeliano con il «comandante dell’Intifada» Marwan Barghuti che sta mediando tra Hamas e Fatah.

 

  • USA / Egitto. 7 febbraio. «Da Washington ok a piani nucleari del Cairo». Sul nucleare civile la Casa Bianca concede all’Egitto quel che nega all’Iran. Secondo il quotidiano egiziano indipendente el Masr el Yom, Washington sarebbe pronta a fornire al Cairo esperti che seguano tutte le fasi tecniche del processo di arricchimento dell’uranio e avrebbe già promesso 63 milioni di dollari per la prima parte del programma, scadenza 2014. Il dimissionario sottosegretario di Stato USA per il Controllo degli Armamenti e gli Affari Internazionali di Sicurezza, Robert Joseph, dopo un incontro con il ministro dell’Elettricità egiziano Hassan Younis, ha confermato in conferenza stampa l’intendimento della Casa Bianca.

  • USA / Africa. 7 febbraio. Arriva il comando militare unificato statunitense. Il Pentagono istituirà un nuovo comando regionale per coordinare le attività militari in Africa. Lo ha annunciato il capo del Pentagono, Robert Gates, nel corso di un’audizione davanti ai senatori della commissione Forze armate. Gates ha spiegato che il presidente, George W. Bush, ha deciso di creare un quinto comando regionale che sarà guidato da un generale a quattro stelle. Il nuovo Comando dovrà occuparsi di problemi di interesse militare, ma anche diplomatici, medici e di intelligence. Ad affiancare il contrammiraglio Robert Moeller, comandante della nuova struttura, verrà chiamato un diplomatico. Non è chiaro se il quartier generale avrà sede su quel continente o negli Stati Uniti come per il Comando centrale, il Comando meridionale e il Comando Pacifico. Bush ha collegato la decisione con le operazioni militari che l’autoreferenziale governo somalo, insieme alle truppe etiopi e ai bombardieri USA, sta effettuando per cacciare le milizie islamiche che avevano preso il comando a Mogadiscio. C’è poi il petrolio. Attualmente il 20% del petrolio importato negli USA proviene dall’Africa Occidentale, in particolare dal Golfo di Guinea. La percentuale salirà ad almeno il 25% entro la fine del decennio. Soprattutto gli Stati Uniti intendono contrastare la Cina che discretamente ha negli ultimi anni ampliato la propria influenza nel continente, puntando alle sue immense riserve di materie prime e considerandolo un mercato per le sue merci. L’Africom servirà anche a questo, a contrastare, o almeno rallentare, il cammino dei cinesi.

 

  • USA / Iran. 7 febbraio. «I tasselli si stanno posizionando. Saranno al posto giusto entro la fine di febbraio. In quel momento, gli Stati Uniti saranno in grado di attuare l’escalation militare contro l’Iran». Lo sostiene Sam Gardiner, ex colonnello della US Air Force, su Global Research. «Il secondo gruppo di attacco partirà dalla West Coast il 16 gennaio. Sarà raggiunto da navi sminatrici inglesi e statunitensi. Ai sistemi missilistici di difesa nordamericana è stato inoltre ordinato di dispiegarsi sul Golfo. Gli Stati Uniti stanno appoggiando alcune fazioni iraniane. Come l’Iran dispone di truppe per operazioni speciali in Iraq, così gli Stati Uniti hanno a disposizione truppe speciali che operano in Iran. Come l’Iran supporta Hamas, due settimane fa abbiamo scoperto che gli Stati Uniti appoggiano il presidente palestinese Abbas. Allo stesso modo, come l’Iran e la Siria sono a favore di Hezbollah in Libano, la Casa Bianca ha consentito alla CIA di aprire un’indagine al fine di sostenere i gruppi di opposizione in Libano. Come l’Iran sta appoggiando la Siria, abbiamo recentemente appreso che a breve gli Stati Uniti sosterranno economicamente i gruppi di opposizione».

 

  • USA / Iran. 7 febbraio. «La Casa Bianca continua a negare l’esistenza di piani militari contro l’Iran. Ovviamente, i fatti dicono il contrario». Per Sam Gardiner, ex colonnello della US Air Force, «se gli Stati Uniti stanno per colpire l’Iran, assisteremo ad alcuni passaggi. Innanzitutto sappiamo che esiste uno staff guidato dal National Security Council la cui missione è di creare rabbia nel mondo contro l’Iran. Come prima della seconda Guerra del Golfo, questo media group inizierà a spacciare storie per legittimare l’attacco contro l’Iran. I missili statunitensi forniti agli Stati del GCC [Gulf Cooperation Council - organizzazione internazionale dei sei Stati arabi del Golfo Persico, ndr] sono soltanto una parte dello spiegamento della difesa. Mi aspetto di vedere alcuni missili della difesa con sede in Europa dispiegati in Israele, proprio come prima della seconda guerra del golfo. Mi aspetto lo spiegamento di ulteriori caccia USAF nelle basi irachene, e forse in qualcuna in Afghanistan. Penso che sentiremo parlare dello spiegamento ai confini con l’Iran di alcune delle nuove forze in arrivo. La loro missione sarà quella di controllare ogni movimento iraniano verso l’Iraq. Fra gli ultimi passi prima di arrivare all’attacco, vedremo tankers USAF posizionarsi in luoghi insoliti, come la Bulgaria. Verranno usati per rifornire i bombardieri B-2 per sferrare l’attacco all’Iran. Quando accadrà, mancheranno pochi giorni all’attacco».

 

  • Palestina. 8 febbraio. Hamas e Fatah firmano un accordo per un governo di unità nazionale, alla Mecca (Arabia Saudita), dopo due giorni di colloqui. Il presidente palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ha incaricato l’attuale primo ministro di Hamas Ismail Haniyeh di formare il nuovo governo, ha annunciato Nabil Amr, consigliere di Abu Mazen, nel corso della cerimonia per la firma nel palazzo al Safa alla Mecca, alla presenza del re dell’Arabia Saudita Abdallah che ha organizzato l’incontro. L’accordo sulla formazione del governo, sul suo programma politico e sulla riorganizzazione dell’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) è stato firmato da Abu Mazen e dal leader di Hamas in esilio Khaled Meshaal. La dichiarazione, letta da Amr, non parla di riconoscimento di Israele. Ma Abu Mazen ha detto che il nuovo governo dovrà rispettare le «norme internazionali» e gli accordi siglati dall’OLP. Nel nuovo esecutivo Hamas dovrebbe avere nove portafogli, Fatah sei, i piccoli partiti tre. I ministeri cruciali degli esteri, delle finanze e degli interni andranno a tre indipendenti. Fatah avrà un vicepremier, nominato dal presidente Abu Mazen.

 

  • Palestina. 8 febbraio. Il vertice della Mecca certifica la perdita di influenza dell’Egitto nel mondo arabo. «Ci sono vari attori che cercano di ereditare il protagonismo egiziano, principalmente Arabia Saudita, che tenta anche in Libano e Iraq di contrastare la crescente avanzata iraniana». Lo sostiene Abdallah Sinawi, direttore del settimanale egiziano Al Arabi. Sinawi, poi, dice che le autorità egiziane, mentre gestivano le tregue interpalestinesi, armavano di contrabbando la fazione di Al Fatah, avallando così le denunce di Hamas. Dagli accordi di Camp David, l’Egitto segue i dettami degli Stati Uniti.

 

  • Palestina. 8 febbraio. Lavori alla spianata delle Moschee, il mondo islamico contro Israele. Ormai non si contano più le proteste che arrivano da ogni angolo del mondo islamico e arabo per i lavori avviati da Israele miranti a demolire il ponte, sulla collinetta Mughrabi, che collega il Muro del Pianto con la Spianata delle moschee di Gerusalemme. «Il punto vero non sono soltanto i lavori in corso ma che cosa gli israeliani stanno effettivamente cercando di ottenere in quella parte della città che hanno occupato nel 1967 e che continuano ad occupare in violazione delle risoluzioni internazionali», spiega Khalil Tufakji, esperto palestinese di Gerusalemme e di colonizzazione ebraica. «I lavori alla collina Mughrabi», sostiene, «rientrano nelle attività che i governi israeliani svolgono da anni intorno e sotto la spianata di Al-Aqsa. Il progetto prevede anche la creazione di una città turistica sotterranea per i visitatori ebrei provenienti da tutto il mondo. Allo stesso tempo scavi e demolizioni mettono in pericolo la stabilità del sito religioso e dobbiamo essere consapevoli del rischio imminente di un disastro umanitario e politico». I palestinesi sono convinti che il nuovo ponte non sia altro che una rampa volta a consentire un ingresso più semplice nella Spianata di Al-Aqsa alle forze di polizia, per sedare disordini e proteste contro l’occupazione.

 

  • Palestina. 8 febbraio. «Se Israele continuerà ad attaccare la moschea al-Aqsa, tutte le sinagoghe potranno essere attaccate a loro volta». È l’avvertimento delle Brigate dei Martiri di al-Aqsa, organizzazione fiancheggiatrice di al-Fatah, mentre si susseguono gli scontri tra fedeli musulmani e militari israeliani.

 

  • Israele / Libano. 8 febbraio. La Siria consente il riarmo della guerriglia libanese Hezbollah. È l’accusa lanciata ieri dal ministro israeliano della Difesa, Amir Peretz.

 

  • USA / Iraq. 8 febbraio. Abbattuto il quinto elicottero militare USA in meno di tre settimane. Morti tutti e sette i militari a bordo. Negli ultimi quattro mesi il numero dei soldati statunitensi morti in Iraq in combattimento ha raggiunto la quota 334. Finora il quadrimestre più letale per i soldati USA era stato quello tra settembre e dicembre 2004 con 308 militari uccisi. L’incremento dei morti è attribuito dal Pentagono alle nuove tecniche usate dagli insorti nel collocare le micidiali bombe artigianali e al sempre più ampio impiego delle truppe USA nella contro-guerriglia cittadina, a Baghdad e altrove. Dall’inizio della guerra almeno 1.442 soldati USA sono stati uccisi nella provincia di al Anbar (dove l’attività degli insorti è più diffusa) contro i 713 morti a Baghdad. Negli ultimi tempi la pericolosità della capitale irachena è aumentata per le truppe USA: dal 28 dicembre scorso vi sono stati più militari statunitensi uccisi a Bagdad che nella provincia di Anbar. La Casa Bianca ha chiesto al Congresso, per il bilancio del 2008, uno stanziamento di 6,4 miliardi di dollari solo per contromisure sui micidiali ordigni artigianali.

 

  • USA / Iraq. 8 febbraio. Il direttore del bilancio della Casa Bianca Rob Portman conferma che Bush chiederà al Congresso cento miliardi di dollari in più per l’Iraq e l’Afghanistan per l’anno fiscale 2007 che si chiude in settembre, più 145 miliardi di dollari per il 2008. Il bilancio di Bush include anche 50 miliardi di dollari di spese previste nel 2009 per l’Iraq.

 

  • USA / Russia. 8 febbraio. La Russia è fra i «seri problemi di sicurezza» per gli USA. Lo ha detto il nuovo capo del Pentagono, Robert Gates, nel deporre alla Camera a Washington. Parole non meno tenere da Mosca: il generale Yury Baluyevsky, capo degli Stati Maggiori, ha scritto che la Russia corre «pericoli maggiori che non durante la Guerra Fredda», perché «la leadership militare USA si sta intrufolando nelle aree di influenza tradizionalmente russe».

 

  • USA / Russia. 8 febbraio. I principali punti di disaccordo tra Washington e Mosca sono: i dieci sistemi antimissilistici che gli Stati Uniti sostengono di dover impiantare nei due Paesi ex-comunisti adducendo, come risibile pretesto, possibili missili iraniani o nord-coreani lanciati chissà perché contro Stati europei. Poi c’è l’espansione NATO. Quindi l’Iran. Gli Stati Uniti sono sicuri che l’Iran stia cercando di costruire armi nucleari. Su questo fronte il 21 febbraio all’ONU si attende il rapporto dell’Agenzia Atomica. Putin accusa l’Occidente e Washington di non voler ascoltare le ragioni di Teheran, e ammonisce sul rischio di «mettere l’Iran con le spalle al muro». Kosovo. Nei giorni scorsi un rapporto ONU ha gettato le basi per una forma di protettorato del Kosovo. Putin minaccia il veto al Consiglio di Sicurezza se la soluzione internazionale non terrà conto delle richieste di serbi e albanesi. Vendita di armi. Washington accusa Mosca di vendere armi all’Iran senza rispettare gli accordi internazionali. Putin sostiene che la vendita serve a «mantenere aperto il contatto» con Teheran e a «non farla sentire isolata». Energia come arma politica. Secondo Washington, il Cremlino sta usando le risorse energetiche russe per raggiungere obiettivi di politica estera. Si pensi ai rincari applicati alle forniture di gas all’Ucraina, all’Azerbaijan, alla Georgia e alla Bielorussia. Putin nega recisamente che gli aumenti siano dettati da motivi politici.

 

  • Venezuela. 8 febbraio. Prime nazionalizzazioni. Il governo Chávez e la statunitense AES Corp, azionista di maggioranza di Electricidad de Caracas, firmano memorandum d’intesa per la nazionalizzazione dell’impresa elettrica, la maggiore del paese. Lo Stato verserà 739 milioni di dollari (provenienti dai fondi della compagnia statale Petróleos de Venezuela), pari all’82,14% delle azioni dell’impresa. L’operazione si concretizzerà entro aprile, ha detto il ministro dell’Energia Rafael Ramírez, che ha anche assicurato la stabilità occupazionale e il rispetto dei piccoli azionisti.

 

  • Libano. 9 febbraio. «Un bulldozer del nemico israeliano, appoggiato da carri armati, mezzi blindati e jeep, ha attraversato la Linea Blu, 15 metri in direzione di Marun al-Ras. Le forze armate hanno avuto l’ordine di aprire il fuoco, costringendo il bulldozer a tornare indietro», lo afferma un comunicato del comando dell’esercito libanese. Le truppe israeliane, si legge nel comunicato, hanno a loro volta aperto il fuoco contro una base dell’esercito libanese, «danneggiando un blindato, ma non hanno causato vittime». Fonti Unifil hanno tuttavia riferito di almeno due soldati libanesi rimasti leggermente feriti, mentre portavoce militari israeliani hanno affermato che l’operazione al di là della «recinzione tecnica» della Linea Blu, cioè in territorio libanese, aveva lo scopo di individuare e neutralizzare mine e ordigni dei guerriglieri Hezbollah. È il primo scontro, dopo più di trent’anni, tra esercito libanese –ora schierato assieme all’Unifil, la forza ONU nel sud del Libano– e truppe israeliane.

 

  • Libano. 9 febbraio. Ennesima «flagrante violazione» israeliana della risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza. Anche il filo-USA capo del governo libanese Siniora ha dovuto condannare la violazione del territorio nazionale libanese compiuta da reparti israeliani e chiedere ieri, ai comandi militari libanesi, di rispondere a qualsiasi violazione della sovranità del paese. Per il nuovo comandante dell’Unifil, il generale Claudio Graziano, quello israeliano è «un incidente grave». Lo ha detto al termine di un incontro con il presidente del parlamento libanese Berri. Graziano ha ricordato che il ruolo dell’Unifil è quello di «dare sostegno all’esercito libanese in accordo con la risoluzione 1701 dell’ONU».

 

  • Palestina. 9 febbraio. Hamas si sarebbe detto pronto a «rispettare» gli accordi firmati in passato con Israele, ma con una formula diversa dall’«impegno» verso quelle intese. Per questo motivo è piaciuta a Mashaal. A suo dire, non sarebbe in contraddizione con i principi di Hamas di non riconoscimento «storico e morale» dello Stato ebraico. Il movimento islamico di fatto accetterà solo indirettamente l’entità politica Israele ma non quella che definisce la «versione sionista» degli eventi di 60 anni fa in Palestina, come Mashaal aveva spiegato qualche settimana fa aprendo la strada al compromesso politico. Alla base del programma del nuovo esecutivo ci sarà il «Documento di riconciliazione nazionale» elaborato in carcere dai detenuti politici palestinesi, tra cui il «comandante dell’Intifada» Marwan Barghuti. Quest’ultimo, nei giorni scorsi, aveva inviato a Damasco, dove il leader di Hamas vive in esilio, delegazioni di esponenti della nuova generazione di Fatah per mediare l’intesa. Il «Documento di riconciliazione nazionale» prevede, tra i suoi punti principali, il riconoscimento indiretto di Israele ma anche una maggiore collaborazione tra le forze politiche palestinesi nella lotta per l’indipendenza e la libertà.

 

  • Israele. 9 febbraio. Secchi, in Israele, i commenti all’accordo interpalestinese. Le condizioni perché «qualsiasi futuro governo palestinese» venga accettato da Israele sono quelle note: rinunciare alla lotta armata, riconoscere Israele e accettare gli accordi passati. Lo ha detto il ministro degli esteri Tzipi Livni. «Ci aspettiamo che la comunità internazionale si attenga» –ha aggiunto– «ai requisiti che ha fissato dopo la vittoria elettorale di Hamas». Parole che lasciano intendere che non ci sarà alcun riconoscimento dal parte di Israele e del Quartetto alla svolta politica avvenuta ieri sera alla Mecca e non verrà posto fine all’embargo economico. Il governo Olmert da un anno attua la forma di pressione economica più dura nei confronti dei palestinesi bloccando centinaia di milioni di dollari derivanti dalla raccolta dei dazi doganali e dell’Iva spettanti all’ANP (Autorità Nazionale Palestinese).

 

  • Palestina. 9 febbraio. Ben pochi tra arabi e palestinesi credono che l’accordo della Mecca porterà alla fine dell’assedio politico ed economico contro l’Autorità Nazionale Palestinese. Le prime reazioni di Europa e Stati Uniti sono caute (una riunione del Quartetto è stata annunciata il 21 febbraio a Berlino) mentre Israele ribadisce di volere il pieno riconoscimento da parte del nuovo esecutivo palestinese. Nell’accordo non si fa alcun accenno a Israele e al suo riconoscimento: il testo parla di «rispetto» delle risoluzioni internazionali e degli accordi firmati in passato dall’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) con lo stato ebraico ma non prevede un impegno esplicito in tal senso di Hamas. È evidente che l’intesa sul nuovo governo rappresenta un successo per il movimento islamico: i suoi dirigenti non sono stati costretti a riconoscere Israele, punto sul quale aveva insistito il presidente palestinese Abu Mazen, e allo stesso tempo hanno ottenuto la legittimazione che cercavano da parte di paesi arabi stretti alleati degli Stati Uniti, come l’Arabia Saudita. «La posizione di Hamas è nota, non riconosciamo l’entità sionista (Israele, ndr)» ha ribadito ieri un portavoce di Hamas Ismail Radwan. «Il nostro movimento è una cosa, il governo un’altra».

 

  • Iraq. 9 febbraio. «Stanno cercando lo scontro con il movimento di Sadr. Altrimenti perché catturano un viceministro senza un mandato d’arresto?». Così, alla Reuters, Abdel Mahdi al-Matiri, membro del movimento di Moqtada al-Sadr. Hakim al-Zamili, un pezzo grosso del partito di al-Sadr, vice della sanità, è stato catturato dai soldati USA a Baghdad. L’accusa: aver dirottato finanziamenti dal suo dicastero al cosiddetto Esercito del Mahdi, utilizzato ambulanze per rifornire di armi i miliziani e ordinato attacchi. Pare il primo atto dell’offensiva, più volte annunciata dagli statunitensi, che mira a ridurre il peso del giovane leader sciita radicale e delle sue milizie. Dopo un boicottaggio di due mesi, da qualche giorno il leader sciita, che ha acquisito un’enorme popolarità per opporsi alla presenza USA nel paese, è rientrato nell’esecutivo del premier filo-USA Nouri al-Maliki. C’è chi interpreta il ritorno di Sadr nella grande coalizione sciita come un tentativo di mettere al riparo dell’imminente offensiva statunitense i pezzi grossi della sua organizzazione. Gli USA, intanto, hanno arrestato sedici miliziani di alto livello e un comandante del suo Esercito, oltre a centinaia di semplici combattenti del Mahdi.

 

  • Iraq. 9 febbraio. Il generale statunitense David Petraeus domani sostituirà ufficialmente George Casey (rimosso perché contrario all’arrivo di altri soldati) come comandante militare delle truppe USA nel paese arabo occupato.

 

  • USA / Italia / Unione Europea. 9 febbraio. «C’è indubbiamente da essere preoccupati. Si assiste, da anni, al trasferimento di tutte quelle delicate informazioni di natura finanziaria alle autorità americane senza aver mai avuto contezza sul loro utilizzo. C’è un ‘mirror’, uno specchio, che prende le informazioni e le trasmette al Tesoro USA senza alcuna garanzia. Siamo molto preoccupati perché nessun dato può essere maneggiato senza il consenso del cliente. Consenso che non è mai stato chiesto». Lo ha dichiarato Francesco Pizzetti, costituzionalista piemontese e garante italiano per la protezione dei dati personali, in un’intervista a l’Unità. «È vero, quei dati sono acquisiti direttamente dalle autorità americane sulla base di una legislazione vincolante per la lotta al terrorismo, ma ripeto: gli europei non hanno la benché minima conoscenza dell’uso che di questi dati viene fatto. La sicurezza, non v’è dubbio, è un valore condiviso ma non è questo il modo con cui questo valore può essere tutelato». Se i dati, illegalmente assunti, possano servire allo spionaggio industriale? Pizzetti: «Non lo so. Quale che sia il fine, questo sistema consente di verificare i trasferimenti di somme di denaro da una parte all’altra del mondo, da parte di un soggetto all’altro, e si può ricavare una mappatura rilevantissima dei comportamenti. Un’ipotesi per tutte: si può verificare verso quale fetta di mercato una determinata società è orientata a operare, quale sia la politica industriale».

 

  • Italia / Iran. 10 febbraio. L’Italia (di questi decenni) un paese imperialista? Il presidente del Consiglio, Romano Prodi, esprime il suo disappunto per l’esclusione dell’Italia dal tavolo dei negoziatori con l’Iran per contrastare le sue supposte (dagli Stati Uniti) mire sul nucleare militare. Intervistato dal quotidiano indiano The Hindu il Professore, dopo aver detto «non sono felice di questo», spiega: «Si devono includere i Paesi che hanno i più grossi interessi, che sono i più coinvolti: l’Italia è il più grosso partner commerciale europeo dell’Iran».

 

  • Somalia. 10 febbraio. Proteste di piazza contro l’arrivo di truppe peace-keeping dell’Unione Africana, che è voluto in particolare da Washington. Ieri, nelle strade del centro di Mogadiscio, bruciate bandiere di vari paesi africani e degli Stati Uniti. Sempre ieri, nei pressi di Afgoye, una trentina di chilometri a sud di Mogadiscio, scontri a fuoco tra milizie governative e gruppi armati: lo riferisce l’emittente radiofonica locale Radio Shabelle. Si tratterebbe del primo vero e proprio combattimento da quando il governo transitorio è arrivato a Mogadiscio all’inizio di gennaio con l’appoggio di Etiopia e Stati Uniti.

 

  • USA / Iran. 10 febbraio. Un attacco USA all’Iran? «Possibile» per Nicola Pedde, organizzatore del convegno “Iran’s emerging role” e direttore di Globe Research, organizzatore, in collaborazione con l’università di Roma e quella britannica di Durham, del convegno, a Roma, sugli sviluppi della politica interna iraniana. «L’Iran e l’Europa», aggiunge, «hanno una visione distorta quanto alla possibilità di un intervento americano. L’immagine di una America impantanata nel conflitto iracheno e impossibilitata a intraprendere ulteriori azioni è tanto diffusa in Europa quanto errata. Al contrario, invece, gli Stati Uniti hanno una potenza di fuoco, soprattutto con la marina e l’aeronautica, a piena capacità e già dispiegata nel Golfo Persico. Proprio in questi giorni, si sta unendo un ulteriore gruppo navale alle forze americane presenti nel Golfo e questo porterà la capacità offensiva ad un volume paragonabile a quello disponibile in Iraq. Non è quindi una questione di non poter scatenare un conflitto ma di tempi; entro sei-otto mesi andrà trovata una soluzione negoziale». Le conseguenze, in caso di attacco, Pedde le reputa «disastrose. Il nazionalismo iraniano è una delle più importanti variabili da tenere in considerazione in questa vicenda e nonostante un generale senso di insoddisfazione, dovuto soprattutto alle crescenti difficoltà economiche del paese, un attacco militare sarebbe senza dubbio dai più percepito come un’aggressione e come un’umiliazione. L’Iran ci ha più volte dimostrato quanto forte sia il sentimento di unità nazionale e la volontà di difendere la nazione da ogni aggressione esterna».

 

  • Bolivia. 10 febbraio. Tutte le miniere dell’ex mandatario Gonzalo Sánchez de Lozada saranno nazionalizzate. Lo ha annunciato il presidente della Bolivia, Evo Morales, dopo il ritorno allo Stato  dell’impianto metallurgico di Vinto, situato nel dipartimento di Oruro, impresa acquistata nel 2005 (durante la presidenza di Gonzalo Sánchez de Lozada) dalla multinazionale svizzera Glencore. Il 22 gennaio Morales aveva denunciato che negli anni Novanta la metallurgica era passata «in modo fraudolento» in mani private.

 

  • Irlanda del Nord. 11 febbraio. «Le famiglie di coloro che sono morti per le connivenze tra paramilitari lealisti e forze di sciurezza britannica meritano qualcosa di meglio che parole di appoggio da parte dell’attuale governo irlandese; meritano azione». Lo ha detto ieri l’eurodeputata del Sinn Féin Mary Lou McDonald in conferenza stampa a Dublino, che ha stigmatizzato l’inazione dell’amministrazione di Dublino. Margaret Urwin, dell’organizzazione Giustizia per i Dimenticati –che riunisce le vittime delle bombe lealiste a Dublino e Monaghan–, ha accusato Dublino di aver anteposto i suoi interessi politici e le relazioni con la Gran Bretagna ai diritti dei suoi cittadini, non chiarendo e non esigendo informazioni da Londra sulle azioni lealiste. Mark Thompson, dell’organizzazione Familiari per la Giustizia, dice: «la verità già la sappiamo», vogliamo una dichiarazione di responsabilità da parte degli attori statali coinvolti che chiuda un capitolo di dolore per molte famiglie nel nord e sud dell’isola. La connivenza tra forze di sicurezza e lealisti vede coinvolti politici, funzionari e agenti della sicurezza, come risulta da distinte relazioni elaborate da organizzazioni indipendenti, comitati parlamentari irlandesi e dal Difensore del Popolo Nuala O’Loan. Tutte queste inchieste si sono scontrate con un ostacolo comune: la non-collaborazione, incluso l’ostruzionismo, dello Stato britannico nell’ottenimento dei dati.

 

  • Russia. 11 febbraio. Gli Stati Uniti? «Sono pericolosi», esercitano un «uso della forza pressoché incontrollato», «impongono regole agli altri paesi in tutti i campi». E ancora: «un mondo unipolare guidato dagli Stati Uniti, che vi impiegano un pressoché incontrollato iper-uso della forza, non ha quasi niente in comune con la democrazia» e «ha accresciuto l’insicurezza globale, alimentando una nuova corsa agli armamenti anche nucleari». L’uso della forza, ha sottolineato il capo del Cremlino, «dev’essere l’ultima delle risorse cui far ricorso, e solo sotto l’autorità dell’ONU», «che non può essere sostituito dall’UE o tantomeno dalla NATO». Sono alcuni dei duri passaggi del presidente russo Vladimir Putin, ieri, all’annuale Conferenza mondiale di Monaco sulle politiche di sicurezza. Presenti i ministri di moltissimi paesi tra cui il nuovo capo del Pentagono Robert Gates. Il presidente russo ha quindi sostenuto che «ogni cosa che accade oggi sul pianeta è conseguenza dei tentativi di mettere in pratica questa concezione di mondo unipolare (...) e quali sono i risultati? Continue azioni unilaterali, spesso prive di ogni legittimità, non hanno risolto